lunedì 29 settembre 2008

Beheaded

La polizia a Trinidad fa paura. E' corrotta e incapace per il singolo cittadino. E' istigatrice di ulteriore violenza per i criminali. Qualche mese fa un amico di un amico di un amico ha sparato a un poliziotto. Il poliziotto era andato a trovare la sua amante, e l'aveva trovata a letto con questo. Si e' arrabbiato e gli ha puntato la pistola di servizio. Il ragazzo ha reagito, ha lottato, e' riuscito a prendere l'arma, a ferire il poliziotto e scappare con la pistola. La settimana scorsa e' stato trovato morto. Decapitato. Non e' una cosa che si vede tutti i giorni, neanche a Port of Spain.

Certo, non si puo' dire con certezza che sia stata la polizia, ma diciamo che non e' da escludere. La decapitazione e' una misura un po' eccessiva, ma magari e' stato fatto per depistare le indagini. O magari e' andata in un altro modo, ancora piu' comodo per l'agente in uniforme. Il poliziotto potrebbe aver scoperto a quale gang appartenea il ragazzo, ed essere andato a istigare i rivali. Succede spesso, la polizia lascia volentieri che si ammazzino fra loro. A volte basta un incoraggiamento e una promessa di non perseguire gli assassini. A volte li pagano pure.

Cuochi

Il cuoco di Piero si chiama Alee. Alee e' un bel ragazzo rasta afro-americano, che viene da Washington DC. E' arrivato a Trididad con la sua giovane moglie, anche lei rasta, una bellisima mulatta. Hanno due slendidi bambini, lei di 10 anni, lui di 9. Con la pelle d'oro, gli occhi vivaci, e lunghi rastini selvaggi che gli cadono sulle spalle. Tutta la famiglia sta da Piero nel week-end, mentre in settimana i gentori lavorano e i figli vanno a scuola in citta'.

Stavamo bevendo una bottiglia di vino rosso buona (che rarita' a Trinidad!) nella sala coi portici sulla spiaggia, e ascoltavamo una conversazione culinaria. C'era fra noi anche Christian, un ragazzo italiano simpatico e sensibile che dopo una serie di traverie si e' trovato capo-chef di Prime, il miglior ristorante dei Caraibi, qui a Port of Spain. Alee e Christain chicchieravano di nuovi progetti, cose da fare insieme. Era bello starli a sentire, cosi' appassionati del loro lavoro. Alee ci aveva appena preparato delle tartine con burro di frutto della passione e pesce con polenta. Tutto delizioso, e tutto generosamente offerto da Piero, come fossimo vecchi amici. Alee diceva che il suo progetto per la cucina di Piero era di far venire fuori, in modo quasi socratico, tutto il potenziale delle talentuose ma poco raffinate cuoche locali. Bastava introdurre un piccolo tocco esperto ai loro piatti tradizionali, e tutto sarebbe stato perfetto.

Alee e' partito nel pomeriggio con tutta la sua tribu'. Christian invece e' rimasto con noi, e in poche ore siamo diventati amici. Abbiamo nuotato, abbiamo bevuto, abbiamo guardato il tramonto sul mare tutti insieme. Abbimao riso e abbiamo parlato. E' stato un bellissimo pomeriggio, nessuno di noi voleva tornare a casa. Stavamo facendo i bagagli promettendoci di vederci presto, quando e' arrivata la telefonata di Piero da Port of Spain. "Ragazzi, restate una notte in piu', mi siete tutti simpatici. Restate senza pagare, cosi' ci vediamo quando torno. E poi domattina faremo colazione insieme all'alba, prima che partiate per andare a lavorare a Porto di Spagna". Cosi' e' stato, e abbaimo passato una serata inattesa e regalata giocando a trini-briscola e guardando le stelle...

Baby turtles

Siamo scesi per cena troppi tardi, la cucina era gia' chiusa. Piero ci ha offerto un po' di gelato di cocco fatto dalla sua cuoca, e ci ha parlato della vita a Grande Riviere. La nostra chiacchierata e' stata interrotta da Dave, un uomo silenzioso che ha appena cominciato a lavorare per lui. In realta' Piero non aveva bisogno di personale, ma Dave e' arrivati e ha chiesto lavoro. Piero ha risposto che non ne aveva bisogno, ma lui si e' esso a lavorare lo stesso. Alla fine della giornata, Piero gli ha detto va bene. Resta quindici giorni e poi vediamo cosa si puo' fare. Dave sta con lui da tre giorni, non parla quasi mai, se ne sta nella sua stanzetta e lavora tanto. Ieri ha portato su le sue diue bambine, due negrette piccolissime. E lui se ne va in giro per il portico tenendole per mano, tutto orgoglioso.

Non voleva interromperci, ma non ha potuto farne a meno. "There are one hundred baby turtles on the beach!", ha esclamato concitato. Grande Riviere e' una delle spiagge al mondo in cui arrivano piu' tartarughe a deporre le uove. Ora siamo fuori stagione, e per questo non ci sono ne' guardie ne' turisti. Ma mentre le mamme stanno al largo, le uova si schiudono, e le piccole tartarughine cominciano la loro corsa verso il mare... Piero gli ha subito detto di prenderne piu' che poteva, di metterle in un secchio. Ce le ha fatte vedere, erano piccolissime e bellissime, potevano stare sul palmo di una mano. E' incredibile pensare che quelle che sopravviveranno diventeranno degli animali enormi, pesanti centinaia di chili e lunghi quasi due metri.

Dopo averle osservate per un po' siamo andate a metterle in mare. Le abbiamo depositate delicatamente sul bagnasciuga, e con la luce dei cellulari le abbiamo attratte verso le onde. Era buffo vedere come ci seguivano, si precipiatavano a rotta di collo verso la luce, poi quando vedevano le onde grandi si spaventavano e tornavano indietro. Alla fine ce l'abbiamo fatta, le tartarughine sono andate in acqua. E noi ci siamo sentiti per un attimo come dei piccoli eroi.

Piero

Piero era un fotografo. Si faceva spedire ai quattro angoli della terra, 2-3 settimane alla volta, e fotografava. Non era facile in una ventina di giorni scarsi riuscire ad immergersi in una realta' completamente etsranea, comprendere una situazione geopolitica complessa, immedesimarsi in un luogo e in un popolo sconosciuti, e riuscire a racchiudere tutto in una fotografia, uno scatto, un'istante catturato alla realta'. E non era facile viaggiare vorticosamente, accompagnando ogni volta un giornalista diverso, in un turbinio di colori-odori-sapori-concetti nuovi senza nessuno con cui condividerli. Ma Piero era un professionista, lavorava per un'agenzia francese che serviva Panorame e L'Espresso, il Times Magazine, Le Figaro e chi piu' ne ha piu' ne metta. Un professionista instancabile. Fin quando non ha messo piede a Trinidad.

Piero e' arrivato a Trinidad quidici anni fa, per fare un servizio di fotografie-ritratto al premio Nobel per la Letteratura Derek Walcott per Marie-Claire. Ha fatto un giro alla punta nord-est dell'isola, dove si incontrano il Mar dei Carabi e l'Oceano Atlantico. Ha attraversato i villaggi di Toco, Sans Souci, Monte Video. E' arrivato a Grande Riviere, un paesino di trecento anime con una bella spiaggia pulita e deserta dove sfociava un piccolo fiume lento e con tutto intorno la foresta. E li' si e' fermato.

Piero ha costruito un meraviglioso albergo sulla spiaggia, talmente i armonia con l'ambiente che sembra che sia emerso dalla sabbia insieme ai mandorli e ai gigli selvatici. Rustico, semplice, di buonissimo gusto. Con una grande sala tutta apera ai lati, circondata da portici che incorniciano l'orizzonte marino in quadri viventi. Tavoli di legno fatti fare da lui, arte locale alle pareti, pavimento in pietra su cui si cammina a piedi nudi. Le camerette sono carine e spartane, ognuna di un colore diverso, con tante finestre e pezzi sparsi di artigianato locale. Tutto intorno ci sono alberi piantati da lui, in uno stile apparentemente casuale, naturale, che rispetta il carattere rigoglioso della natura caraibica. Fiori e frutti ovunque. E ovunque ci sono statue e totem di legno che emergono ironicamente tra le foglie, come grossi funghi. La sintesi perfetta tra arte e natura. Tantoche una volta il suo albergo e' stato usato per un ritiro di un gruppo di artisti, che come ringraziamwento per l'ospitalita' si sono lasciati alle spalle un sacco di murales sulle pareti delle stanze, dentro le docce, dietro le porte.

Deve essere stato difficile fermarsi qui, dopo una vita di viaggi con base a New York. Stare a Grande Riviere tra gente semplicissima, con un'esperienza di mondo che spazia al massimo una ventina di chilometri. Costruire tutto da solo, renderlo bello, utilizzare solo materiali naturali, non usare nessun pesticida, mantenere l'habitat intatto. Deve essere stato difficile farsi accettare come straniero nella comunita' locale, senza venire isolato ma anzi essendo amato e rispettato. Tutti lo adorano, al villaggio. Lo considerano un saggio, alcuni quasi lo trattano come un padre. Deve essere stato difficile passare da una vita di liberta' totale alla responsabilita' morale di essere un punto di riferimento per un villaggio intero, in una qualunque isola caraibica...

Appena siamo arrivati a Mt. Plaisir Piero ci ha fatto vedere i suoi alberi, ci ha fatto assaggiare i suoi frutti. Uno grande e giallo chiamato golden apple. Delle castagne tropicali, delle piccole prugne. Ci ha portato a vedere il suo terreno, dove si sta piano piano costruendo una casa nella foresta con un balcone talmente enorme e piatto e non-finito che mi sembrava di essere in una casa sugli alberi. Ci ha fatto vedere la sua serra, dove coltiva basilico e prezzemolo, cavoli e insalata e frutti diversi di tutto il mondo. Ogni tanto qualcuno gli porta una pianta nuova, e lui la mette nel suo giardino. Proprio l'altro giorno ha scoperto che uno di questi alberi ha dato luce ad un frutto nuovo, che non esiste nei manuali di biologia. Un frutto grandissimo con polpa densa e arancione, dal sapore misto tra mango e pesca. Ne fara' dei buonissimo frullati.

Alla fine del nostro giro Piero ci ha guidato attraverso un sentierino tortuoso, con l'erba alta fino al ginocchio, fino all'ansa del fiume. Ci siamo tuffati nell'acqua fresca, mentre si avvicinava la sera. Gli aberi intorno erano gia' neri d'ombra, mentre il cielo era ancora azzurrissimo con nuvole bianche, come in quadro di Magritte. Quando siamo usciti tutti gocciolanti lui mi ha guardato con gli occhi che ridevano e mi ha detto: "Hai capito adesso perche' ho deciso di stare qui? Per tutto questo!"

venerdì 26 settembre 2008

Panyard

Finalmente sono andata in un panyard. Ne avevo letto descizioni un po' ovunque, tutte le guide raccomandano di visitarne almeno una durante un soggiorno a T&T. Qualche venerdi' fa mi e' capitata l'occasione.

Un panyard e' un pan-yard, cioe' letteralmente un cortile (yard) dove si suona lo steel-pan (o piu' seplimcemente pan). Lo steelpan e' uno strumento a percussione trinidino che vanta l'insolita caratteristica di essere melodico, oltre che ritmico. Lo strumento in se' consiste un una specie di semisfera metallica, che si suona con stecchini (tipo xilofono) nella parte concava. Il suono e' acuto, morbido e argentino. Lo steelpan e' nato nella comunita' africana, che ha sviluppato l'idea di usare fondi di barili metallici come strumento musicale. Lo steelpan si e' poi gradualmente evoluto, raggiungendo la piena maturita' dopo l'indipendenza nel 1962, diventanto cosi' il piu' giovane strumento musicale del mondo . Oggi lo steelpan si usa soprattutto intorno a Carnevale, quando si fanno vere e proprie (e a quanto pare interminabili!) gare musicali intorno alla Savannah. Inoltre molti gruppi musicali dei generi piu' svariati lo aggiungono come strumento di accompagnamento per dare un dolce e squillante tocco autoctono ai loro concerti.

Lo steelpan si suona tradizionalmente in grandi gruppi nelle panyards, che si trovano tutt'al piu' nel quartiere di Woodbrook. La sera in cui sono andata si sono esibiti tre o quattro bande di grandezza diversa. La migliore e' stata la prima, in cui suona tra l'altro il piu' grande pannist di Trinidad (e quindi del mondo), che ci ha deliziato con degli assoli da togliere il fiato.

Come al solito la cosa piu' interesante di quest'esperienza e' stata l'atmosfera. Quando mi avevano detto che si trattava di un "concerto", mi ero aspettata un presentatore, sedie e palco e applausi alla fine. E invece come sempre e' stato tutto diverso. I cancelli di questo grandissimo cortile erano aperti, e la gente andava e veniva in tutti i momenti, senza ordine, senza biglietto di ingresso, senza ora di inizio ne' ora di fine prefissata. C'erano stands col cibo in un angolo e sedie sparse di cui ci si poteva appropriare. Si poteva chiacchierare, mangiare, bere e scherzare mentre le bands suonavano. E il pubblico era davvero eterogeneo, come raramente si vede nella classista Trinidad. C'erano vecchietti che seguivano con il dito indice il susseguirsi delle note, come immaginari direttori d'orchestra. Gruppuscoli di ragazzi del microcosmo intellettuale che si incontrano a tutte le feste. Staff ONU con rispettivi mogli e mariti. E perfino barboni, perche' no? Si vede che anche nella comunita' dei senzatetto si era diffusa la voce dello spettacolo nel panyard, e loro hanno intrapreso la traversata di Port of Spain, da Downtown a Woodbrook, per farsi due passi di danza.

mercoledì 24 settembre 2008

Cibo

A Trinidad il cibo locale e' generalmente chiamato "creolo". Il cibo creolo e' abbastanza vario e interessante e sarebbero molti i piatti che meritano una bella descrizione.

Si puo' cominciare dallo street food. Il roti, cibo appartenente alla cultura indiana che e' diventato il piatto trinidino per eccellenza e senza dubbio una delle cose che mi manchera' di piu' quando me ne dovro' andare via.E' un wrap, una specie di piadina morbida (oddio, proprio per dirla all'italiana!) la cui pasta puo' essere di farina semplice (bussupshut) o con ceci, che qui chiamano channa. Il ripieno e' originariamente solo di verdure (patate e ceci, fagiolini qui chiamati bodi, zucca) cotti con grandi quantita' di un certo burro indiano e curry o mango fatto alla maniera chutney. Presto pero' al roti tradizionale vegetariano e' stato aggiunta la carne, ovvero pollo o manzo al curry.

A proposito di pollo, mi e' stato detto che Trinidad e' il paese al mondo con il piu' alto consumo di pollo per capita. Curioso, no? Tra i fast food KFC regna sovrano, insieme ai suoi vari omologhi locali, mentre Mc Donald e' stato un tale fiasco che l'hanno ritirato dal mercato. Il pollo si mangia ovunque e in tutte le salse, e fuori citta' in piccoli poultry shops si vendono ancora i polli vivi, in caso uno non volesse togliersi il piacere di strangolarne uno con le sue mani.

La cosa che colpisce di piu' e' che pur essendo un paese tropicale la frutta manca qusi totalmente dal menu', come anche la verdura fresca. L'insalata viene servita pallida e scondita e non sorprende che non desti gli entusiasmi dei locali. Il motivo per la tragica carenza di frutta e' che dopo la scoperta di gas e petrolio lo Stato ha ben pensato che non ci fosse piu' bisogno dell'agricoltura, ed ora Trinidad si trova a dover importare quasi tutto cio' che c'e' di commestibile, a prezzi esorbitanti. Ma c'e' un grande mercato ortofrutticolo la domenica mattina, fuori citta'... Devo trovare il modo di andarci!

I carboidrati sono tradizionalmente ricavati da provisions, cioe' mille e piu' tipi di patate (dasheen, casava etc) e banane grandi che si mangiano solo cotte (plantations). Negli ultimi decenni si e' diffuso anche il riso. La pasta si usa solo per fare una disgustosa macaroni pie, una torta di pasta scotta tenuta insieme da un formaggio colloso. Le altre pies invece sono buonissime (corn pie e potato pie). Il pane praticamente non esiste, e ce n'e' di una sola varieta', soffice e insipido. Pero' d'altro canto c'e' il bake, una specie di focaccia deliziosa arricchita di scaglie di cocco o altri saporini. C'e' anche il bake semplice, lo stesso che viene fritto e usato per il celeberrimo bake and shark.

Non ho visto molti dolci, qui la gente mangia salato a colazione. Per esempio si mangia il saba roti, una specie di roti piu' piccolo e leggero, spesso con un solo ingrediente, che puo' includere anche verdure diverse da quelle elencate prima ma sempre preparate in burro e curry. Torte e affini sono piu' una cosa da pomeriggio, molto occasionale. In generale il cibo si preferisce saporito e piccante. Al contrario, sono le bevande ad essere molto dolci, anzi addirittura dolciastre. Succhi di frutta zuccherosissimi e una serie di altre bevande strane (al ginseng, al malto, al tamarindo e al mobi, una radice locale). L'acqua di cocco e' una cosa divina, si trova fresca intorno alla Savannah o anche imbottigliata.

Insomma sono tante le cose buone, anche se a volte viene voglia di cibo "normale". Per fortuna ho appena scovato un gelataio italiano a Ellerslie Plaza che mi fa davvero sentire a casa... Come ho fatto a sopravvivere tanti mesi senza gelato?

Droghe

Le droghe che si consumano a Trinidad sono piuttosto diverse da quelle che si consumano in Europa. Si sa che Trinidad e' un crocevia per il traffico di cocaina, che viene importata direttamente dalla Colombia. Quasi tutte le belle ville di St. Claire e Cascade e in generale della zona ovest sono costruite coi profitti della droga. Eppure quasi nessuno ne fa uso, tranne pochi appartenenti alle piu' alte sfere sociali. Il motivo della mancanza di interesse nel consumo sembra essere la carenza dell'offerta, dato che i profitti della cocaina venduta a Trinidad sarebbero infinitamente piu' bassi di quelli realizzati negli Stati Uniti o in Europa con la stesa quantita' di sostanza. Nemmeno l'eroina e' molto presente, ai Trinidini non piace molto l'idea di bucarsi. Gira invece un po' di pu' il crack, economico e terribile. C'e' una donna che se ne sta sempre a St. James, una specie di personaggio urbano, alta alta magra magra, tutta emaciata, che da una decina di anni gira per le strade tenendosi in piedi con il solo crack. Si dice che un tempo fosse una modella. Poi ci sono le sostanze chimiche, consumate piu' ai raves e tra gli adolescenti. La marjuana e' naturalmente diffusissima, parte integrante di una cultura rastafari abbastanza fiorente (anche se mai come in Jamaica) e semplicemente economica e disponibile un po' ovunque. Nonostante questo, le leggi contro il consumo di droghe leggere sono severissime. Non esiste il consumo minimo, e se uno viene beccato con greens addosso finisce direttamente in carcere. Per mesi.

lunedì 22 settembre 2008

Girls

Sono appena tornata da un week-end a Tobago con le mie girlfriends. Sette ragazze di eta' compresa tra i tre e i trentacinque anni. La dolce Lea, mezza tedesca mezza indonesiana, che ha viaggiato per un anno intero zaino in spalla attraverso tutta l'Australia ma che ha conservato una delicatezza da fore di campo. La principessa Sissy, di origini e fattezze cinesi ma nata e cresciuta in Olanda, con i suoi vestitini deliziosi e le sue scarpette e la vocina da uccellino e innata eleganza, che ha abbandonato una carriera da avvocato per fare la volontaria in un posto a caso nel mondo. Trudy, trinidina nera, alta e bella, con rasta sottili, risata cristallina, una naturale energia positiva che emana parlando veloce, muovendo le mani. La sua amcia Cathrine, una presenza un po' piu' opaca, piu' chiusa in se' stessa. Terry, con i suoi foulard colorati ad avvolgere i capelli afro, il suo modo vivido e figurato di descrivere le cose, l'attitudine caraibico-bohemienne con cui vive nel mondo, raccoglie bacche sulla spiaggia e balla fino all'ultimo sgocciolio della notte. Sua figlia Neena Blue, bambina estroversa e ridente, abituata a conoscere una nuova persona ogni singolo giorno della sua vita, che mi chiama auntie Vivi.

Abbiamo fatto dodicimila cose in due giorni. Siamo state a chicchierare in un getty sul mare nel mezzo della notte, abbiamo fatto colazione con frutta tropicale in una terrazza sul'oceano, abbiamo passato una giornata in spiaggia a Pigeon Point, facendo fotografie, chiacchiere e tuffi. Siamo andate tre volte in tre giorni a mangiare pizza e gelato (vera pizza e vero gelato, che delizia!) nel ristorante italiano di Tobago, dove abbiamo fatto amicizia con camerieri e proprietari. Abbiamo fatto un road trip intorno a tutta l'isola, ci siamo perse sui monti, io ho guidato per la prima volta nella mia vita una macchina automatica e con la guida a sinistra in stradine di montagna piene di buche mentre le altre dormivano. Ci siamo fermate nei villaggi di pescatori, abbiamo guardato il tramonto sul mare in una spiaggia vuota con un solo masai bellissimo che correva sul bagnasciuga, abbiamo mangiato un quintale di tonno appena pescato sugli scogli. Abbiamo perso l'aereo e consegnato la macchina in ritardo. Abbiamo sentito un concerto jazz e poi abbiamo scoperto che tutti i musicisti erano italiani. Io e Terry abbiamo deciso di essere indifferenti alla nostra spossatezza e abbiamo tentato di andare a ballare ma siamo finite solo a chiacchierare con il proprietario di una discoteca meticco e sudafricano con un sacco di storie da raccontare, con un passato di soldato per le Nazioni Unite che ha servito nei Balcani e in Iran e che adesso apre discoteche e coltiva piante esotiche a Tobago. Ce l'ha anche fatta vedere, la sua ultima piantina, importata di contrabbando dal Giappone e alta solo un pollice. Ne era orgoglioso come fosse il piu' prezioso dei tesori...

venerdì 19 settembre 2008

Regalo

I landlords di Lea sono una coppia assurda. Lea e' una ragazza tedesca belissima e dolcissima che sta facendo un'internship in ECLAC, una delle varie agenzie ONU a Trinidad. Peccato che resti solo due mesi, perche' e' esattamente l'amica Europea simpatica, sensibile e aperta di cui sento tanto la mancanza. Lea e' arrivata a inizio agosto e se ne sta in una casetta a Cascade insieme ad una coppia molto improbabile.

Lei e' inglese, sui cinquanta. Lui e' trinidino, over-settanta. Entrambi bellissimi. Lei minuta, bel viso, capelli lunghi biendi e occhi azzurri. Ancora l'aria da ragazza, lunghe gonne colorate e scialli hippy un po' fuori moda. Lui sembra Saladino. Ancora drittissimo e in gamba, se ne va in giro sempre con un turbante rosso e una giacca indiana doppio petto bianca, un personaggio che non si puo' fare a meno di notare. Hanno vissuto in India, in Inghilterra, e chissa' in quali altri strani posti. A prima vista sembrano un po' troppo strampalati per essree veri, ma poi si scopre subito che sono persone deliziose e al centro di un vero vortice di vita sociale qui a Trinidad.

Mercoledi' erano presenti all'apertura del festival. Lei era stanca, se n'e' andata a casa verso l'una. Il marito quasi ottuagenario se n'e' rimasto li' in discoteca, col suo bel turbante, ad ascoltarsi la musica. Ad un certo punto io stavo ballando ed e' venuto a ballare con me. E' stato molto carino, abbiamo ballato insieme tipo 5 minuti buoni, lui era bravo. Ci siamo divertiti. Alla fine lui era contentissimo, mi ha detto che ballare gli piace un sacco, che stava passando una bellissima serata. Aveva voglia di ringraziarmi in qualche modo per danza, e visto che io non avevo voglia di bere alcohol lui ha aperto il suo borsello, e con delicatezza ne ha tirato fuori una piccola canna. "E' per te", mi ha detto, con aria da nonno.

Arresto

Marlon e' l'amico di Mister K che vive a Tobago. E quello a cui piaccio anche se sono bianca, quello che non ha finito neanche le quinta elementare, quello che raccoglie i cuccioli per strada e poi li cura, quello che non capisco niente quando parla ma ha gli occhi buoni e quello che mi ha detto in un momento di vicinanza che l'unica persona al mondo di cui si fida ciecamente e' K.

Marlon settimana scorsa e' stato arrestato, assieme ai suoi colleghi con cui lavora al cantiere. Lo hanno preso perche' la polizia era alla ricerca di un certo criminale, e stava arrestando tutti quelli che "gli somigliavano" per un interrogatorio. L'interrogatorio alla fine non c'e' stato. In compenso, Marlon e amici vari sono stati trattenuti in carcere per ventiquattr'ore senza uno straccio di motivo. Tanto sono troppo ignoranti per fare causa.

Uno di loro era in cella da solo, e a quanto pare sul pavimento c'era uno strato di due dita di feci e urina, ovunque tranne che in un angolo. Lui ha dovuto passare tutte le ventiquattr'ore in piedi nell'angolo. Gli altri ragazzi erano raggruppati in modo un po' casuale nelle vare celle. C'erano escrmenti ovunque, ma per fortuna in generale c'era abbastanza spazio per sdraiarsi, almeno a turni.

Li hanno rilasciati il giorno dopo, senza troppe spiegazioni. Anzi, una spiegazione a dire il vero c'e' stata. Il commissario ha detto che non li aveva interrogati perche' la sera prima era uscito con una donna. Aveva lasciato l'ordine di liberarli in serata, ma a quanto sembra il secondino se n'era scordato.

Filmfestival opening night

Non ho ancora ben capito come, ma mercoledi' sera mi sono trovata a fare la hostess alla serata di apertura del Trinidad and Tobago Film Festival. Non e' stata una gran fatica, devo dire. Dovevo stare in piadi all'entrata con la mia amica Lea, indossando un bel vestitino e un bel sorriso. L'obiettivo era dare una parvenza di organizzazione e controllo sull'evento, che in teoria era strettamente riservato agli invitati. In pratica, ognuno si poteva infiltrare attraverso le porte del Movie Theatre semplicemente dicendo a noi due cariatidi che si era dimenticato l'invito in macchina. Per il resto del tempo, io e Lea siamo state libere di mangiare, bere, vederci il film, stare coi nostri amici e goderci la serata come qualunque ospite. Abbiamo cenato a popcorn e ci siamo beccate un'ora e mezza di filmone sul Venezuela di inizio secolo. Poi siamo andate con tutti gli ospiti in trasferta allo Zen per l'after-party al rooftop, la terrazza sul tetto molto glamorous, con luci colorate, vino bianco a profusione e camerieri indaffarati a servire involtini psudo-giapponesi. C'era un po' tutto il jetset di Trinidad, o meglio jetset artistico-cultiurale, dato che quello ben piu' potente politico-petrolifero vola troppo in alto per essere afferrato dagli organizzatori del filmfestival. C'erano molti soliti noti, e mi sono sentita una vera social butterfly volando di fiore in fiore al ritmo della musica jazz. Continuavo a pensare che era tardi e sarei dovuta andare a casa, ma non avevo il coraggio di interrompere quel piacere. Sono rincasata tardissimo con Terry e Felix, dopo aver follemente ballato sulle note di una cantante trinidina eccezionale che ha contagiato tutti i presenti con la sua elettrica magia .

martedì 16 settembre 2008

La perdita di Orisha

La cosa piu' brutta che mi e' sucessa a Trinidad e' stata la perdita di Orisha. Finalmente settimana scorsa abbiamo litigato, e cosi' la cosa si e' definitivamente chiusa.

Non posso dire che fossimo "amiche", ma stavamo bene assieme in misura sufficiente da condividere molto del nostro tempo libero. Parlavamo di tutto, di Trinidad, di lavoro, di poesia, di sentimenti. Frequentavamo la stessa gente, o piuttosto io frequentavo la gente che lei mi presentava, e mi ci trovavo bene. Siamo andate insieme a mille concerti. Lei mi offriva sempre le sue arance. Le ho regalato una piantina che ancora oggi lei innaffia. L'ho truccata per il suo colloquio di lavoro, l'ho aiutata a scegliere i vestiti. Lei cantava per me e mi invitava ad andare al Globe i pomeriggi delle domeniche in cui non c'era nulla da fare.

Poi c'e' stato Tobago, a fine maggio, un weekend regalato da Wilma. Nel baricentro temporale dell'evoluzione affettiva col Mister, che per motivi contingenti e completamente estranei Orisha ha invitato a unirsi a noi per questo breve trip. E lui e' venuto, e io e lui abbiamo parlato, e Orisha si e' trovata davanti agli occhi la lampante verita' che a sua insaputa noi ci eravamo sentiti per tutti quei mesi e c'era una tensione strana tra noi. Non so quale sia stato il problema. Si e' sentita tradita perche' non l'avevo resa partecipe della cosa? Si e' sentita isolata perche' una sera ci siamo presi un'oretta per parlare da soli? Si e' sentita smarrita perche' non aveva previsto nulla? Era gelosa di me? Era gelosa di lui? So solo che d'un tratto ha smesso di parlarmi, ha smesso di rivolgermi la parola, ha cominciato a trattarmi male. Io non ho reagito con rabbia, anzi al contrario. Ho lasciato che mi ferisse, in modo forse un po' masochistico. Quella e' stata la prima volta che ho visto K arrabbiato. Eravamo in macchina noi tre, lui era furioso per il modo in cui lei si stava comportando nei miei confronti, l'ha accusata, l'ha sgridata, l'ha zittita. Io non ho detto nulla. E Orisha al posto che odiare lui per il modo in cui la stava umiliando, ha deciso di odiare me ancora di piu'. O almeno credo.

Al ritorno da Tobago lei mi ha messo in guardia, mi ha detto di non fidarmi di lui, perche' "Il solo motivo per cui lui manifesta interesse per te e' il colore della tua pelle, le bianche non sono altro che un trofeo da esibire". Credo fosse in buona fede, credo lo credesse davvero mentre lo diceva. Forse ci e' rimasta male perche' non le ho creduto, perche' non ho seguito il suo consiglio. Forse. Nei giorni successivi io ho cercato di parlare dell'accaduto, lei si e' sempre rifiutata. "Non c'e' nulla da dire su Tobago". Io le dicevo che tra amici le cose si chiariscono. Lei rispondeva che non siamo mai state amiche.

Il suo silenzio non e' venuto di botto, si e' sviluppato col tempo. C'era della freddezza prima della mia partenza per l'America Centrale, che si e' traformata in totale indifferenza dopo il mio ritorno. Forse perche' stavo meno tempo con lei, perche' ho cominciato a uscire con altre persone. Forse perche' sentiva il rumore della macchina di lui davanti casa quasi tutti i giorni, e mi sentiva scendeve veloce giu' dalle scale. Eppure io ho provato piu' volte a bussare alla sua porta, a chiedere come le fosse andata la giornata. A invitarla qua e la'. Lei rispondeva a monosillabi, respingendomi. Dopo un po' ha anche smesso di dirmi "ciao" quando ci incrociavamo nel sottobosco. Ultimamente non reagiva nemmeno piu' quando la salutavo, si voltava dall'altra parte. Non era piu' indifferenza, era proprio odio.

Qualche giorno fa le ho chiesto what the fuck is wrong with you. Questo e' l'unico tono con cui si piu' essere presi sul serio da lei, la gentilezza non ha mai avuto nessun effetto. Lei ovviamente ha risposto con insofferenza che non c'era nulla, era tutto a posto. "Perche' hai smesso di rivolgermi la parola da un giorno all'altro, out of the blue?" Lei mi ha guardata con aria di sfida, scegliendo con cura le parole che pensava avessere piu' effetto distruttivo su di me. "Vivian, io non ti devo proprio nulla. Sei semplicemente una che sta in casa di Wilma. Ho fatto il mio dovere all''inizio, ti ho fato vedere una minima la citta', ti ho presentato due persone, ora mollami. Tu non sei nessuno per me". Io le chiedevo da dove venisse tutto questo astio. "Cosa ti ho fatto, Orisha? Ci sara' pure una cosa che ho fatto perche' tu abbia smesso di salutarmi. Dimmi che cosa, forza, dimmi cosa ti ho fatto". Lei svincolava, io la incalzavo. Un dialogo fra sordi. Alle mie domande rispondeva cose che non c'entravano nulla. Io ero dura, come lei non e' mai stata abituata a vedermi. Sono passati, i mesi della mia fragilita' iniziale.

"Orisha, all I want is to have a normal human interaction with you since we live in the same house. I don't want to go out with you, I don't want to lime with you, I don't give a shit", le ho detto sperando di chiarire una volta per tutte la situazione. E a quel punto e' successa una cosa che mi ha sopresa terribilmente, tanto che ancora adesso non me ne capacito. L'ho vista ferita, nella voce, negli occhi. "So, you don't give a shit! Finally you expressed your true feelings! Ok Vivian, goodbye. You can be happy at least I said goodbye to you today". Ed e' uscita di scatto, sbattendo la porta.

Mas - final

Mas se n'e' andato di nuovo, stavolta per davvero. Andra' a vivere da sua nonna, nella stessa catapecchia dove era stato recuperato anni fa. Fine del cerchio. In questi mesi sono successe tante cose. L'ultima e' stata che e' stato sospevo per due settimane dal lavoro perche' in un impeto di rabbia ha sfondato una porta. Poi per la tristezza si e' ubriacato e si addormentato sul marciapiede, all'angolo di Frederick street, dove Jesus (che intanto ha ricominciato a parlargli) l'ha trovato di mattina. Gregoire lo e' andato a recuperate, lui e' arrivato da Wilma ancora sbronzo, io l'ho visto di sfuggita alle 8 di mattina mentre andavo a lavorare. Si e' messo a fare il pazzo, Wilma ha chiamato la polizia, poi per l'ultima volta gli ha detto di andarsene. Ormai e' fatta, non c'e' piu'. E devo ammettere che in tutta sincerita' mi interessa poco. Nella vita c'e' chi viene e c'e' chi va, lui ha avuto le sue opportunita' e le ha sprecate, ma in qualche modo trovera' sempre la maniera di cavaersela. Questi mesi mi hanno resa molto, molto piu' insensibilie.

Cliche

Ho avuto un momento cliche. E concedetemelo.

Di ritorno da Maracas Bay, con due ragazze e tre ragazzi, tutti internazionali, gente che conosco appena. Una giornata cominciata con un acquazzone tropicale e noi sei coraggiosi dentro una macchina a dirigerci verso la spiaggia. Poi e' spuntato il sole e siamo rimasti a oziare per qualche ora sulla sabbia umida e vuota. Abbiamo mangiato "Bark and Shake" e abbiamo parlato dei nostri lavori e dei nostri viaggi.

Siamo tornati all'ora del tramonto, e ci siamo fermati sulla grande curva che guarda verso Occidente. Si vedeva tutto il mare, la costa nord di Trinidad, qualche isolotto sparso. Il cielo era striato, il sole rosso stava scendendo. Ci siamo fermati, abbiamo scavalcato di guard rail, ci siamo seduti tutti in fila su una roccia a guardare il sundown. Felipe ha comprato birrette fredde per tutti, Chris ha lasciato la macchina accesa e aperta con musica di Bob Marley. C'era un'aria di vacanza, c'era una brezza fresca, il cielo diventava piano piano rosso, giallo, verde. Nuvole stracciate riflettevano i colori riflessi del sole. Lo scintillio dorato dell'acqua era interrorro solo dalle isole, masse muschiose di ombra verde. Noi avevamo i vestiti bagnati, la pelle salata e dodicimila punture di sunflies. Bobby ci diceva che aveva ammazzato lo sceriffo, e noi pensavamo tutti con somma sorpresa: "Mamma mia, io vivo ai Caraibi!"

venerdì 5 settembre 2008

Tiramisu

Piu' si conosce una persona, meno si riesce a descriverla. E forse non mi e' nemmeno mai interessato descriverlo qui. Pero' l'episodio del tiramisu' e' un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, perche' nella sua semplicita' dice tantissimo.

Allora. Io gli ho fatto un tiramisu. "Vuol dire lift-me-up", gli dicevo mentre mescolavo gli ingredienti nella sua caotica cucina. Lui mi guardava sospettoso e rimaneva in silenzio. Mister K e' uno che i favori ama farli ma non riceverli, a meno che non li richieda espressamente. Il tiramisu non lo voleva. "Ma guarda che poi ti piace". "No". "Ma l'hai mai provato?". "E' quel dolce fatto di custard?" "Se l'hai mangiato con la custard era un tiramisu' tarocco, vedrai che quello originale ti piace", gli dicevo fiduciosa.

Non e' molto facile trovare i savoiardi a Trinidad, e figuriamoci il mascarpone. Ero dovuta andare in un sorta di boutique dell'alimentazione, dove secondo la colorita definizione di Mauro "me l'hanno fatto pagare caro come se fosse cocaina". Ho usato il caffe' del Costa Rica perche' qui e' cattivo, e la caffettiera moka che mi ha regalato un'amico vedendomi disperata. Insomma ero riucita a trovare tutto. L'ho preparato, gliel'ho messo in frigo. Voila'. Ero soddisfatta.

Lui quella sera non lo assaggia, e' pieno. Il giorno dopo neanche. Torno dopo 3 giorni, il tiramisu e' ancora tutto li'. "Ma non lo hai neanche assaggiato?" "Aspettavo te per mangiarlo insieme". "Beh ora sono qui". "Ma adesso non ho voglia di dolci". E va bene. Torno dopo altri giorni , apro il frigo, e lo trovo ancora li', tutto intero. Mi sembra il teatro dell'assurdo. Ci rimango male, mi arrabbio. "Va bene, se non lo vuoi mangiare tu lo mangero' io prima che sia da buttare via...", gli dico prendendone una porzione dopo cena. Lui sbircia, decide di assaggiarne mezzo cucchiaino, mi dice "buono", poi me lo ripassa. Ero furiosa.

Passano altri giorni, non succede nulla. Ogni tanto lancio qualche frecciatina, tra il serio e il faceto, a cui lui non risponde. Dopo 2 settimane, lui decide finalmente di affrontare la questione. "Guarda Vivi, devo essere onesto. Il tiramisu' non mi piace. E' proprio quella cosa fatta di custard, l'ho gia' assaggiato in passato e non mi piace proprio". Io ci metto qualche secondo a metabolizzare l'informazione. Poi respiro. In un certo senso mi sento sollevata. Ok, non gli piace. In fondo me lo aveva detto. Non e' che non lo vuole assaggiare. Non e' che mi vuole fare un dispetto. Non e' che non si fida di me. E' che non gli piace. Va bene. Lo accetto. Chiusa la questione.

Una settimana dopo, mentre ci si incontra un pomeriggio qualunque, succede l'inaudito. Me lo ricordo benissimo, eravamo in macchina di fianco alla Savannah. Lui a un certo punto mi dice con voce neutra, come se fosse la cosa piu' normale del mondo. "La sai una cosa? Ho mangiato tutto il tiramisu'". Io mi volto e lo guardo con gli occhi sgranati. "No way". "Si' si', era buonissimo. Non l'ho diviso con nessuno, l'ho mangiato tutto io". Io penso che mi stia prendendo in giro. "Non e' vero, l'hai buttato". "Nonono, l'ho assaggiato l'altro giorno, e ho scoperto che e' diverso da quel dolce di custard. Mi piace tantissimo. Anzi, mi e' dispiaciuto che tu ne avessi gia' mangiato un bel po' in queste settimane. Mi sono quasi sentito tradito!", mi dice scoppiando a ridere. Mi metto a ridere anche io e penso. Lo strozzo a mani nude o lo sciolgo nell'acido muriatico?