Ieri scendendo ad aspettare il mio taxi incrocio Jesus che rientra. Jesus è l’inquilino che conosco meno, non lo vedo quasi mai. Quelle due volte che ci siamo parlati è stato gentilissimo, mi ha chiesto come mi trovo, mi ha pure invitata per un liming con amici, ma in realtà non ho ancora avuto il tempo di scoprire chi si nasconda dietro quell’aspetto di ragazzo rasta, magrissimo, emaciato, con una vaga aria da gatto randagio. Wilma mi ha accennato al suo passato da orfano e al suo presente alcolizzato. Wilma gli ha detto mille volte che dovrebbe bere succhi di frutta, ma lui vuole solo birra.
Lo saluto, gli chiedo come sta, lui mi guarda lentamente e risponde che è stata una giornata molto lunga. E io sento provenire da parte sua una carica di stanchezza profondissima, uno sfinimento indicibile. E’ tutto il giorno che lavora - lui lavora tutti i giorni, - lavora sette giorni su sette. Gli chiedo perchè e risponde che ha bisogno di soldi, e poi comincia a parlarmi velocissimo in un inglese biascicato, gergale e smozzicato con gli occhi semichiusi per la stanchezza. Dallo scorrere indistinto del suo monologo colgo che oggi ha avuto problemi col capo, che hanno minacciato di non pagarlo, anzi forse non lo pagano proprio, perchè gli dicono che non lavora abbastanza, che l’hanno beccato mentre dormiva ma in realtà è successo solo una volta e lui sono quattro anni che si spacca la schiena in quel posto. Che si ammazza giorno e notte per questi 40 TT all’ora (circa 6.5 dollari USA). “E’ così che funziona, capisci?”, mi diceva con quest’aria rotta, senza sapere perché stava raccontando queste cose proprio a me, nemmeno mi conosce.
Io per l’ennesima volta in tre giorni sento che non so che cosa dire, gli dico che è ingiusto, che mi dispiace, che deve riposarsi. Cerco di fargli capire almeno con gli occhi che me ne frega, di quello che mi ha detto. A quel punto lui si ricorda che è stanco, si allontana e mi lancia un “passa una buona serata” da dietro le spalle. E in questo augurio percepisco un’incontrollata sfumatura di risentimento, una frustrazione che prende la forma di un’accusa involontaria nei miei confronti. Come è possibile che abbiamo la stessa età e tu sia stata tutto il giorno seduta in un bell’ufficio e ora te ne esci coi tuoi amici, mentre io mi sono fatto sfruttare tutto il giorno, domattina ricomincio e speriamo che mi paghino alla fine? Cosa abbiamo fatto di così diverso per meritarci due sorti così impari? Io mi sono sentita un verme, non avevo più voglia di uscire, di andare alla mia cena. Mi sembrava una vigliaccata, dopo aver visto quanto era stanco lui. Faccio un respiro, gli chiedo se poteva chiamarmi Mas, per favore.
Mas esce dalla stanzetta, avvolto nel suo asciugamano striminzito, viene verso di me trascinando i piedi. Ha un’aria assente, non mi sorride nemmeno, è malato. Volevo controllare se stavi bene, ti ho sentito tossire tantissimo. Yes, last night was miserabile. Salgo a prendergli un’aspirina, gliela metto in un bicchiere, poi decido di portargli tutto il mio pacchetto, quello che mia madre aveva insistito che prendessi su all’ultimo momento. Bevi questa e poi prendine tre al giorno. Mas manda giù al volo e mi restituisce il bicchiere, biascicando un ringraziamento distratto. Jesus è lì di fianco che osservava nel buio tutta quest’operazione. Io non lo guardo, me ne vado in silenzio, e in cuor mio spero solo che mi odi un po’ di meno.
mercoledì 12 marzo 2008
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