venerdì 7 marzo 2008

Cercar casa

Come sempre, il più grande fastidio connesso all’arrivo in una nuova, ulteriore città è la home-hunting, caccia alla casa, che deve possibilmente concludersi entro una decina di giorni dall’atterraggio, e riportare un trofeo di una accomodation centrale, graziosa, con coinquilini simpatici e poco costosa. Poi a Port of Spain si aggiunge come sempre, quasi fosse una tassa su ogni prodotto, la garanzia della sicurezza. Nonostante la fatica, anche cercare casa può essere utile per capire più a fondo una cultura, perché costringe ad interagire, parlare, trattare, sbirciare, commentare con la gente del posto. E scoprire come queste piccole azioni si svolgano in modo diverso da questa parte dell’oceano.
Per esempio non avevo mai pensato che per trovare una casa risarei trovata “a parlare con quello del negozio di alimentari, hai presente?, un vecchio rastaman che conosce tutti nel quartiere, digli che ti manda Clarissa, la ragazza bionda con la bicicletta, mi ha preso in simpatia perché abbiamo scoperto che abitavamo nella stessa zona di Brooklyn tanti anni fa, e lui ti porterà mano nella mano di casa in casa, con i capelli raccolti in una torre sulla testa. Si chiama Tiger”.
Oppure che entrando in una guest house ormai piena la signora si sarebbe messa a parlare con me per mezz’ora su cosa potessi fare, e che quando le avessi menzionato che avevo la possibilità di vivere a Belmont avrebbe voluto vedere esattamente dove sulla cartina, e si sarebbe messa a fare un giro di telefonate alle sue amiche per assicurarsi se fosse un strada abbastanza safe. Mi ha salutato dicendomi: “Ovunque tu vada vivere a Port of Spain, ricordati di uscire di casa a un’ora leggermente diversa ogni mattina. You never know who’s watching you”.

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