venerdì 28 marzo 2008

Rasta-Mobile

Ieri in macchina Clarissa mi ha detto una cosa che mi ha colpita enormemente. Mi ha detto che era contenta di vedermi così ben integrata, perché all’inizio aveva avuto la sensazione che non ce l’avrei fatta. “Cosa vuol dire che non ce l’avrei fatta?” “Ma sì, sai, molti partono pieni di entusiasmo per i quatto angoli della terra e poi capiscono che non fa per loro, e in capo a un mese decidono di tornare a casa”. “E io ti ho dato quest’impressione?”. “Beh, onestamente sì”.

E’ vero che il primo mese a Trinidad è stato abbastanza duro, l’adattamento non è affatto stato immediato come nelle altre città in cui sono andata a vivere. Ma non ho mai pensato di tornare indietro. Mi sono data un quindici giorni per soddisfare le prime necessità, un mese per avere una routine, e sono stata nei tempi. Ma al di là del merito, mi sono chiesta come mai Clarissa avesse avuto questa sensazione. Mi sono lasciata andare contro al sedile posteriore, e ho cercato di riflettere.

La risposta era proprio lì, nella sua macchina, nella rasta-mobile. Che come suggerisce il nome non ha nulla a che vedere con una macchina normale, ma è piuttosto un aggeggio fantastico che solo un’intellettuale-europea-di-sinistra-con-senso-dell’umorismo-ai-Caraibi può decidere di possedere. Si tratta di un grippino scassato rosso decappottabile, col tetto pieno di buchi, che trema mentre cammina e fa rumori strani quando frena, in cui si accede al posto di dietro solo scavalcado da davanti, scomoda all’inverosimile, con gadget meta-tamarri allo specchietto, il volante coperto di perline rosse, verdi e gialle e il sedile dietro ugualmente foderato in multicolor. Talmente cool e alternativa che non sembra vera.

E dire che Clarissa è una professionista coi fiocchi, sempre vestita alla perfezione, iper-competente, iper-energetica, result-oriented e con un’invidiabile padronanza dell’inglese. Ma sotto sotto è materiale da centri sociali, ha passato anni a lavorare come giornalista per il Manifesto e a non scendere a nessun compromesso professionale. E per questo ed altro ha davvero tutta, tutta la mia stima.

Io ovviamente ho un altro stile e un’altra storia. Io mi sono presentata in questo paese con l’aria eterea di chi era appena sbarcata da Ginevra. Al liceo non ero nel colletivo, non mangio macrbiotico, non faccio yoga. E per quanto la trovi geniale, non avrei una rasta-mobile. Questo però non vuol dire abbia trovato la mia modalità personale per viaggiare follemente, per sopportare esperienze abbastanza estreme e per entrare in contatto con questa insolita porzione di mondo. Clarissa ieri l'ha capito, e me l'ha detto. Nel tempo che avevo finito questo ragionamento Orisha è saltata in macchina, ci siamo messe tutte e tre a bere a canna una bottiglia di vino, e abbiamo sguinzagliato il bolide verso la magica fabbrica dei film. Ovviamente senza ammortizzatori.

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