Venerdì sera. Downtown di Port of Spain. Ghetto da evitare categoricamente, in cui per un motivo o per l’altro mi sono trovata a passare la serata. E’ talmente difficile da descrivere che tanto varrebbe lasciar fare all’immaginazione. Proverò e fallirò, prima di andare a dormire.
La cosa fondamentale sono i suoni. Almeno 3 o 4 fonti incrociate di musica sovrapposta, che creano un casino di fondo non necessariamente assordante ma certamente destabilizzante. Una è la discoteca all’angolo, un edificio dall’aria losca in cui chissà che succede. Un altro è il bar dall’altra parte della strada. Poi le fonti mobili. Tizi che vanno in giro a vendere musica pirata, trasportando carrelli con dentro altoparlanti a tutto volume. E in più le macchine, ovviamente, che emettono musica altissima mentre stanno incolonnate lungo i fianchi di Independence Square, che a dispetto del nome è un enorme viale con al centro un’area pedonale. Musica caraibica, musica techno, musica in ogni caso con un elemento di beat molto ben definito che scandisce il tempo della notte.
Poi le luci, tantissime. File di 4 lampioni che tappezzano il viale da cima a fondo, a loro volta avvolti da spirali di lucine stile albero di Natale. Luci delle insegne di negozi, fast food e centri commerciali aperti 24/7 ai due lati della strada, enormi, colorate e onnipresenti. Luce gratuita di un maxischermo in cima al KFC su cui scorre una pubblicità isterica in multicolor. E infine gli odori, forti, pregnanti. Odori di escrementi umani, di pattumiera, di frutta marcia lasciata per terra dal mercato. Odori di birra e di fumo, di sporco e di fogna. Saltuariamente intervallati da un inverosimile, delizioso profumo di agrumi proveniente dalle montagne di limoni sbucciati sulle bancarelle di frutta sui marciapiedi.
Traffico di macchine, traffico di persone a piedi, traffico di commercianti abusivi di migliaia di CD di film pirata, magliette giamaicane e accessori per capelli negri. Pantaloni larghi, magliette sudate e scarpe da ginnastica. Berretti da baseball, canottiere a costine e catene d’oro. C’è chi va in giro a torso nudo. C’è chi va in giro a piedi nudi. C’è chi porta sacchi pesantissimi dal contenuto misterioso sulle spalle, coi muscoli contratti che si staccano dai corpi rugosi. Moltissime persone che bevono, parlano, si spostano. Tutto ha un’aria pericolosa e precaria, e penso che se non fossi con Orisha non me ne starei lì in mezzo per nulla al mondo. A un certo punto scoppia una rissa, due si mettono a litigare in un angolo, la gente accorre morbosamente a vedere, forse vogliono il sangue. I barboni indifferenti si aggirano come spettri a raccogliere bottiglie vuote sul ciglio del marciapiede, che se le riportano ai negozi ricevono il 10%. Donne grasse e svogliate si siedono a fumare. Giovani affamati escono dai fast food con l’insegna gialla e addentano pollo fritto da scatole di cartone. Vento caldo, clacson, sporcizia. La musica che copre tutte le parole.
Andiamo a una bancarella e ci prendiamo una doubles, una specie di doppia frittellina con salsa al curry piccante e legumi, che è assolutamente impossibile mangiare senza immergerci le dita e le unghie, e al diavolo le mani sporche. Ci prendiamo una birra in uno dei localetti cinesi che passano le bibite attraverso le sbarre. Un sordomuto si avvicina a noi e comincia a mimarci una scena per spiegarci che è stato derubato, ci sta chiedendo aiuto. La musica schiaccia perfino la mia pietà, penso solo che è grottesco per come si agita e per i suoni gutturali che accompagnano i suoi gesti. Lui se ne va, sconsolato e deforme.
E la vita della piazza continua a fluire, col suo beat elettrico e fremente. Donne ubriache che strillano, senzatetto luridi che non aspettano nulla, un bambino nascosto sotto una bancarella che cerca di dormire. Pazzi che parlano da soli, gang di ragazzi che si raggruppano, barboni che continuano nella loro lenta raccolta di vetri. Qualcuno che balla per strada, in piedi sopra a degli altoparlanti giganti. Ladri che fregano portafogli, gente che compra frutta, marijuana e pane speziato, taxi che rilasciano persone per tre dollari la corsa e poi schizzano via. L’aria è piena di energia, tutta traboccante di vita, di umori, di odori. Tutto è denso e ronzante, tutto è carnalmente pulsante. Il baccanale sonoro porta via tutto, come un fiume potentissimo. Le birre si consumano, la piazza si riempie di immondizia, le macchine scorrono infinite ai due lati del viale... E la notte continua, gonfia di dettagli e priva di eventi, nella fatiscente, ributtante, elettrizzante commedia umana di downtown.
lunedì 17 marzo 2008
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