martedì 25 marzo 2008

Everybody fucks. Up. II

La domenica di Pasqua ci ha deluso con una pioggia insistente, che ha subito escluso l’ipotesi di andare in spiaggia. Abbiamo quindi passato l’intera giornata in casa, assistendo a molte strane cose e cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle per capire in che diavolo di posto fossimo capitate.

Fin dalle undici la casa è stata riempita da un flusso infinito di gente, che veniva portando fumo e alcohol da consumare nel patio. All’inizio sono arrivate prevalentemente donne e ragazze, tutte vestite in modo abbastanza vistoso. Catene d’oro, cinture con borchie, vestiti succinti. Una aveva un bambino piccolo, lei non arrivava ai vent’anni. Una aveva la pancia gonfie da alcohol. Mi hanno offerto whisky, che ho rifiutato imbarazzata. Mi sentivo molto a disagio, non capivo chi fosse questa gente, non mi pareva normale questo raduno. Lisa parlava in continuazione di safe sex, di AIDS e del suo progetto, che in un modo o nell’altro gravita intorno all’educazione delle sex workers e che ha come target la clientela bianca.

Piu’ tardi sono arrivati i ragazzi. Uno aveva diciannove anni e faceva il pescatore, aveva i capelli cortissimi e un disegno di una ragnatela che copriva metà della sua testa, con al centro la S di Spiderman. Un altro coi rasta aveva l’aria più educata, viveva in città e veniva a Maracas solo in vacanza. Si è messo a cucinare per tutti, e mi ha chiamata ai fornelli per spiegarmi come si faceva a fare quello specifico piatto. Erano tutti gentili con me, ma nella maggior parte dei casi facevo moltissima fatica a capire quello che dicevano a causa del loro accento incomprensibile.

La cosa pazzesca era che ognuno portava qualcosa in quantita' industriale. Birre. Rum. Cibo. Qualcuno cucinava, qualcuno lavava i piatti, tutto era condiviso e Lisa in qualche moido era il centro magnetico di tutto. L’atmostfera non era festosa, c’era un che di depravato nell’aria che non riuscivamo a decifrare. Tutto affondava in un melmoso delirio tropicale, obnubilante e deleterio. C’era anche un sacco di marijuana. Rollavano in continuazione, fumavano una canna dopo l’altra, senza interruzione. Perfino Orisha era colpita dalla quantità di fumo, lei che è figlia di padre rastafari che quando era piccola la metteva al tavolo da lavoro a rollargli 12 canne all’ora.

La presenza di tutta questa gente in casa sollevava molte domande. Come poteva essere che Lisa fosse così popolare in così poco tempo? Come era possibile che tanta gente gravitasse intorno a casa sua senza che ci fosse un motivo? Che tutti portassero tanta roba a lei e al Capitano? “Non lo farebbero se non ci guadagnassero qualcosa”, mi diceva Orisha.

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