mercoledì 22 ottobre 2008

Il culto di Shango IV


A quel punto della celebrazione, era ora di offrire del cibo a Shango. Mi avevano spiegato che lui poteva accettarlo o meno. Se lo avesse accettato, tutto sarebbe andato per il meglio. Non mi hanno detto cosa sarebbe successo se non lo avesse gradito.

Olio, bacche e semi erano sparsi sul pavimeno. Zollette di zucchero bruciavano negli angoli. Tutti noi tenevamo in mano candele colorate la cui cera si scioglieva lentamente sulle nostre mani, sui nostri vestiti. Al centro dello spazio quadrato si agitavano gli impossessati. Ricordo nitidamente una ragazza che indossava un vestito rosso con pallini bianchi. Aveva vagamente l'aria di un pagliaccio. Lei era una delle persone possedute in modo piu' violento, si agitava in modo terribile, danzava in modo vorticoso.

Non sapevo bene che fare, i miei conoscenti mi davano istruzioni che io seguivo senza battere ciglio. Quando mi hanno invitata ad entrare una seconda volta nella cappella, ci sono andata mio malgrado. Mi hanno fatto posare la candela sul pavimento, esprimere un desiderio. All'uscita ci siamo dovuti inginocchiare, e abbiamo camminato in ginocchio fin dentro al quadrato mistico. Faceva un po' male, e soprattutto non volevo toccare quel pavimento. Non sapevo se mi piaceva quello che stavo facendo. Le persone intorno a me si preoccupavano per me, non volevano che stessi scomoda. Mi hanno proposto di sedermi, ma in fin dei conti io ho preferito restare in ginocchio, comportarmi come tutti gli altri.

Dei piatti erano stati preparatoi per Shango. Piatti colmi d'olio con dei piccoli pezzi indistinti di carne o verdura infuocati. Uno dei posseduti si e' avvicinato al piatto, ha preso in mano i fuochi e li ha mangiati. Shango aveva approvato il nostro cibo.

L'olio continuava a essere sparso, gli altri indemoniati tuffavano le mani nei piatti e poi accarezzavano i volti degli astanti. Io speravo che nessuno accarezzasse me, ma una signora indemoniata con le mani gocciolanti ha imbrattato d'olio tutto il mio viso. Eravamo tutti lucidi e unti e con un turbante in testa e col cuore che batteva. Un'altra signora andava in giro con un piatto fondo colmo d'olio e lo dava da bere a tutti. Tutti bevevano dal bordo dello stesso piatto, decine di persone. Quando si e' avvicinata a me, io non ce l'ho fatta. L'ho guardata con aria terrorizzata e ho fatto cenno di no con la testa. Non riuscivo a bere olio crudo poggiando le labbra su quel piatto lurido. Lei e' rimasta un po' delusa, poi mi ha fatto il segno di una croce sulla fronte ed e' passata oltre, gia' dimentica di me.

Piano piano, la musica ha cominciato a scemare, la luce del giorno era ormai forte. Ognuno ha ripreso possesso del proprio corpo, non c'era piu' olio da spargere. Erano le sette, il rituale era finito, e noi ci siamo incamminati lentamente verso la macchina.

Il culto di Shango III

La seconda sessione della notte e' stata piu' animata, forse perche' dedicata espressamente a Shango. Ancora tamburi, ancora danze, ancora formule in lingue segrete ripetute in continuazione. Uncle Matthiew e' stato ri-posseduto, altri l'hanno seguito, molti sono andati in trans. Nel complesso, il tutto si e' fatto piu' intenso e febbrile e una certa tremenda spiritualita' si faceva di minuto in minuto piu' percepibile. Io venivo toccata in modo gradualmente piu' violento da quanto mi circondava.

Quando sono ritornata allo spazio celebrativo dopo aver preso una piccola pausa, non mi sono posizionata immediatamente alle spalle dei celebranti, dove stavano i miei conoscenti. Piuttosto, mi sono fermata per qualche minuto nello spazio di fronte, in modo da poter vedere piu' da vicino e piu' direttamente i movimenti di coloro che si erano stati posseduti. Mi sono messa ad osservare una donna anziana. Come tutti gli altri prima di lei, aveva gli occhi sbarrati e un'aria demoniaca. Danzava in modo violento e pareva che non fosse lei a dirigere i propri passi. Ho incrociato il suo sguardo per una frazione di secondo, e in quell'attimo ho pensato cio' avevo negato fino a quel momento. Che c'era davvero uno "spirito altro" dento a quel corpo di vecchia. Non era lei stessa, in una fase di trascendenza della propria personalita'. Non era lei stessa, presa dalla musica e dal ritmo e dall'auto-suggestiione fino a perdere il controllo del proprio corpo. Ne ho avuto un'impressione molto netta. C'era qualcos'altro che si agitava dentro di lei.

Ancora adesso non so cosa pensare, la mia formazione illuministica mi dice che si', si trattava di atto di grande portata spirituale che ha trascinato molti dei presenti ad un livello di contatto con se' stessi e con il proprio spirito che va ben al di la' della soglia del cosciente. Mi dico che si trattava di un viaggio ai confini della propria mente e della propria essenza di umani, come avviene in molti rituali religiosi. In fondo, tutti sanno che la sfera cosciente della mente e' una piccolissima parte rispetto a cio' che siamo davvero. Eppure in quel momento, in quell'istante di contatto di sgardi, sono stata certa che si trattasse di qualcosa di piu'. Che ci fosse un essere demoniaco dentro al corpo di quella donna, che la manipolava dall'interno come una marionetta...

La celebrazione ha raggiunto il livello piu' alto di intensita' verso l'ora dell'aurora. L'olio si spargeva a fiumi, il suo odore impregnava tutto. Ci hanno distribuito candele colorate e a piccoli gruppi siamo entrati scalzi in una picola cappella al lato dello spazio quadrato, con un altare, immagini della Vergine e altri oggetti magici. Mi dava fastidio stare a piedi nudi in quel posto, non avrei voluto toccare nulla. Dentro alla cappella di agitava una ragazza posseduta, ed era cosi' vicina che mi inquietava. Dentro di me speravo con tutte le mie forze che non si avvicinasse, che non mi guardasse, che non mi toccasse. Tutti ripetevano le loro formule, e io ne avevo paura.

Il culto di Shango II

Tre o quattro tamburi impartivano un ritmo serrato, vibrante e africano. Ragazzi agitavano maracas e aggiungevano una nota sabbiosa al ritmo delle percussioni. Donne, uomini e bambini in bianco si raccoglievano all'interno dello spazio quadrato e camminavano in circolo, in direzioni alternate. Al centro del cerchio giacevano alcuni oggetti magici. Il sangue nero dei partecipanti li spingeva istintivamente a muoversi al ritmo della musica. Io me ne stavo immobile, candida e Europea, seduta sulla panca che circondava lo spazio del culto, e osservavo con occhi sgranati tutto quello che mi accadeva intorno.

Lo Spirito non ha tardato a manifersarsi. Dopo una mezz'ora scarsa di danze, "qualcosa" si e' impossessata di Uncle Matthew, il padrone di casa. A quanto pare lui viene sempre posseduto per primo. Lui ha cominciato a danzare in modo strano, muovendosi come un demone, come un folletto. Io lo osservavo e pensavo che stava facendo finta, che si era allenato a muoversi a quel modo in anni di pratica. I tamburi continuavano a suonare, un sacco di gente si raccoglieva intorno al nostro spazio, donne accendevano candele e distribuivano zucchero. Uncle Matthew danzava vorticosamente, muovendo gli arti in modo angoloso, tenendo gli occhi sbarrati. Teneva in mano un machete, che appoggiava sulla testa e sulle spalle delle persone raccolte intorno a lui, senza smettere di danzare. Dopo un po' e' svenuto, e' stato raccolto ed e' stato con delicatezza dai suoi familiari, io mi chiedevo preoccupata cosa stesse succedendo. Joshua mi ha sussurrato all'orecchio: "Lo Spirito se n'e' andato".

I tamburi non hanno mai smesso di suonare. I piu' vecchi e saggi tra i partecipanti, quelli che custodivano al meglio la memoria degli antenati, gradivano formule spiritiche e magiche che poi tutti ripetevano ritmicamente, insistentemente, all'infinito. Chiamavano gli spiriti con frasi segrete in lingue africane dimenticate. L'atmosfera si inspessiva, io venivo incoraggaiata a battere le mani "Battile piu' forte!", per entrare a far parte del ritmo universale prodotto dai tamburi e dalle nenie incomprensibili che parevano preghiere.

Sempre piu' persone si disperdevano in quei ritmi, alcune sono andate in trans. Un uomo ha cominciato a muoversi convulsamente, febbrilmente, dolorosamente. Non riusciva a controllare il suo corpo, non si poteva arrestare. E poi lo stesso e' successo ad una ragazza, che mi ha particolarmente impressionata. E' crollata a terra, mentre il suo corpo subiva convusioni che parevano insopportabili. Si rotolava sul pavimento, velocissimiamente, sbattendo sulle gambe delle donne vicine. Sembrava un pesce fuori dall'acqua, sembrava avesse un attacco epilettico. Nel frattempo, i tamburi continuavano a battere, le maracas a vibrare. Quel ritmo incessante continuava ad influenzare la pulsazione del nostro cuore.

La cerimonia era interminabile, ricordo una grande stanchezza. Osservavo gli spiriti entrare ed uscire dalle persone, le guardavo danzare, le guardavo giocare con i coltelli, ungersi di olio. Varie fasi della notte corrispondevano a varie divinita', che venivano adorate attraverso vari oggetti. Maceti, coltelli, candele. Olio d'oliva veniva sparso ovunque, per terra, sulla fronte delle persone spiritate, sui loro piedi. Quell'odore oleoso si mescolava all'odore di capra in una combinazione nauseante, io mi sentivo esausta.

Io dal mio angolo riflettevo su quello che stava accadendo. Pensavo che il potere della ritmicita' stava suggestionando tutti. Che era impressionante vedere come la gente entrava in trans. Che era formidabile vedere come alcuni eletti raggiungessero uno stadio di incoscienza in cui parevano mossi da uno spirito demoniaco. Era un rituale primitivo, e io ne facevo parte. Era un'esperienza allucinante. Verso le quattro di notte ci siamo fermati per una pausa, e io sono crollata dal sonno e dal disagio.

Il culto di Shango I

Venerdi' notte sono stata a un rituale Orisha.

Orisha e' una religione caraibica, nata dalla fusione dei culti africani e il cattolicesimo. Siccome l'amministrazione britannica e coloniale proibiva agli schiavi africani di celebrare i loro culti animisti (provenienti principalmente dalla Nigeria e dall'Africa Occidentale), loro sono stati costretti a praticarli in segreto, mescolandoli a preghiere cattoliche e chiamando i loro demoni con nomi di santi. La religione Orisha e' presente in quasi tutto il continente americano, sotto diverse declinazioni. Si chiama Candomble' in Brasile, Santeria nel sud degli Stati Uniti d'America, Voodoo ad Haiti. A Trinidad ha mantenuto il nome originale: Orisha. E la principale divinita' si chiama Shango.

I culti Orisha avvengono di notte e sono piuttosto ermetici. Ogni tribu' li celebra in luoghi e tempi differenti. Quella a cui mi sono aggregata vive in un villaggio sperduto del centro di Trinidad e celebra una settimana di culto ogni anno ad Ottobre, per quattro notti consecutive, dal martedi' al venerdi'. I culti iniziano a mezzanotte e terminano verso le sette del mattino, e ogni notte si rende omaggio a una o piu' divinita'. Ogni notte si sacrifica un animale, normalmente un gallinaceo o una capra. Solo ogni quattro anni si uccide un bovino. L'ultima notte e' la piu' importante perche' e' dedicata a Shango in persona, e non avviene nessun sacrificio.

Siamo arrivati verso le undici in una casa di campagna gremita di gente. All'ingresso della corte c'era acceso un grande fuoco, e negli angoli del giardino c'erano piccole cappelle o spazi in cui si raccoglievano gli elementi utili al rituale (bottiglie, coltelli, bastoni e olio) in composizioni tanto affascinanti che mi sarebbe piaciuto estrarle e portarle direttamente alla Tate Modern di Londra. Tutto era impestato di un forte odore di capra, io temevo di prendermi qualche malattia e cercavo di decifrare la strana atmosfera che impregnava ogni cosa. Donne lavoravano febbrilmente in cucina per il ricevimento che sarebbe sguito alla cerimonia, e ogni tanto uscivano con vassoi colmi di fette di torta. Io non ho avuto il coraggio di toccare cibo.

Come tutti gli altri, ero vestita tutta di bianco. Indossavo una gonna ampia e lunga e una maglia fine. Una ragazza bellissima mi ha avvolto la testa in un turbante dorato, alla maniera africana. Quando mi sono vista allo specchio mi sono impressionata per quanto un semplice dettaglio potesse camabiare tanto radicalmente la mia immagine. Ovviamente ero l'unica persona dalla pelle bianca, e mi sentivo osservata alternatamente con simpatia e con sospetto. Tutto mi sembrava strano ed eccitante. Osservavo con impazienza lo spazio quadrato al centro del cortile all'interno della quale sarebbe avvenuto il culto. Mi chiedevo se sarebbero davvero comparsi gli spiriti demoniaci, se si sarebbero davvero impossessati dei corpi delle persone.

Verso mezzanotte, i tamburi hanno cominciato a suonare per chiamarci tutti a raccolta...

martedì 21 ottobre 2008

Community Leaders

Qui i capi delle gangs di delinquenti vengono chiamati "community leaders". In effetti sono dei leaders, nel senso che comandano loro. Della loro community, certo, del loro ghetto. Ma non solo. Questi capi hanno anche un certo potere quasi politco, nelle loro aree di dominio. Ne sono in qualche modo amministratori e rappresentanti. Nulla succede senza che loro lo vogliano. Le autorita' devono parlare con loro prima di poterci entrare. E poi ancora. Hanno un potere legale, dettano le regole, amministrano la giustizia. Avvengono tante efferatezze tra bande rivali, ma all'interno di un certo territorio i capi mantengono il controllo, e in un certo senso la sicurezza. Alcuni sono acclamati e venerati, sono visti come dispensatori di favori e di protezione. Donde la definizione di community leaders.

Qualche hanno fa il Governo ha deciso di fare una mossa furba. Ha chiamato i cosiddetti leaders a rapporto. Ha indagato su chi fossero, ha scritto loro una bella letterina, ha detto che li riconosceva come autorita' sul territorio e li ha invitati ad un incontro, tutti insime appassionatamente, con i media e tutto l'ambaradan delle visite ufficiali. Questi leaders, che nella maggior parte dei casi sono dei bulli semi-analfabeti e piuttosto suscettibili al plauso pubblico, vi ci sono precipitati. Fieri di essere riconosciuti come autorita' semi-ufficali nientemeno che dal Governo. Ci sono andati tutti, una ventina scarsa. Gli ufficiali li hanno accolti e fotografati. Non e' semplice vederli bene in faccia, normalmente. La visita ufficiale ha reso tutto piu' semplice, eccoli che sorridono alla macchina fotografica.

Tutto questo sara' successo tre anni fa. Da allora, chissa' come e chissa' perche', i community leaders sono stati tutti uccisi. Uno ad uno, con lentezza e precisione.

Dilemma

Sabato sera e' stato ucciso un ragazzo al Corner Bar. Non so se si capisce. Come dire che uno viene ucciso sabato sera sui Navigli. Ora la domanda e' questa. Io cosa faccio? Ci ritorno al Corner bar o e' meglio di no?

lunedì 20 ottobre 2008

Sex

Ieri non sono andata in ufficio. Ho passato tutto il giorno ad un workshop su Gender and Volunteerism organizzato per tutti gli UNV. Gli UNV attivi qui a Trinidad and Tobago sono molti, e la maggior parte proviene da paesi in via di sviluppo. Quindi il solo fatto di trovarsi attorno ad un tavolo con gente di tutti gli angoli d'Africa e ascoltare cosa loro abbiamo trovato culturally shocking a Trinidad e' stato a dir poco interessante.

A quanto pare la cosa che questi professionisti della Sierra Leone, dell'Uganda e della Nigeria hanno riportato come piu' scioccante in assoluto e' stata la mancanza di pudore delle persone. E' vero, questo e' un paese a soglia di sessualita' molto alta. La sessualita' si sente e vede ovunque. I dottori UNV si dichiaravano sorpresi del fatto che le pazienti entrassero nei loro studi e descrivessero con dovizia di particolari e linguaggio specifico i loro sintomi riguardo alle "parti private", come dicevano loro. Senza nemmeno arrossire un pochettino. E sono stati anche disturbati dal fatto che una ragazza minorenne non avesse nulla in contrario al fatto che il padre assistesse ad una sua visita ginecologica. Loro non lo volvano permettere, ma hanno dovuto cedere.

Per caso proprio domenica stavo guardando un video interessante sulla cultura Trinidina (o come dice Cristian, Trinitaria) chiamato "girls behaving bad in Trinidad". Un film di un'ora e mezza ininterrotta che mostra ragazze disinibite alle feste in preparazione al Carnevale. Si andava bel oltre al solito wining, che comporta lo strusciare ritmico del proprio sedere sul "davanti" di qualunque ragazzo, anche in trenini di tre o quattro persone. A partire da questa pratica di base alcune ragazze si danno in performance che lasciano davvero a bocca aperta, puro sesso con vestiti addosso. In piedi, sdraiati per strada, da davanti, da dietro, con la gamba arrotolata sul tipo, in braccio, a testa in giu'. Di tutto.

In realta' non si tratta proprio di una novita'. Avevo visto gia' molto con i miei stessi occhi, a feste varie. Ma in qualche modo vedermi il tutto condensato in un solo video e poi sentire i racconti scandalizzati del poveri dottori africani mi ha fatto ripensare a fondo alla sproporzione del potere del sesso su questa benedetta Isola.

venerdì 17 ottobre 2008

Lezione

Ieri ho avuto una conversazione che mi ha molto disturbata con Clarissa. Tanto che non pensavo di scriverne, come non scrivo di tutte le cose che mi toccano in modo molto profondo. Ma dopo ore di pensieri e rielaborazioni ne ho preso le distanze, e penso di poterla trasformare in un'altra lezione di vita che quest'isola, in modo spesso un po' crudele, mi sta offrendo.

A quanto pare girano brutte voci su di me. Nello specifico, gira voce che io sono una bugiarda. "La gente" non si fida di me. Questa "gente" non e' stata ne' numerata ne' nominata, dietro al paravento del "io non tradisco nessuno". E non serve esattamente uno psicologo per capire che una minaccia vaga fa ben piu' paura che una minaccia specifica. Specialmente quando e' articolata in frasi carine tipo "conta quanti amici e avevi all'inizio e quanti ne hai ora: forse c'e' qualcosa che non va", "guarda che me l'hanno detto in tanti", "oramai la tua reputazione ti precede".

Ecco il riassunto delle mie riflessioni in merito.

1. Bugiarda. E' questo che si dice di me. Le uniche bugie che posso aver detto sono piccole cose. Tipo "non posso piu' andare in spiaggia con te perche' sono fuori citta'" o "non posso uscire con te perche' non sto molto bene". Magari non era vero, ma mi pareva brutto fare il bidone. Qui il bidone lo fanno tutti, e forse lo reputano meno offensivo della piccola bugia di circostanza. Clarissa ha confermato. Si trattava in tutti i casi di piccole cose. Mai bugie maligne, mai bugie da stronza. Questo mi deve bastare per sentirmi con la coscienza a posto.
2. Qualche volta saro' pure stata sgamata. Magari quando ho detto che ero fuori citta' poi sono stata vista in giro da un amico dell'amico che poi glel'ha detto. Amen.

3. L'ambiente conta. Qui il mondo e' piccolo, la gente mormora. Parlare male della gente e' il passatempo piu' antico del mondo. E poi io sono il target perfetto. Ragazza. Straniera. Temporanea. Relativamente popolare, o almeno lo ero. La classica tipa che all'inizio tutti vogliono conoscere e con cui tutti sono gentili, e poi diventa facile capro espiatorio.

4. E poi un'ultima cosa, che non ho pensato da sola ma che mi e' stata fatta notare. Come ho spesso detto, qui ho sempre trovato piu' facile legare con ragazzi che con ragazze. Mi illudevo che con i ragazzi ci potesse essre un'amicizia normale, invece in un modo o nell'altro arrivava sempre il momento in cui capivano che non ero interessata e sparivano. Ho deciso allora di non andare in giro a sbandierare che avevo gia' qualcuno per la testa. Non negavano quando me lo chiedevano, non ho fatto nulla di attivo per nasconderlo, ma diciamo che non ne parlavo per prima. Per questi "amici" la verita' sara' saltata fuori da altre fonti, e avra' destato del dispetto. E forse e' a questo che pensano quanto dico che sono menzognera, non alle scuse per non andare agli appuntamenti...

E ora le conclusioni:

1. Basta bugie bianche. Non vale la pena nemmeno di sforzarsi a costruirle. Di' che non hai voglia di uscire. Tanto qui la gente e' insensibile, la sensibilita' viene solamente fraintesa.

2. La reputazione e' fritta? Un sano chissenefrega. Qui conto sulla punta delle dita di una mano le persone con cui ho avuto empatia da quando sono atterrata in Febbraio. Il resto erano solo "contatti", con cui mi sono trovata a uscire per non annoiarmi. E tra l'altro fra un po' me ne vado e chi li rivede piu', 'sta banda di cafoni?

3. L'avevo gia' osservato, me lo ripeto con vigore. Meglio soli che male accompagnati. Non cercare il riconoscimento negli altri, solo in quelle poche persone in cui hai stima. Non devi essere amica di tutti. Non devi piacere a tutti. Non devi lasciarti leggere da tutti. Tutelati. Sii meno trasparente. Sii meno espressiva. Non dire tutto quello che pensi. Non mostrare tutto quello che provi. Non devi essere interessata in tutti. I ragazzi fraintenderanno il tuo entusiasmo per qualcos'altro. Le ragazze non lo capiranno, saranno sospettose, lo troveranno strano. Mostrati distaccata, mostrati normale. Sii impermeabile, sii intoccabile. Risparmiati per chi sa come trattarti. Per chi non ti attacchera' semplicemente per lo sfizio di sentirsi potente. Per chi non scomparira' dalla tua vita appena scopre che non sei disponibile. Per chi non ti sputtanera' alla prima occasione, tanto per avere qualcosa di cui chiacchierare.

mercoledì 15 ottobre 2008

Buone nuove

Lui resta qui.

lunedì 13 ottobre 2008

Ladri

Stanotte verso le cinque vengo svegliata da delle voci. Grida e rumori. Voci di uomini, giovani, vicinissimi. E rumore di una macchina accesa, qui davanti al cancello, e piatti rotti. Mi alzo di scatto, saltogiù dal letto, sbircio fuori dalla porta della mia stanza. Vedo la luce accesa in soggiorno. Io l'avevo spenta, ne sono sicura. Ci metto un microsecondo a realizare. Merdamerdacazzomerda. Oddiomiodiodiodio. Ladri. Ci sono i ladri. Sono a casa da sola i questi giorni, Wilma è andata in Canada da sua figlia per cinque settimane. Avranno controllato la casa, pensano che sia vuota. Ci sono i ladri in casa!

Chiudo subito a chiave la porta della mia stanza. Prendo il cellulare. E' scarico, porca miseria! Mi guardo intorno, dove mi nascondo? Nell'armadio. Mi metto dentro. Oddio-oddio-oddio. Sono in maglietta e mutandine, se mi trovano così mi stuprano. Merda. Sto in silenzio, chiusa dentro. Continuo freneticamente a cercare di accendere il cellulare, senza riuscirci.

Mi chiedo se la porta chiusa desterà sospetti. Mi sento molto lucida, nonostante stia tremando. Mi accorgo che sto tremando solo quando tiro fuori la batteria del cellulare e la rimetto dentro, per vedere se si rianima un attimo. "No, anche la camera di Wilma è chiusa a chiave, e non c'è dentro nessuno. Penseranno che le porte sono tutte chiuse, in generale". Poi però rifletto. "In camera mia c'è il letto disfatto, capiranno che qualcuno c'è. Mi cercheranno e mi troveranno". Poi mi rassicuro da sola. "Potrebbe essere disfatto da ieri o da ierilaltro. Chi controlla la casa sa che spesso non dormo qui." Sono terrorizzata, mi shiaccio sul fondo buio dell'armadio.

Passa qualche minuto, non succede nulla.
Forse se ne sono andati.
Strano, non hanno neanche controllato le camere.
Forse sapevano cosa volevano, l'hanno preso e sono fuggiti.
Forse era qualcuno che conosceva la casa.
Mi pare di sentire dei rumori.
Sono ancora qui.

Penso. Se arrivano e mi trovano non li guardo in faccia, chiudo gli occhi per non essere una possibile testimone, alzo le mani e li prego di non ammazarmi. Ne parlavo ieri. Qui quando ti derubano ti ammazzano, meglio un testimone in meno che la coscienza pulita. Ci sono in giro tante di quelle armi e le pallottole costano poco. Le pallottole costano poco. Le pallottole costano poco. Questa frase continuava a riecheggiare nella mia testa.

Passa qualche altro minuto. Decido di uscire dall'armadio e cercare di ricaricare il cellulare. Ragiono in modo lucido e freddo. Non è troppo arrischiato? Decido di no. Se li sento forzare la mia porta mi ributto dentro. Mi alzo, vedo che la luce in soggiorno è ancora accesa. Sono ancora qui. Mi sembra di sentire rumori dalla cucina. Metto il cellulare in carica, al buio, tremando. Si accende. Penso che il numero della polizia sia 999, ma so che chiamare la polizia qui non serve praticamente a niente. Mi diranno che non hanno macchine. Mi diranno che non c'è nessuna pattuglia in zona. Ne ho parlato mille volte, con mille persone. Tutti mi hanno detto che la polizia non arriva mai. Decido che se devo fare una chiamata sola mi conviene chiamare K, lui poi chiamerà chi di dovere. Digito il suo numero, lo sveglio. "I'm hiding, there are thives at home, yes, now, right now, please do something", dico sottovoce. Appena attacco mi nascondo di nuovo. C'è poca aria,. So che se passa ancora qualche minuto senza che mi trovino probabilmente sarò salva.

Mi torna in mente la conversazione di ieri con Cristian, che mi ha detto che un giorno era entrato in un negozio di mattina presto al centro commericale e c'erano i ladri. Gli avevano puntato la pistola alla tempia, lo avevano legato insieme a tutti i commessi e al gestore del negozio. Mi ha descritto la situazione, la paura che ha avuto. Per fortuna ne era uscito illeso. Mi viene anche in mente anche la storia di Katrina, una signora che conosco che martedì è stata bloccata di fronte a casa sua, in un quartiere residenziale alle 3 del pomeriggio, era stata picchiata e derubata. L'ho vista 2 giorni dopo, ancora piena di lividi. Ovviamente avevano controllato i suoi orari, sapevano che stava tornando. "Come sanno che casa mia è vuota", penso con un brivido.

C'è silenzio, decido di uscire di nuovo per mettermi i jeans che sono sulla sedia. Penso ai movimenti che farò prima di uscire dal nascondiglio. Vengo fuori senza fare rumore, mi vesto, sistemo un attimo il letto in modo che a prima vista sembri fatto, per far credere che la casa è davvero vuota. Poi prendo una coperta e mi ci avvolgo nell'armadio, magari penseranno che sono una vecchia valigia. Penso in fretta. Penso che non sarò mai più a casa da sola. Neanche Clarissa c'era stata, a casa sua da sola. Aveva chiamato Orisha, "per compagnia e per sicurezza". Le ragazze bianche le controllano. Questa settimana hanno ammazzato due turisti svedesi a Tobago. L'anno scorso sempre a Tobago hanno ucciso l'amica italiana di Cristian, lui ci aveva parlato al telefono la mattina stessa. Le ragazze bianche le controllano. Le case vuote pure.

Dopo un minuto sento il rumore familiare della macchina di K che arriva sparata davanti casa. Sento bussare forte alla porta d'ingresso. Aspetto, non succede nulla. Cerco di capire se i ladri sono ancora in casa. Mi pare di no. Aspetto. Nulla. Bussano di nuovo. Non c'è più nessuno. Mi alzo, vado in soggiorno. Arrivo alla porta. Vedo che è chiusa, con tutti i luccheti chiusi. Come è possibile?

Sono sconcertata. Non era vero niente. Non ci posso credere, non ci sono mai stati i ladri, era stato un incubo. Voci sognate, così come i rumori. La luce l'avrò lasciata accesa io. Un incubo terribile e reale. Dio-mio-che-paura-che-ho-avuto. Apro la porta, esco di casa. In piedi davanti al cancello c'erano Mister K e Marlon - entrambi un fascio di nervi. Mi vedono uscire, mi chiedono all'unisono se sto bene. Io mi sento svenire. Prima di tutto per il rilascio di adrenalina. E poi per il dispiacere di averli spaventati a morte a causa di un trucco della mia immaginazione. Evidentemente tutta la paura accumulata in mesi di storie dell'orrore era finita direttamente nel mio inconscio. Clinicamente parlando, la perdita della capacita' di interpretare correttamente la realta' e' una delle possibili e piu' comuni manifestazioni di una situazione di stress prolungato.

venerdì 10 ottobre 2008

Curfew parties

Vediamo se così riesco a far capire cosa intendo per "cultura del Carnevale". Nel 1990 qui c'è stato un colpo di stato. Probabilmente l'unico evento politico degno di nota dall'indipendenza nel 1962. Il colpo di stato è durato pochi giorni ed è stato organizzato da un gruppo estremista islamico. Il che è stranissimo, perchè tra africani e indiani, gli islamici normalmente sono i più sottotono.

Comunque il dato interessante è che la gente ricorda due cose fondamentali del coup. La prima è che in televisione passavano sempre e soltanto La Sirenetta (sì, quella della Disney!). E la seconda è che c'erano i curfew parties, le feste del coprifuoco. Quando i terroristi hanno indetto un coprifuoco generale dal tramento all'alba, la prima cosa che i Trinidini hanno pensato di organizzare sono state delle mega-feste che durassero dalle 6 di sera alle 6 di mattina. Già era eccitante trovarsi in uno stato di simil-guerra. Ma vuoi mettere il divertimento di andare a una festa in cui è obbligatorio resistere fino al far del giorno?

martedì 7 ottobre 2008

La palude magica

Ci saro' andata un mesetto fa, ma il ricordo e' rimasto lucido e intatto nella mia mente come olio su tela. Gli swamps. Ovvero le paludi.

I Caroni swamps sono una grande palude pochi chilometri a sud di Port of Spain, che si visita su piccole barche di legno attaverso un intricato intreccio di rivoli verdi. Ci sono andata in gita domenicale con Lila e Mister K, e ne sono rimasta affascinata in modo infinatemtne superiore alle aspettative. L'inizio del nostro piccolo itinerario e' stato piu' o meno come previsto. La barca si spingeva lenta lungo il corso d'acqua circondato dalle mangrovie, c'era molta umidita' e pareva di essere protagonisti di uno di quei film stile Indiana Jones, in cui c'e' sempre una scena su un fiume tropicale. Ha addirittura piovuto, grossi goccioloni equatoriali, e noi tre ce ne stavamo stretti sotto la cerata, ridendo della nostra sfortuna metereologica. Poi pero' la pioggia e' cessata, e il paesaggio ha cominciato a modificarsi sotto i nostri occhi.

Senza alcun tipo di preavviso ci siamo ritrovati in un ambiente meraviglioso, che ci ha lasciato totalmente senza parole. Dietro un'ansa del piccolo fiume, si e' aperto un grande lago di palude, in cui la nostra barchetta piccolissima si sperdeva completamente. L'acqua era ferma e lucida, e rifletteva la foresta circostante in uno specchio perfetto. Tutto risultava magicamente e simmetricamente doppio. La Northern Range si vedeva in lontananza, verde e muschiosa. Piccole isole si rilazavano in mezzo all'acqua, brulicanti di vita e di foglie. Noi avanzavamo piano, lasciando nell'acqua un solco leggero che spariva subito, come se fossimo una barca fantasma, come se fossimo un ologramma.

La cosa piu' bella era il cielo. Grande, limpidissimo, aperto. Lo guardavamo da sotto, sentendoci schiacciati sulla superficie lucida dell'acqua. Era tardo pomeriggio, il celeste perfetto era striato di nuvole ampie e stracciate, inconsistenti e drammatiche. Cielo lontano e immobile, come un grande telo dipinto al confine di un'immensa cupola vuota. La luce era chiara, fresca, argentata. Il silenzio era impossibile. L'aria era immobile e pulita, sembrava che tutto fosse scolpito nel vetro. Si avvicinava l'ora del tramento, e la barca si e' fermata in un punto qualunque per una buona mezz'ora. Noi siamo rimasti in silenzio, ad ammirare il lento declinare della luce verso sfumature luminescenti d'oro e di rosa.

Ogni tanto quell'ambiente magico di acqua e di luce veniva solcato dagli scarlet ibis, uccelli simbolo di Trinidad e Tobago. Animali bellissimi, un po' simili ai fenicotteri rosa, con la differenza che sono un poco piu' piccoli e che - come dice il nome - sono scarlatti. Un rosso fiamma di una tonalita' irripetibile. Gli scarlet ibis tornano sempre agli swamps al tramonto, dopo essere stati per tutto il giorno alla ricerca di cibo in Venezuela. Ne abbiamo visti tantissimi, che volavano in piccoli gruppi allineati, rossi ed eleganti attraverso il cielo terso. Nessuno osava parlare, li puntavamo solo con il dito, appena ne vedevamo uno nuovo.

Ce ne siamo stati li', avvolti da quell'incantesimo, senza pensare a nulla. Lasciavamo solo che la sera si sviluppasse sotto i nostri sguardi attenti. Minuto dopo minuto, tutto si gonfiava di pigmenti dorati e di riflessi iridescenti.

lunedì 6 ottobre 2008

The Avenue

Era tanto che volevo scrivere un post sui baretti dell'Ariapita Avenue, il viale dei locali a Woodbrook. Ma ho preso la decisione soltanto durante la serata di addio di Lea, quando la avenue ce la siamo attraversata tutta, dall'inizio alla fine, sbirciando e esplorando uno per uno i bar della capiatale. Ognuno con la sua sfaccettatura, stile e pubblico, costituiscono un mix di ambienti e atmosfere che rappresentano molto accuratamente la diversità sociale dell'isola.

Abbiamo cominciato a More Vino. Forse uno dei posti più carini, dall'aria chic e internazionale. Si vende come posto raffinato dove bere un bicchiere di buon vino. A dir la verità non sono mai riuscita a trovare un vino accettabile a More Vino, anche se lo fanno pagare 50 TT a bicchiere. Ma per me vale comunque la pena di passarci qualche ora per l'atmosfera gradevolissima. Il posto è bello, ha una grande terrazza con pavimento di legno chiaro, piante curate e graziose decorazioni. Servizio perfetto, stuzzichini buoni, prezzi un po' rialzati, clientela solo bianca o facoltosa o finto-facoltosa, ma tutto sommato nemmeno troppo pretenzioso. Esauriti i nostri bicchieri (generosamente offerti da un anonimo del tavolino di fianco: deve essere un'abitudine nazionale...), siamo passate davanti a Satchmo, jazz-bar-ristorante ridicoulously expesive, più o meno sullo stesso stile. Il jazz è buono, il cibo meno.

Ci siamo fermate a Squeeze, uno dei miei posti preferiti. Quando lo dico non ci crede mai nessuno, perchè tutti si aspettano che una ragazza bianca e colta frequenti posti piu' pettinati, come i due appena descritti. Invece a tutti gli Europei piace Squeeze, perchè non è menoso e soprattutto perchè è molto alternativo, concetto che qui non esiste proprio. E' un localino piccolissimo (da qui il nome), in cui la clientela trasborda sempre sul marciapiede. Tutti stanno seduti su casse di bibite vuote, bevono birrette e se la contano su. Ah, dimenticavo. E' un bar gay.

Subito dopo ci sono i due locali più emblematici della Avenue, il Coco Lounge e il Cro Bar. Fa sorridere perchè sono uno davanti all'altro e basta girare lo sguardo di centottanta gradi per vedere la differenza di colore della gente. Red al Coco Lounge, black al Cro Bar. Il primo è un bel locale ricavato da una casa dall'architettura coloniale, con terrazza. L'ingresso si paga, la musica è un po' alta, è sempre pieno. E' un posto molto piacevole, esteticamente uno dei migliori. Se non fosse che ci va gente che vorrebbe tanto, ma tanto, essere bianca. Vi si percepisce lo sforzo collettivo dell'arrampicata sociale. Il Cro Bar è meno prezioso, più semplice. A me piace, ci sono andata qualche volta a bere qualcosa di pomeriggio. Ci sono grandi divani e tavolini all'aperto, atmosfera rilassata, spazioso e senza pretese. La sera però è un po' infrequentabile. Va bene che mi piacciono gli ambienti misti, ma di notte assume un'aria un po' losca. Centinaia di ragazzi - chissà perchè quasi tutti maschi - che bevono, parlano, ridono, e magari cominciano una rissa.

Dopo aver superato le colonne d'Ercole dei due bar rivali, ci siamo fermate ai chioschetti che vendono street food. Ci siamo fatte un bel bicchiere di corn soup, zuppa di mais assolutamente deliziosa che si vende ad ogni angolo. E poi ci siamo divise un po' di stuzzichini, resistendo alla tentazione di mangiare un kebab fatto al momento. Mentre ce ne stavamo sulle panchine ci chiedevamo come mai nel mezzo della notte ci fossero in giro tanti bambini, e commentavamo tristemente il ruolo minimale delle famiglie dei bimbi delle classi più basse. Poi siamo passate davanti al bordello cinese (ufficilmente un centro di massaggi), e abbiamo proseguito.

La avenue era quasi finita. Ci siamo spiente fino in fondo, giusto per vedere il Corner Bar. Un locale abbastanza nuovo dall'aria metropolitana, insolita attenzione al design, un bello spazio interno con divani neri in ambiente verde acido. Il proprietario è un barbone-capellone che fa personaggio solo per l'aspetto, il bar ampio luccica di bottiglie illuminate da sotto, le finestre enormi danno sulla strada come fossero vetrine. Il posto è bello, purtroppo la musica è sempre davvero troppo alta, tanto che l'unico modo per godersi la serata è comprare i drinks dentro e poi berli di fuori.

Per questo abbiamo deciso di ritornare un po' sui nostri passi, in uno dei locali che alla fine preferisco sempre: lo Shakers. Lo preferisco nonostate la musica anni ottanta, nonostante il servizio mediocre, nonostante (sic!) la clientela che vorrebbe essere bianca (e se si va il martedì sera è pessimo, si chiama socializers night e ci sono solo, ma solo bianchi). Ma alla fine mi piace sempre per un motivo molto semplice. Il posto è bello. Ricavato da una graziosissima casa coloniale tutta in legno dipinto di bianco. Circondato da un cortile fresco, riparato da una siepe folta, con qualche albero vivo, vero e palpitante di linfa verde. Punteggiato di tavolini e sedie sistemati in ordine casuale. Se si va un po' presto, quando ancora non è troppo pieno, vi si può respirare piano la notte fresca del Caribe.

domenica 5 ottobre 2008

Cena in casa

Quanto mi mancava, una bella cenetta in casa fra amici! L'atmosfera intima e privata dell'abitazione, un po' di buon vino, conversazioni interessanti. Non mi ero accorta di quanto mi mancavano finchè non ne ho fatte un paio qui a Trinidad, nelle ultime settimane. La cena in casa non fa parte della cultura locale. Nella cultura del Carnevale per divertrsi si esce e vive la notte fino all'ultima goccia, fino al primo raggio di sole.

Qualche tempo fa Sissy ha invitato me e Lea a cena. Si trattava di una lezione di cucina, ho insegnato loro a fare gli gnocchi. Ci siamo divertite un sacco, ne abbiamo fatti un casino. Abbiamo parlato, ci siamo raccontate, ci siamo confrontate sulle nostre sensazioni rispetto a Trinidad, all'ONU, al lavoro. Tre ragazze europee che reagiscono in modo simile a simili stimoli, con simile sensibilità. Molto rinfrescante. Peccato che gli gnocchi non siano venuti, le patate non andavano bene. Quando l'ho detto al cuoco Cristian si è messo a ridere, anche a lui la prima volta non sono venuti con le patate locali. E con Cristian abbiamo fatto la seconda cenetta, a casa di K. Una semplice pasta all'arrabbiata, delle bruschette, il gelato alla fine. Abbiamo apparecchiato in terra e abbiamo mangiato sul pavimento, a gambe incrociate, chiacchierado del più e del meno, sentendoci amici.

Venerdì invece è stato da Felix. Era tempo che diceva ai suoi amici che non ne poteva più di sfinirsi allo Zen tutti i santi weekend, che voleva organizzare una cena tra sole persone che hanno qualcosa da dire. Ha chiamato una coppia di suoi amici storici, Rashma e Sasha, più Terry (con la piccola Neena e Alastair a fine serata), Sissy, una ragazza dolce di nome Kimi e me (con Mister K a inizio serata). We clicked. Abbiamo parlato di politica, di viaggi, di società. Di noi, di lavoro, di arte. Seduti sui divani, in piedi in cucina, passeggiando nella veranda. Ci siamo detti a vicenda quanto è difficile creare situazioni di questo genere a Trinidad, quanto è difficile (anche per Terry e Rashma che sono Trinidine) trovare amiche femmine con cui non esiste rivalità, trovare amici maschi senza secondi fini. Ci siamo ripromessi a vicenda che il gruppo continuerà ad esistere. Casa di Felix sarà un punto di ritrovo. Se tutto andrà come vorrei, potrò dire di aver finalmente trovato delle persone con cui mi identifico.

Civilizzazione

In Italia il centro commerciale o shopping mall è percepito come un luogo funzionale. Un sacco di negozi messi insieme, con anche il supermercato, e un parcheggio grande annesso. Nessuno, tranne forse qualche sociologo, pensa che i centri commerciali siano dei posti con particolare fascino. Nessuno, tranne a volte i ragazzini di periferia che non sanno dove andare, ci trascorre il sabato pomeriggio come se fosse un parco di divertimenti. Qui a Trinidad sì. Mentre l'Italiano alla ricerca della vecchia bottega, del negozietto privato, del ristorantino tipico, il Trinidino va a pranzo con gli amici nello spiazzo bianco-lattiginoso dei centri commericali, dove innumerevoli tavolini di plastica sono circondati da ogni genere di fast food.

E' una mentalità a cui guardavo con disprezzo, come segno di progresso tardivo e di incivilizzazione. Inutile aspettarsi di trovare qui la raffinatezza europea. Il Trinidino considera eccitante il solo fatto di trovarsi in un luogo dall'apparenza moderna, che lo faccia sentire "civilizzato". In modo del tutto analogo, il Trinidino trascura il fantastico clima tropicale per rinchiudersi in bar e discoteche al chiuso con aria condizionata. Fa molto USA, immagino. Per questo motivo uffici e ristornanti sono sempre più freddi, e più sono chic più l'aria condizionata è sparata alta. I baretti coi tavolini di fuori si contano sulla punta delle dita, e non esistono posti dove ballare sotto le stelle, tranne forse uno nella più turistica Tobago. E poi ancora, sempre per sentirsi civilizzati, i Trinidnini stanno cominciando a vestirsi all'Americana. Non mi riferisco ai soliti pantaloni larghi da rapper, ma anche a giacche imbottite e stivali di pelle o di pelo alti fino al ginocchio. Col caldo che fa!

Certamente l'argomentazione della civilizzazione ha un grande peso. Però piano piano mi sono resa conto che dietro l'amore per lo shoping mall c'è anche qualcosa di più. Me ne sono accorta quando ho cominciato pure io, che i centri commericali li odio, a volerci andare. A non vedere l'ora di andarci, addirittura. Perchè contrariamente alla caraibica downtown, l'insipido mall per lo meno è un posto pulito. Ha il pavimento tirato a lucido. Senza nessuno seduto in terra tra i rifiuti che chiede l'elemosina. Senza musica alta, senza disordine. Senza uomini che ti mangiano con gli occhi ad ogni angolo, idipendentemente da come vai in giro vestita. E' un posto dove non è necessario stare all'erta, dove tutto, per una volta, è normale. E soprattutto, contariamente a tutto il resto della città, dentro ad uno shopping mall ci si sente al sicuro.

L'importanza del Carnevale

La cultura di Trinidad viene spesso definita "cultura del Carnevale". Cultura del bacchanal, parola tipicamente trinidina che non è necessaro tradurre. Ho già scritto in precedenza che in un anno senza stagioni e senza cambiamenti di clima il ritmo è scandito da quest'unico tremendo evento che coinvolge e sconvolge tutta la società, anche chi non vi partecipa. I primi eventi iniziano ad Agosto, e in seguito una serie di feste e occasioni si susseguono a distanza sempre più ravvicinata finchè, una volta che si è tolto di mezzo il Natale, non si fa altro che pensare e prepararsi alla grande orgia collettiva del Carnevale. In ufficio è stato già distribuito il calendario delle fetes, parola rimasta francese che indica le feste fino a notte inoltrata che precedono il Carnevale. Per tutto gennaio e febbraio ci saranno fetes ogni venerdì e ogni sabato. E negli ultimi dieci giorni ci saranno feste ogni singola sera, fino allo sfinimento.

Il Carnevale costa. I costumi sono carissimi, quelli semplici vengono tra i 350 e i 500 dollari americani, a seconda della band. E le fetes costano 50 USD a botta (ma con free drinks tutta la notte). Per questo le banche propongono i Carnival loans, prestiti espressamente finalizzati a vivere appieno il Carnevale, che vengono poi ripagati gradualmente durante il resto dell'anno. Alcuni decidono di non pagare l'affitto nel mese di Febbraio, altrimenti non ci stanno dentro. Spesso e volentieri i landlords capiscono e chiudono un occhio.

La preparazione al Carnevale è l'unica cosa che i Trinidini fanno per tempo, l'unica cosa in cui sono puntuali. Tutti prenotano i propri costumi con mesi di anticipo. Tutti si preparano scientificamente un programma di fitness per non sfigurare in bikini. Un mesetto fa volevo prenotarmi un costume in una delle bands di grido. Visto che non ho agganci che mi permettano di assicurami un posto, ho dovuto seguire la triste procedura di fare la corsa all'ultimo costume su internet. La band ha annuciato che avrebbe aperto le iscrizioni online il giorno 16 agosto, esclusivamente tra le 6 e le 8 di sera. Io alle 6 ero pronta, carta di credito alla mano, misure di vita-seno-fianchi espresse in pollici annotate diligentemente sul quaderno. Io lo giuro, ho provato a cliccare più velocemente possibile. Ma ciononostante non ce l'ho fatta. Alle 6:10 era tutto esaurito.