Come mi sono ripromessa da molto tempo, voglio dedicare l'ultimo post a spiegare l'origine del titolo di questo blog. You still have the waves in your eyes.
Era il 2 Marzo dell'anno scorso. Erano passate due settimane da quando ero arrivata a Trinidad. Avevo appena cominciato in ufficio, avevo conosciuto i miei coinquilini, Camilla mi guidava un po' nelle piccole cose quotidiane, come scegliere l'operatore telefonico e evitare le strade nella parte est della citta'. Avevo arredato la mia stanza. Non avevo ancora visto il mare.
Domenica 2 Marzo sono andata al mare per la prima volta, a Maracas beach. Con Abinta, Camilla, un'amica di Camilla (che poi avrebbe fatto il corso di diritti umani con me in Costa Rica qualche mese dopo). E Mister K, che vedevo per la prima volta. Io e lui eravamo in macchina da soli, abbiamo chiacchierato e simpatizzato. Ero a bocca aperta per la bellezza della strada che attraversava tutta la Northern Range. Ho fatto il bagno nell'oceano, spingendomi troppo lontano. Ho mangiato il bake and shark. Io e K abbiamo fatto una lunga passeggiata, fino alla fine della spiaggia, oltre i pescatori. Al ritorno sono andata con Camilla nella sua rastamobile. E' stato un giorno fondamentale, uno di quelli che restano impressi nella memoria. Molte cose nuove. Molti inizi di cose importanti, vissuti senza rendersene conto. Il mio battesimo a Trinidad.
Quando sono tornata a casa ero felice, avevo le guance scottate dal sole. Finalmente avevo visto il mio tanto amato mare. Mas mi ha vista salire le scale saltellando, ha sorriso e mi ha chiesto. Dove sei stata, Vivi? Io ho risposto raggiante. At the beach! E lui, schermandosi gli occhi dal sole del tramonto, con un impeto poetico senza precedenti, mi ha detto tutto di un fiato.
You still have the waves in your eyes.
Hai ancora le onde negli occhi.
giovedì 14 maggio 2009
The end
La vita scorre dolcemente nella dolce T&T. E come sempre mi succede, sono molto piu' occupata quando non lavoro in ufficio. Ho cominciato a lavorare alla libreria una volta alla settimana, mi occupo delle mille faccende domestiche, la spesa, i gatti. E naturalmente mando tante applications.
C'e' anche molta carne al fuoco anche per il mio soggiorno qui. Con tutta probabilita' settimana prossima comincero' con un lavoro di consulenza per la piccola ONG sui diritti dei bambini. Si tratterebbe esattamente del mio lavoro dei sogni: ricerca sui diritti umani. Scrivero' un rapporto sulla situazione dei diritti dei bambini che verra' poi inviato a Ginevra, al Committee for the Rights of the Child. Lo farei pro bono, o per un piccolo trimborso spese, ma dato che si tratta esattamente di cio' che voglio fare piu' avanti, sara' un'importante esperienza lavorativa. Un precedente per poi avere di nuovo questo incarico, in una ONG piu' grande e piu' influente. E da cosa nasce cosa, ho gia' mille idee di micro-progetti sui diritti umani che potrei svolgere in questo breve periodo di tempo rimasto a Trinidad.
Poi c'e' la scrittura. Oltre ai piccoli articoletti su A sto prendendo contatti con un quotidiano locale, a cui vorrei mandare articoli di costume in stile "diario di una straniera a Trinidad". Ho gia' mezzo fissato l'incontro con l'editore.
Insomma non ho di che annoiarmi, e non vedo l'ora di entrare nel fulcro della mia attivita'. Per questo motivo, non mi sento piu' un'osservatrice appena arrivata. Non sto piu' lottando contro le differenze culturali, sgomitando per trovare degli amici, sussultando di fronte alle stranezze della quotidianita' caraibica. Sono qui, sto vivendo, e sto lavorando.
Lo sento come un successo, dopo le tante difficolta' iniziali. Lo sento come un processo lungo e complesso che mi ha arricchita, fatta crescere, fatta diventare piu' donna.
E forse e' per questo che sento che e' giunto il momento di chiudere questo blog. Questo blog che ho aperto quando ero ancora nella guest house di Claire a Woodbrok. Pagine che mi hanno tanto aiutata, che mi hanno tenuto compagnia, che mi hanno permesso di esprimermi al mondo dei miei contatti e a me stessa. Atrraverso cui ho ricevuto vicinanza e affetto da parte di persone che commentavano cio' che scrivevo, a volte pubblicamente, piu' volte in privato. Ora che non ho piu' l'esigenza di cristallizzare emozioni fuide e roventi in una forma solida di parole, viene a mancare il proposito per cui questo blog e' stato cosi' fondamentale. E' giunta l'ora di mettere la parola fine.
Questo non significa che quanto ho scritto finora sara' lasviato alle spalle. Anzi, e' il momento di riprenderlo, ripulirlo dalle spigolature date dalle fretta, dalle grossolanita' della scrittura casalinga indirizzata ad amici bonari. E' ora di riordinare, scremare, rifinire. Ora di rileggere.
C'e' anche molta carne al fuoco anche per il mio soggiorno qui. Con tutta probabilita' settimana prossima comincero' con un lavoro di consulenza per la piccola ONG sui diritti dei bambini. Si tratterebbe esattamente del mio lavoro dei sogni: ricerca sui diritti umani. Scrivero' un rapporto sulla situazione dei diritti dei bambini che verra' poi inviato a Ginevra, al Committee for the Rights of the Child. Lo farei pro bono, o per un piccolo trimborso spese, ma dato che si tratta esattamente di cio' che voglio fare piu' avanti, sara' un'importante esperienza lavorativa. Un precedente per poi avere di nuovo questo incarico, in una ONG piu' grande e piu' influente. E da cosa nasce cosa, ho gia' mille idee di micro-progetti sui diritti umani che potrei svolgere in questo breve periodo di tempo rimasto a Trinidad.
Poi c'e' la scrittura. Oltre ai piccoli articoletti su A sto prendendo contatti con un quotidiano locale, a cui vorrei mandare articoli di costume in stile "diario di una straniera a Trinidad". Ho gia' mezzo fissato l'incontro con l'editore.
Insomma non ho di che annoiarmi, e non vedo l'ora di entrare nel fulcro della mia attivita'. Per questo motivo, non mi sento piu' un'osservatrice appena arrivata. Non sto piu' lottando contro le differenze culturali, sgomitando per trovare degli amici, sussultando di fronte alle stranezze della quotidianita' caraibica. Sono qui, sto vivendo, e sto lavorando.
Lo sento come un successo, dopo le tante difficolta' iniziali. Lo sento come un processo lungo e complesso che mi ha arricchita, fatta crescere, fatta diventare piu' donna.
E forse e' per questo che sento che e' giunto il momento di chiudere questo blog. Questo blog che ho aperto quando ero ancora nella guest house di Claire a Woodbrok. Pagine che mi hanno tanto aiutata, che mi hanno tenuto compagnia, che mi hanno permesso di esprimermi al mondo dei miei contatti e a me stessa. Atrraverso cui ho ricevuto vicinanza e affetto da parte di persone che commentavano cio' che scrivevo, a volte pubblicamente, piu' volte in privato. Ora che non ho piu' l'esigenza di cristallizzare emozioni fuide e roventi in una forma solida di parole, viene a mancare il proposito per cui questo blog e' stato cosi' fondamentale. E' giunta l'ora di mettere la parola fine.
Questo non significa che quanto ho scritto finora sara' lasviato alle spalle. Anzi, e' il momento di riprenderlo, ripulirlo dalle spigolature date dalle fretta, dalle grossolanita' della scrittura casalinga indirizzata ad amici bonari. E' ora di riordinare, scremare, rifinire. Ora di rileggere.
martedì 5 maggio 2009
Capitalismo caraibico
Appena arrivata. Avevo voglia di un roti. E' tanto che non lo mangio, un mese e mezzo o piu'. Era il primo desiderio alimentare arrivando a Trinidad. K ha riso. "Un roti? Di domenica? Ma sei pazza!" Come sono pazza? Che male c'e'? Da quando il cibo e' legato ai giorni della settimana? Lui ha sorriso e ha detto va bene. Proviamoci. E infatti ci abbiamo provato, ma effettivamente tutti i roti shops sono chiusi di domenica. Chissa' come mai, a nessuno verrebbe mai in mente di mangiare un roti di domenica. Sarebbe una follia.
Io ero delusa, e incredula. Uno dei cibi piu' consumati delpaese, inaccessibile. Ma poi ripensandoci ho realizzato che qui e' cosi'. Nessuno mangia curry la domenica. Come a nessuno verrebbe in mente di mangiare un bake and shark se non in spiaggia. O le doubles se non di notte. O la corn soup se non la sera, dalle 6 in poi. Impossibile.
La regola magica del capitalismo secondo cui parte integrante della vendibilita' e del successo di un prodotto sta nella sua capillare distribuzione, qui non funziona. E' un po' la regola della cocacola. Parte del suo successo e' dovuto al fatto che la si puo' trovare ovunque. Hai voglia di una coca, dopo meno di cinque minuti ne hai una in mano. Ovunque tu sia.
Qui gli unici che hanno capito questo trucco sono gli agenti del marketing di KFC. Sempre aperto, sempre pronto. E infatti, miracolosamente, ha un enorme successo. Ma chissa' come,mai , ho la netta sensazione che se aprissi un negozietto di roti, bake and shark, corn soup e doubles "sempre aperto e sempre pronto" a Porto of Spain, i Trinidini storcerebbero il naso. "E perche' mai dovrei aver voglia di mangiarmi un roti di domenica?"
Io ero delusa, e incredula. Uno dei cibi piu' consumati delpaese, inaccessibile. Ma poi ripensandoci ho realizzato che qui e' cosi'. Nessuno mangia curry la domenica. Come a nessuno verrebbe in mente di mangiare un bake and shark se non in spiaggia. O le doubles se non di notte. O la corn soup se non la sera, dalle 6 in poi. Impossibile.
La regola magica del capitalismo secondo cui parte integrante della vendibilita' e del successo di un prodotto sta nella sua capillare distribuzione, qui non funziona. E' un po' la regola della cocacola. Parte del suo successo e' dovuto al fatto che la si puo' trovare ovunque. Hai voglia di una coca, dopo meno di cinque minuti ne hai una in mano. Ovunque tu sia.
Qui gli unici che hanno capito questo trucco sono gli agenti del marketing di KFC. Sempre aperto, sempre pronto. E infatti, miracolosamente, ha un enorme successo. Ma chissa' come,mai , ho la netta sensazione che se aprissi un negozietto di roti, bake and shark, corn soup e doubles "sempre aperto e sempre pronto" a Porto of Spain, i Trinidini storcerebbero il naso. "E perche' mai dovrei aver voglia di mangiarmi un roti di domenica?"
Ritorno
Sono tornata a Trinidad dopo il lungo viaggio Brasiliano. Sono seduta in casa, davanti al computer,mentre ondate di calore entrano dalla finestra spalancata. E' maggio, il picco della stagione secca. La luce scintilla e non c'e' vento.
Ho molti ricordi da riordinare, musica da organizzare, fotografie da spedire. Mi serviranno un po' di giorni per riprendere il contatto con la realta', con la mia vita, anche se ancora non so di quale vita si tratti, precisamente. E' qui' la mia vita? E' altrove? E' nelprossimo posto che ancotra non ho scelto? Dopo anni passati a cambiare citta', a volte mi sento decentrata. Mi sembra di aver perso il filo, in qualche punto...
Comunque una cosa e' certa. Ora ho voglia di stare qui, ancora qualche mese. Ho delle idee, dei progetti, ma soprattutto voglia di prendermi il mio tempo prima di saltare sulla prossima barca. Prendermi il mio tempo con K, per vedere dove si andra'. Qui sto bene, ho una casa, qualche amico, il mare, l'amore, due gatti.
Tornere qui e' stato un po' strabno, domenica. Mentre guidavamo verso casa dall'aeroporto,pensavo che tutto mi pare cosi' piccolo, cosi' precario. Cosi' povero. Non me n'ero resa conto mentre stavo qui, o forse me ne sono dimenticata. Come ho potuto vivere qui per un anno intero e considerarlo normale?
Non lo so, ma io per il momento sto bene qui.
Ho molti ricordi da riordinare, musica da organizzare, fotografie da spedire. Mi serviranno un po' di giorni per riprendere il contatto con la realta', con la mia vita, anche se ancora non so di quale vita si tratti, precisamente. E' qui' la mia vita? E' altrove? E' nelprossimo posto che ancotra non ho scelto? Dopo anni passati a cambiare citta', a volte mi sento decentrata. Mi sembra di aver perso il filo, in qualche punto...
Comunque una cosa e' certa. Ora ho voglia di stare qui, ancora qualche mese. Ho delle idee, dei progetti, ma soprattutto voglia di prendermi il mio tempo prima di saltare sulla prossima barca. Prendermi il mio tempo con K, per vedere dove si andra'. Qui sto bene, ho una casa, qualche amico, il mare, l'amore, due gatti.
Tornere qui e' stato un po' strabno, domenica. Mentre guidavamo verso casa dall'aeroporto,pensavo che tutto mi pare cosi' piccolo, cosi' precario. Cosi' povero. Non me n'ero resa conto mentre stavo qui, o forse me ne sono dimenticata. Come ho potuto vivere qui per un anno intero e considerarlo normale?
Non lo so, ma io per il momento sto bene qui.
mercoledì 15 aprile 2009
Da parte di Mauro
Pezzo di letteratura paradossalmente attuale sulla società di Port of Spain negli anni Cinquanta, annotato durante un viaggio in Brasile dallo scienziato Richard Feynman. Grazie Mauro per avermelo inviato!
"Negli anni Cinquanta, una volta rientravo dal Brasile in nave e ci fermammo per un giorno a Trinidad; decisi di visitare la capitale, Port Of Spain. A quell'epoca, se visitavo una città ero interessato soprattutto ai quartieri più poveri, a come si vive...sul fondo del barile. Passai un po' di tempo sulle colline del quartiere nero, girovagando a piedi. Mentre tornavo, si fermò un taxi e il conducente, che era un nero, disse "Ehi, uomo! Vuol vedere la città? Le costerà soltanto cinque biwi". "D'accordo", e salii sul taxi. Si avviò verso un qualche palazzo "Le farò vedere le cose più affascinanti". "No", lo ringraziai. "Quelle sono uguali dappertutto. Voglio vedere la parte peggiore, dove vive la povera gente. Sono già stato sulle colline, lassù". "Oh!" Il tassista era impressionato. "Mi farà piacere condurla in giro. E quando avremo finito, avrò una domanda da farle. Quindi osservi tutto con attenzione". Mi portò in un quartiere abitato da
indiani - case popolari costruite appositamente, forse - e si fermò davanti ad un edificio di blocchi di cemento. Dentro, era praticamente vuoto. Un uomo sedeva sui gradini dell'ingresso. "Lo vede?" mi domandò il tassista "Suo figlio studia medicina nel Maryland". Poi fece salire in auto qualcuno della sua zona, perchè esaminassi meglio la gente.
"Negli anni Cinquanta, una volta rientravo dal Brasile in nave e ci fermammo per un giorno a Trinidad; decisi di visitare la capitale, Port Of Spain. A quell'epoca, se visitavo una città ero interessato soprattutto ai quartieri più poveri, a come si vive...sul fondo del barile. Passai un po' di tempo sulle colline del quartiere nero, girovagando a piedi. Mentre tornavo, si fermò un taxi e il conducente, che era un nero, disse "Ehi, uomo! Vuol vedere la città? Le costerà soltanto cinque biwi". "D'accordo", e salii sul taxi. Si avviò verso un qualche palazzo "Le farò vedere le cose più affascinanti". "No", lo ringraziai. "Quelle sono uguali dappertutto. Voglio vedere la parte peggiore, dove vive la povera gente. Sono già stato sulle colline, lassù". "Oh!" Il tassista era impressionato. "Mi farà piacere condurla in giro. E quando avremo finito, avrò una domanda da farle. Quindi osservi tutto con attenzione". Mi portò in un quartiere abitato da
indiani - case popolari costruite appositamente, forse - e si fermò davanti ad un edificio di blocchi di cemento. Dentro, era praticamente vuoto. Un uomo sedeva sui gradini dell'ingresso. "Lo vede?" mi domandò il tassista "Suo figlio studia medicina nel Maryland". Poi fece salire in auto qualcuno della sua zona, perchè esaminassi meglio la gente.
Era una donna dai denti guasti. Ci siamo fermati e mi ha presentato due donne che ammirava: "Hanno messo insieme abbastanza soldi da comprare una macchina per cucire, e ora fanno le sarte per tutto il quartiere" mi spiegò con orgoglio, e "questo signore è un professore; la cosa interessante è che vuol visitare i nostri quartieri". Vedemmo
molte cose, e alla fine disse "Adesso, professore, ecco la domanda: lei vede che gli indiani sono altrettanto o a volte più poveri dei neri, ma si fanno avanti in qualche modo, quell'uomo ha mandato il figlio all'università, quelle donne avviano una sartoria. La mia gente
invece non fa strada. Perchè?"
molte cose, e alla fine disse "Adesso, professore, ecco la domanda: lei vede che gli indiani sono altrettanto o a volte più poveri dei neri, ma si fanno avanti in qualche modo, quell'uomo ha mandato il figlio all'università, quelle donne avviano una sartoria. La mia gente
invece non fa strada. Perchè?"
Gli ho risposto che non lo sapevo, ovviamente - è la mia risposta a quasi ogni domanda; ma lui non la accettò, non da parte di un professore. Provai a dirgli "Dietro la vita, in India, c'è una lunga tradizione che proviene da una religione e da una filosofia millenarie. E anche se questa gente non abita più in India, continua a tramandarsi tradizioni che riguardano la sostanza dell'esistenza:
cercar di costruire per il futuro, aiutare i figli nei loro sforzi. Sono tradizioni che risalgono a molti secoli addietro. Penso" continuai" che purtroppo la sua gente non ha potuto sviluppare una
tradizione così lunga, o se l'ha avuta l'ha poi persa a causa delle conquiste e della schiavitù." Forse non era vero, ma era quello che pensavo. Al tassista sembrò un'osservazione giusta; disse che anche lui aveva in mente di costruire per il futuro. Aveva puntato del denaro su un cavallo; nel caso avesse vinto, si sarebbe comprato un taxi tutto suo e allora avrebbe fatto davvero i soldi. Mi sentii improvvisamente triste. Gli dissi che scommettere sui cavalli era una pessima idea, lui però insisteva che non c'era altro mezzo. Aveva ottime intenzioni, ma come metodo aveva scelto la fortuna.
Non mi andava di continuare a filosofeggiare, così mi portò in un locale dove una orchestrina suonava dei fantastici calypso. E passai un pomeriggio piacevole."
sabato 28 marzo 2009
Esperienze sparse di vita paulista
Sono andata a prendere un caffé con una studentessa di architettura dell'università di San Paolo nel bar della Pinacoteca Nazionale. Ho mangiato un pastel al cuore di palma e succo di canna da zucchero alla fiera hippie di Benedito Calisto. Sono andata a una festina di conpleanno di un ragazzo nippo-brasilero e ho ballato nel suo giardino. Sono andata a nuotare in una piscina all'aperto con un'allenatrice bralisiliana che mi correggeva lo stile. Ho passegiato nel bairro Liberdade, sede della più grande colonia giapponese del mondo, e ho comprato delle caramelline allo zenzero in un negozio pieno di ideogrammi. Sono andata a pranzo dai nonni brasiliani di Amanda e ho gustato la loro buonissima cucina. Sono stata invitata in uno dei club più esclusivi di San Paolo in zona Pinheiro, e ho guardato un film nel loro cinema. Ho mangiato empanada e succo di cajù (anacardo) con una nuova amica. Ho mangiato sushi a rodisio (as much as you want) con Amanda, parlando all'infinito. Sono entrata nel centro culturale Britannico e ho pasato tre ore a sfogliere le loro riviste. Ho cuinato una pastasciutta ad una famiglia di Brasiliani sconosciuti. Mi sono comprata delle Havaianas a meno di 10 euro. Ho mangiato un panino Bautù con limonata. Ho visto centinaia di bellissimi murales. Ho bevuto una birra e mangiato patatine di manioca (che non è altro che la cassava!) in un bel bar in Vila Madalena. Ho comprato un abbonamento della metro paulista. Ho sperimentato un milk-shake al Fifties. Ho sperimentato un succo di limone e lette conensato sfogliando una rivisa di viaggi in un bar-edicola. Ho comprato vesitini in una traversa di avenida Faria Lima. Ho passeggiato nella Libreria cultura e guardato le vetrine nel centro commerciale superchic Ipiranga. Ho ammirato i grattacieli di San Paolo dalla cima dell'Edificio italia. Ho sentito il forro' suonato alla ferata dell'autobus sull'Avenida Paulista. Mi ono sduta su una sedia scavata in un tronco d'albero nel mezzo del giardino di Trianon, un fazzoletto di mata atlantica nel cuore della metropoli.
Architettura
Il brasile è un paese del nuovo mondo. Non è pieno di monumenti antichi, di palazzi storici, di catterali gotiche. Ma come in tutto il resto, questa carenza rispetto all'europa lascia spazio per la crescita di qualcosa di nuovo e originale. Da quanto ho potuto capire, la caratteristica dell'architettura Brasiliana è quella di adattare l'umanissima tradizione Europea con le sensazioni vitali date da un ambiente naturale brulicante del più grande patrimonio floreale e faunistico del mondo. Proprio per questo l'architettura brasiliana supera i propri confini tradizionali per arrivare ad abbraciare temi di paesaggismo e di urbanistica. L'Università di San Paolo USP - che è in generale ritenuta la migliore università in Sudamerica - ha un'importante facoltà di architettura e urbanismo che ospita fra i più grandi esperti a livello internazionale. La comunità Giapponese di San Paolo ci va a nozze, e la corrente di architetti nippo-brasilera è fiorente.
In questi giorni è il centesimo anniversario dell'architetto e urbanista Brule Marx, ispirato da Le Corbusier e a sua volta ispiratore di Niemeyer, l'architetto-genio che ha progettato Brasilia (e il palazzo Mondadori vicin a San Felice). Ho visto una mostra di bozze e disegni di Burle Marx a San Paolo, e oggi a Rio ne ho vista un'altra che ripercorreva tutta la sua produzione artistica, che spazia da bozzetti a matita, dipinti, stoffe, arazzi, gioielli, scenografie, costumi e ceramiche. Un'arte astratta ma morbida, calda, curvilinea e naturale, ispirata dalle forme e ai colori del paesaggio brasiliano. Il suo capolavoro sono i giardini e i viali. Ne ha progettati tantissimi, uno più bello dell'altro. A Miami, in Venezuela, ma soprattutto a Rio de Janeiro. Dove mi trovo adesso.
Stamattina sono sono uscita di casa e sono andata sulla spiaggia di Copacabana, a bermi un cappuccino con Ana e Stijn. Parlavamo del Brasile e guardavamo il mare. Dietro di noi si stendeva tutto l'arco della meravigliosa Avenida Atlantica progettata da Burle Marx, e pavimentata con lunghi marciapiedi in bianco e nero con bellissime greche dal sapore astratto.
In questi giorni è il centesimo anniversario dell'architetto e urbanista Brule Marx, ispirato da Le Corbusier e a sua volta ispiratore di Niemeyer, l'architetto-genio che ha progettato Brasilia (e il palazzo Mondadori vicin a San Felice). Ho visto una mostra di bozze e disegni di Burle Marx a San Paolo, e oggi a Rio ne ho vista un'altra che ripercorreva tutta la sua produzione artistica, che spazia da bozzetti a matita, dipinti, stoffe, arazzi, gioielli, scenografie, costumi e ceramiche. Un'arte astratta ma morbida, calda, curvilinea e naturale, ispirata dalle forme e ai colori del paesaggio brasiliano. Il suo capolavoro sono i giardini e i viali. Ne ha progettati tantissimi, uno più bello dell'altro. A Miami, in Venezuela, ma soprattutto a Rio de Janeiro. Dove mi trovo adesso.
Stamattina sono sono uscita di casa e sono andata sulla spiaggia di Copacabana, a bermi un cappuccino con Ana e Stijn. Parlavamo del Brasile e guardavamo il mare. Dietro di noi si stendeva tutto l'arco della meravigliosa Avenida Atlantica progettata da Burle Marx, e pavimentata con lunghi marciapiedi in bianco e nero con bellissime greche dal sapore astratto.
mercoledì 25 marzo 2009
Cultura a San Paolo
Finalmente a San Paolo ho fatto un po' di sano turismo culturale. Esattamente ciò che cercavo in una grande metropoli, dopo più di un anno di vita in una piccola cittadina caraibica. Sono stata piacevolmente sorpresa da questo lato di San Paolo. La cultura è ben presente e ben promossa, nonostante ci si trovi indubbiamente nel nuovo mondo. Ci sono molti centri culturali, almeno uno per quartiere in quello che si chiama il "centro espandido". Con esposizioni, workshop di teatro per tutte le età (anche per i vecchini!), conferenze, presentazioni di libri, spettacoli di danza e un immancabilmente anche unbar dove mettersi a leggere sorseggiando una tazza di cappuccino fatta con tutti i crismi.
I libri sono diffusi, anche se non a basso prezzo. Nelle edicole si trovano facilmente i classici letterari, proprio come in Italia. Inoltre esistono bellissime librerie multipiano con un bar interno o una comoda zona lettura con mega-puff dove ci si può accoccolare sfogliando un libro preso dallo scaffale. Questa commisione tra cultura e caffé esiste anche in senso inverso. Ci sono anche dei bar sulle cui pareti si trovano libri e riviste da sfogliare e da comprare. Insoma qui a San Paolo si vive molto fortemente la culturà del caffé letterario nata nell'illuinismo europeo e di cui Milano era una vera capitale ai tempi di Manzoni, Parini e Beccaria! Quanto contrasto con la piccola Port of Spain, dove la cultura del caffé non esiste proprio. Tanto che Mister K mi ha addirittura chiesto durante una delle nostre ultime conversazoni "Ma tu che cosa intendi per bar?"
Se i libri sono ancora un po' cari, mostre e musei sono accessibilissimi. Da quando sono qui ho visto una mostra di quadri del famoso architetto brasiliano Burle-Marx, la bella Pinacoteca nazionale, il MASP, che è il più imprtante museo di belle arti di San Paolo, con collezione permanente e mostra stagionale, una casetta-museo art nouveau, un esposizone di giovani artisti brasiliani e un paio di altre mostre fotografiche minori, tutto senza spendere un soldo. E' piacevole vivere in questabbondanza di occasioni culturali, così accessibili e semplici da trovare.
La Pinacoteca e il MASP sono bei musei, di cui l'architettura dell'edificio è certamente la cosa più interessante. La Pinacoteca è una grande, antica costruzione che è stata tutta ridecorata in chiave modernissima. Quindi ancora adesso si ha la coestistenza di superfici ruvide in mattoni grezzi e superfici liscissime di vetro, acciaio e pietra bianca lucida. Il MASP è un grande parallelepipedo nero che oscilla sospeso nell'aria, retto da colonne sottilissime e inconiciato da una struttura rosso-fuoco. Le loro collezioni non sono all'altezza dei musei Europei. Sono interessanti e hanno dei pezzi, ma sono limitate. Come ho detto prima, si avverte percepibilimente di essere nel nuovo mondo, in cui la storia e le vestigia del passato non pesano troppo sul presente.
Per questo forse si dà tanto spazio alle mostre dei giovani, alla fotografia, alle esposizioni di video. C'è un grande spazio di cultura disponibile, anche tutto da riempire. Anche nelle arti si avvera ciò di cui mi ero già accorta nel settore del lavoro. Siamo fuori dall'Europa, siamo in un mondo senza storia. In cui c'è ancora tutto da costruire, e i giovani sono incoraggiati a farlo.
I libri sono diffusi, anche se non a basso prezzo. Nelle edicole si trovano facilmente i classici letterari, proprio come in Italia. Inoltre esistono bellissime librerie multipiano con un bar interno o una comoda zona lettura con mega-puff dove ci si può accoccolare sfogliando un libro preso dallo scaffale. Questa commisione tra cultura e caffé esiste anche in senso inverso. Ci sono anche dei bar sulle cui pareti si trovano libri e riviste da sfogliare e da comprare. Insoma qui a San Paolo si vive molto fortemente la culturà del caffé letterario nata nell'illuinismo europeo e di cui Milano era una vera capitale ai tempi di Manzoni, Parini e Beccaria! Quanto contrasto con la piccola Port of Spain, dove la cultura del caffé non esiste proprio. Tanto che Mister K mi ha addirittura chiesto durante una delle nostre ultime conversazoni "Ma tu che cosa intendi per bar?"
Se i libri sono ancora un po' cari, mostre e musei sono accessibilissimi. Da quando sono qui ho visto una mostra di quadri del famoso architetto brasiliano Burle-Marx, la bella Pinacoteca nazionale, il MASP, che è il più imprtante museo di belle arti di San Paolo, con collezione permanente e mostra stagionale, una casetta-museo art nouveau, un esposizone di giovani artisti brasiliani e un paio di altre mostre fotografiche minori, tutto senza spendere un soldo. E' piacevole vivere in questabbondanza di occasioni culturali, così accessibili e semplici da trovare.
La Pinacoteca e il MASP sono bei musei, di cui l'architettura dell'edificio è certamente la cosa più interessante. La Pinacoteca è una grande, antica costruzione che è stata tutta ridecorata in chiave modernissima. Quindi ancora adesso si ha la coestistenza di superfici ruvide in mattoni grezzi e superfici liscissime di vetro, acciaio e pietra bianca lucida. Il MASP è un grande parallelepipedo nero che oscilla sospeso nell'aria, retto da colonne sottilissime e inconiciato da una struttura rosso-fuoco. Le loro collezioni non sono all'altezza dei musei Europei. Sono interessanti e hanno dei pezzi, ma sono limitate. Come ho detto prima, si avverte percepibilimente di essere nel nuovo mondo, in cui la storia e le vestigia del passato non pesano troppo sul presente.
Per questo forse si dà tanto spazio alle mostre dei giovani, alla fotografia, alle esposizioni di video. C'è un grande spazio di cultura disponibile, anche tutto da riempire. Anche nelle arti si avvera ciò di cui mi ero già accorta nel settore del lavoro. Siamo fuori dall'Europa, siamo in un mondo senza storia. In cui c'è ancora tutto da costruire, e i giovani sono incoraggiati a farlo.
martedì 24 marzo 2009
Riflessioni sul Brasile
San Paolo è una città cosmopolita.Una metropoli gigantesca, caotica, colorata ed inquinata. Ciò che più sorprende a San Paolo è l'esuberante varietà delle forme e dei colori. Ogni strada è diversa da tutte le altre. Ogni casa in ogni strada è diversa da tutte le altre. Ogni finestra in ogni casa in ogni strada è diversa da tutte le altre. Il Brasile è un inno alla differenza, all'espressione della personalità, alla singolarità dell'esperienza. Nulla è classificabile, nulla è definibile, perchè tutto vive esclusivamente della propria unicità, al di fuori di ogni concetto classificatorio.
La pluralità dell'esperienza di San Paolo non è solo architettonica. Il miscuglio etnico-culturale è sorprendente. Non si vede un volto simile ad un altro per lineamenti, incarnato, espressione. Asiatici, mulatti, caucasici, africani, giapponesi, ispanici, portoghesi, medio orientali. Ma il tratto più di distintivo di questa pluralità non è la sua semplice presenza. E' piuttsto l'assenza (o quasi) di raggrupamenti sociali lungo linee etniche. Anche se esistono quartieri più spiccatamente (per fare un esempio) giapponesi o italiani, le persone nella vita quotidiana non si raggruppano secondo la loro discendenza, come invece avviene in modo così marcato nei Caraibi. Questo tipo di conformismo non è contemplato nello spettro del possibile. Se raggruppamenti rispetto a principi socio-economici sono inevitabili, questi non comportano nessuna osservabile componente etnica.
Per tutto questo il Brasile è al tempo stesso così ricco e caotico. Ci sono decine di partiti politici, centinaia di stazioni radio, un proliferazione di scuole di pensiero. La vivacità è bella, ma a volte difficilmente gestibile. E' un mondo in cui tutto convive con tutto, contemporaneamente strepitoso e strepitante.
La pluralità dell'esperienza di San Paolo non è solo architettonica. Il miscuglio etnico-culturale è sorprendente. Non si vede un volto simile ad un altro per lineamenti, incarnato, espressione. Asiatici, mulatti, caucasici, africani, giapponesi, ispanici, portoghesi, medio orientali. Ma il tratto più di distintivo di questa pluralità non è la sua semplice presenza. E' piuttsto l'assenza (o quasi) di raggrupamenti sociali lungo linee etniche. Anche se esistono quartieri più spiccatamente (per fare un esempio) giapponesi o italiani, le persone nella vita quotidiana non si raggruppano secondo la loro discendenza, come invece avviene in modo così marcato nei Caraibi. Questo tipo di conformismo non è contemplato nello spettro del possibile. Se raggruppamenti rispetto a principi socio-economici sono inevitabili, questi non comportano nessuna osservabile componente etnica.
Per tutto questo il Brasile è al tempo stesso così ricco e caotico. Ci sono decine di partiti politici, centinaia di stazioni radio, un proliferazione di scuole di pensiero. La vivacità è bella, ma a volte difficilmente gestibile. E' un mondo in cui tutto convive con tutto, contemporaneamente strepitoso e strepitante.
venerdì 20 marzo 2009
mercoledì 18 marzo 2009
Brasiu!
Ieri sono arrivata in Brasileeeeeeeeee! Il viaggio è durato più di 24 ore, quindi ieri l'ho passato tutto in casa con la mia Amanda a chiacchierare nella sua cameretta. Ci voleva, un bello spazio iniziale dedicato solo alle parole. Ci siamo aggiornate su oltre un anno di vita senza vederci, e che anno! Io a Trinidad, lei qui in Brasile. Parlare, parlare, parlare. Mostrarci foto. Fare piani per i prossimi giorni. Mangiare mango bello maturo, bere caffè fatto con la moka, tostare panini e spalmare formaggio fresco prodotto dalla comunità austriaca di Sao Paolo. Ascoltare ore e ore di musica bellissima, che ho già promesso di saccheggiare a piene mani. Musica brasiliana, elettronica, africana. Lei mi raccontava dei viaggi nel Maranhao, io in Guyana. Io parlavo di Grande Rivière, lei dell'Ilha Bela. Ci andremo a Pasqua. Abbiamo deciso di andare a nuotare, lei si allena tutti i giorni. Abbiamo deciso di fare turismo culturale a San Paolo. Martedì andremo al museo MASP, oggi andiamo a vedere il centro storico. C'è un'amaca in soggiorno. Ci sono due cani enormi neri,. Lei mi prepara la colazione con la marmellata di uva di sua nonna. Io le ho portato una maschera per capelli Giamaicana al burro di cacao e braccialetti di cocco. Fa caldo. Sulla scrivania ci sono ciotoline piene di semi delle foreste nordestine e fiori secchi. Nella stanza ci sono oggetti in bambù fatti a mano e cuscini turchi. Siamo una megalopoli di diciassette milioni di abitanti. Ieri sera Mister K mi ha detto che ha voglia di venire...
martedì 17 marzo 2009
Ricordo
Ogni notte da aprile a luglio, centinaia di tartarughe marine emergono dall’oceano e si trascinano sulle spiagge del nord-est di Trinidad. Alla luce della luna, questi maestosi animali invadono lentamente la costa sabbiosa per deporvi le loro uova. Si tratta di esseri affascinantissimi, lunghi fino a un metro e mezzo, con un muso da dinosauro e uno scudo al posto della schiena.
L’ultima volta che sono andata in quella zona non era stagione di tartarughe. “Ci accontenteremo delle stelle!”, ci siamo detti. All’arrivo però abbiamo trovato una meravigliosa sorpresa. Delle uova si erano schiuse sulla spiaggia, e decine di tartarughine grandi come il palmo di una mano giravano sulle dune argentate. Un istinto ancestrale dettava loro di spingersi verso all’oceano, ma la luce dell’albergo confondeva i loro sensi. Noi allora le abbiamo aiutate, attirandole verso il bagnasciuga con la lucina del nostro cellulare. Loro ci seguivano tutte in fila, piccolissime e eccitate, come se fossimo i loro genitori.
L’ultima volta che sono andata in quella zona non era stagione di tartarughe. “Ci accontenteremo delle stelle!”, ci siamo detti. All’arrivo però abbiamo trovato una meravigliosa sorpresa. Delle uova si erano schiuse sulla spiaggia, e decine di tartarughine grandi come il palmo di una mano giravano sulle dune argentate. Un istinto ancestrale dettava loro di spingersi verso all’oceano, ma la luce dell’albergo confondeva i loro sensi. Noi allora le abbiamo aiutate, attirandole verso il bagnasciuga con la lucina del nostro cellulare. Loro ci seguivano tutte in fila, piccolissime e eccitate, come se fossimo i loro genitori.
Terminal
Non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere. Quando sono passata per l’aeroporto di Miami più di un anno fa, durante il mio primo viaggio verso Trinidad, la sensazione che avevo provato era insofferenza. Non vedevo l’ora di andarmene da quel terminale-energumeno, labirintico e laccato, strabordante di negozi inutili, volgari e americani. Anche la visione di Miami dall’alto non mi aveva attratta per nulla. Una città ordinata e scintillante, tutta costituita da villette-lego ognuna con la sua piscinetta azzurra. Una vista gradevole, ma poco eccitante. Non vedevo l’ora di prendere il mio volo per Port of Spain. Ho passato le ore di attesa a leggere i miei libri, ho pranzato in una catena di fast-food biotico che non esiste in Europa (chissà com’è?), e ho accuratamente evitato tutti i negozi per non appesantire ulteriormente il mio monumentale bagaglio.
Questa volta, le cose sono andate diversamente. Dopo 13 mesi a Trinidad, in cui il posto più civilizzato dove sono passata è stata la microscopica Bridgetown a Barbados (che non differisce essenzialmente da Porto of Spain, è solo meno pericolosa), questo mi pare il paese dei balocchi. Che meraviglia! Non dover camminare con la costante preoccupazione di curare la borsetta, trovare bagni pulitissimi, corridoi dai pavimenti bianchi lucidi e indicazioni ovunque. Mi viene voglia di fare una vacanza in aeroporto. Tutti i negozi mi sembrano bellissimi e pieni di cose che effettivamente desideravo. Un negozio tutto di spazzole per capelli! Centinaia di spazzole di ogni forma, colore e tipo di setola. Ne ho presa una con il manico in legno rossiccio. Negozi di informatica. Poi mi compro una chiavetta USB così mi porto via tutta la musica Brasiliana di Amanda e di Ana. Tutta la stampa internazionale del mondo, parrucchieri e massaggiatori, piccole barrette di cioccolato fondente, incartate come gioielli. Adoro il consumismo! Voglio tutto! Questa volta niente esotismi con il cibo, ho voglia di comfort mentale. Sono andata da Starbucks, a prendermi un maledetto Vanilla Latte. E bando alle calore, mi sono anche presa un dolce. Un imitazione perfetta del ricciarello di Siena. Pazzeschi, questi americani!
Questa volta, le cose sono andate diversamente. Dopo 13 mesi a Trinidad, in cui il posto più civilizzato dove sono passata è stata la microscopica Bridgetown a Barbados (che non differisce essenzialmente da Porto of Spain, è solo meno pericolosa), questo mi pare il paese dei balocchi. Che meraviglia! Non dover camminare con la costante preoccupazione di curare la borsetta, trovare bagni pulitissimi, corridoi dai pavimenti bianchi lucidi e indicazioni ovunque. Mi viene voglia di fare una vacanza in aeroporto. Tutti i negozi mi sembrano bellissimi e pieni di cose che effettivamente desideravo. Un negozio tutto di spazzole per capelli! Centinaia di spazzole di ogni forma, colore e tipo di setola. Ne ho presa una con il manico in legno rossiccio. Negozi di informatica. Poi mi compro una chiavetta USB così mi porto via tutta la musica Brasiliana di Amanda e di Ana. Tutta la stampa internazionale del mondo, parrucchieri e massaggiatori, piccole barrette di cioccolato fondente, incartate come gioielli. Adoro il consumismo! Voglio tutto! Questa volta niente esotismi con il cibo, ho voglia di comfort mentale. Sono andata da Starbucks, a prendermi un maledetto Vanilla Latte. E bando alle calore, mi sono anche presa un dolce. Un imitazione perfetta del ricciarello di Siena. Pazzeschi, questi americani!
Shah
Abbiamo un altro gattino! E io che temevo che a K non sarebbero piaciuti i gatti. Invece si è appassionato, è stato capace di capire completamente il loro fascino. E poi, da vero padrone modello, ha cresciuto Gatta in modo talmente affettuoso che lei è diventata quasi un cagnolino. Inoltre ha letto tutto lo scibile umano si come crescere i gatti su tutte le pagine internet dedicate al tema. Per esempio ha scoperto che i gatti strizzao lentamente gli occhi quando sono felici (mgari mentre stanno facendo le fusa). Insomma le strizzatine d'occhio sono come dei bacini nel linguaggio dei gatti. E la cosa più sorprendente è che se si parla ai gatti nella loro lingua, loro capiscono. Se strizzi gli occhi a un gatto lui si sente amato.
Erano giorni che K mi parlava di un gattino piccolissimo, biano e nero, ch gironzolava sempre vicino al suo ufficio. Gli ha anche scattato delle foto e me le ha fatte vedere. "Lo vedi quanto è piccolo?", mi diceva. Un giorno ha fatto l'esercizio degli occhi. L'ha guardato a lungo sbattendo lentamente le palpebre, e lui gli si è avvicinato ed è andato a sederglisi vicino Questo gesto è stato sufficiente perchè K decidesse di adottarlo.
Siamo andati a prenderlo il giorno dopo. Una visita dal veterinario per lavarlo e vaccinarlo e via. L'abbiamo portato a casa. Gatta all'inizio non l'ha presa benissimo. Ha sentito che il su territorio veniva invaso da un gatto sconosciuto e continuava a soffiargli addosso, arrabbiata. Lui, dolcissimo, non reagiva. Forse Gatta pensava che noi ci aspettassimo da lei una difesa della casa. Però nel giro di un paio di giorni hanno fatto amicizia, hanno cominciato a giocare assieme e perfno a mangiare dalla stessa ciotola. A volte si danno dei bacini sul naso. La cosa più dolce del mondo.
L'abbiamo chiamato Shah, cioè "re" in persiano. Che però si legge come "chat", gatto in francese. Un nome che ben sia accosta a "Gatta", che anche ha due significati. Gatto femmina, in italiano. E se scritto "gata", significa "donna sexy" in portoghese brasiliano.
Erano giorni che K mi parlava di un gattino piccolissimo, biano e nero, ch gironzolava sempre vicino al suo ufficio. Gli ha anche scattato delle foto e me le ha fatte vedere. "Lo vedi quanto è piccolo?", mi diceva. Un giorno ha fatto l'esercizio degli occhi. L'ha guardato a lungo sbattendo lentamente le palpebre, e lui gli si è avvicinato ed è andato a sederglisi vicino Questo gesto è stato sufficiente perchè K decidesse di adottarlo.
Siamo andati a prenderlo il giorno dopo. Una visita dal veterinario per lavarlo e vaccinarlo e via. L'abbiamo portato a casa. Gatta all'inizio non l'ha presa benissimo. Ha sentito che il su territorio veniva invaso da un gatto sconosciuto e continuava a soffiargli addosso, arrabbiata. Lui, dolcissimo, non reagiva. Forse Gatta pensava che noi ci aspettassimo da lei una difesa della casa. Però nel giro di un paio di giorni hanno fatto amicizia, hanno cominciato a giocare assieme e perfno a mangiare dalla stessa ciotola. A volte si danno dei bacini sul naso. La cosa più dolce del mondo.
L'abbiamo chiamato Shah, cioè "re" in persiano. Che però si legge come "chat", gatto in francese. Un nome che ben sia accosta a "Gatta", che anche ha due significati. Gatto femmina, in italiano. E se scritto "gata", significa "donna sexy" in portoghese brasiliano.
Chioschetto
Sulla bellissima strada che porta a Maracas c'è un chioschetto carinissimo, in cui io e Terry ci fermiamo quasi sempre a comprare qualcosa. Si tratta di un gabbiottino giallo di 3 metri quadri massimo, in cui il rastaman Charlie vende frutta fresca della foresta. Arance, che sono diverse dalle arance italiane perchè hanno una buccia sottile da pelare con il coltello e non si dividono in spicchi. Cocchi, da cui bere l'acqua con la cannuccia e poi da spaccare per mangiare la gelatina. E canna da zucchero, vendta in pezzi da mezzo metro, da succhiare pigramente sulla spiaggia. Oh yeah!
sabato 14 marzo 2009
Accento
Ieri io e Terry abbiamo incorntrato un gruppo di Newyorkesi e abbiam passato la serata assieme. Ben tre di loro, senza essers consultanti, mentre chiacchieravano con me hanno esclamato: "Che carino! Hai preso proprio l'accento di Trinidad!".
Lopinot
Martin Lopez mi ha messo in mano due maracas, e ha dato a Mister K un piccolo strumento composto da un legnetto e un bastoncino. Poi, senza darci troppe spiegazioni, ha afferrato un chitarrino si è messo a suonare e cantare a squarciagola. Noi, senza sapere cos'altro fare, abbiamo cominciato ad agitare e percuotere i nostri strumenti, prima maldestrmente, poi sempre più entusiasmo. In men che non si dica, avevamo creato un concertino di parang, la musica di origine latina che è stata assorbita da Trinidad in qualche momento imprecisato della storia. Lui canta e noi suoniamo, lui e suona e noi cominciamo a ballare. La casetta-museo sulle montagne di Lopinot diventa un piccola festa a tre.
Quando la musica finisce, lui ci sorride e racconta. "Lopinot è un villaggio antico, fondato dal conte francese omonimo che aveva cento schiavi e un palazzo. La popolazione di Lopinot è ancora mezza indigena, li vedete i tratti centramricani?". Noi annuiamo, ancora inebriati dalla musica. "Ma soprattutto, Lopinot è la patria del parang a Trinidad, il vero cuore di questo bellissimo genere musicale. Sapete di chi sono queste fotografie nel museo? E sapete di di chi sono quelle statue nel giardino? Sono i grandi parranderos di Trinidad. Che tra l'altro sono miei antenati". Noi ci avviciniamo alle foto e lui ci enuncia orgoglioso i loro nomi. E poi, prima che ce ne andassimo per fare una camminata al fiume, ci dice bisbigliando. "E se tornate fra vent'anni, tra quelle quattro statue ci sarà anche la mia. La stanno già preparando..."
Quando la musica finisce, lui ci sorride e racconta. "Lopinot è un villaggio antico, fondato dal conte francese omonimo che aveva cento schiavi e un palazzo. La popolazione di Lopinot è ancora mezza indigena, li vedete i tratti centramricani?". Noi annuiamo, ancora inebriati dalla musica. "Ma soprattutto, Lopinot è la patria del parang a Trinidad, il vero cuore di questo bellissimo genere musicale. Sapete di chi sono queste fotografie nel museo? E sapete di di chi sono quelle statue nel giardino? Sono i grandi parranderos di Trinidad. Che tra l'altro sono miei antenati". Noi ci avviciniamo alle foto e lui ci enuncia orgoglioso i loro nomi. E poi, prima che ce ne andassimo per fare una camminata al fiume, ci dice bisbigliando. "E se tornate fra vent'anni, tra quelle quattro statue ci sarà anche la mia. La stanno già preparando..."
martedì 10 marzo 2009
In libreria
Ieri sono andata alla mia liberia preferita, The Reader's Bookshop. Cercavo una guida per il Brasile, ma non ce l'aveva nessuno. Il distacco tra i Caraibi e l'America Latina è sempre stupefacente. Il libraio Chris aveva la mia guida, e molto altro.
Prima di tutto mi ha detto che il nostro amico comune Ric, l'ex coinquilino di Clarissa che scriveva per la Rough Guide Trinidad and Tobago, adesso si trova a Rio, a scivere un'altra guida turistica. Quale contatto migliore per andare in giro per la città a provare bar e ristoranti? E che divertente pensare che i miei commenti potrebbero finire in una delle guide turistiche più famose del mondo!
E inoltre chiacchierando del più e del meno mi ha anche fatto una mezza offerta di lavoro. Quando torno dal Brasile potrei aiutarlo con la libreria, un giorno alla settimana. E perchè no? Starmene per una giornata intera a sfogliare i bellissimi libri dell'apparamentino-biblioteca di St. James mi pare proprio una proposta che non si può rifiutare...
Prima di tutto mi ha detto che il nostro amico comune Ric, l'ex coinquilino di Clarissa che scriveva per la Rough Guide Trinidad and Tobago, adesso si trova a Rio, a scivere un'altra guida turistica. Quale contatto migliore per andare in giro per la città a provare bar e ristoranti? E che divertente pensare che i miei commenti potrebbero finire in una delle guide turistiche più famose del mondo!
E inoltre chiacchierando del più e del meno mi ha anche fatto una mezza offerta di lavoro. Quando torno dal Brasile potrei aiutarlo con la libreria, un giorno alla settimana. E perchè no? Starmene per una giornata intera a sfogliare i bellissimi libri dell'apparamentino-biblioteca di St. James mi pare proprio una proposta che non si può rifiutare...
Piccolo aggiornamento
Sono stanchissima, ma questa sera voglio lasciare un messaggio. E' molto che non scrivo, la vita è diventata un turbine di cose da fare. O forse Trinidad ha un po' smesso di sorprendermi. Dopo l'euforia del Carnevale e dopo la partenza di The Brother, la città è tornata a muoversi col ritmo lento e regolare di prima, con i suoi ingorghi, la luce bianca di mezzogiorno e la cantilena dell'accento locale che ondeggia per le strade.
La mia vita, invece, è cambiata. Non vivo più da Wilma, mi sono trasferita in casa di Mister K. Con lui e Gatta mi sento in famiglia. Passiamo le serate a guardare i film pirata che lui compra compulsivamente, e a parlare di libri e di avvenire. La mia amicizia con Terry è sempre più salda, la sento tutti i giorni e la vedo spesso. Quando sono con lei lascio emergere il mio lato più selvatico, vado in spiaggia con the boys e resto in piedi fino a tardi la domenica notte, dopo la raggy night al Coco Lounge.
Ho smesso di lavorare Venerdì, e sono sollevata. La noia è finita. Queste ultime tre settimane sono state penose, e mi sono trovata ad andare in ufficio la mattina solo per l'assegno che avrei ricevuto a fine mese. Insomma una perdita di tempo, ma che mi copre i costi del Carnevale. Ora ho una una manciata di giorni per prepararmi. Il mio biglietto per il Brasile mi porterà via lunedì mattina, e devo pensare a fare le valigie. Si parte!
La mia vita, invece, è cambiata. Non vivo più da Wilma, mi sono trasferita in casa di Mister K. Con lui e Gatta mi sento in famiglia. Passiamo le serate a guardare i film pirata che lui compra compulsivamente, e a parlare di libri e di avvenire. La mia amicizia con Terry è sempre più salda, la sento tutti i giorni e la vedo spesso. Quando sono con lei lascio emergere il mio lato più selvatico, vado in spiaggia con the boys e resto in piedi fino a tardi la domenica notte, dopo la raggy night al Coco Lounge.
Ho smesso di lavorare Venerdì, e sono sollevata. La noia è finita. Queste ultime tre settimane sono state penose, e mi sono trovata ad andare in ufficio la mattina solo per l'assegno che avrei ricevuto a fine mese. Insomma una perdita di tempo, ma che mi copre i costi del Carnevale. Ora ho una una manciata di giorni per prepararmi. Il mio biglietto per il Brasile mi porterà via lunedì mattina, e devo pensare a fare le valigie. Si parte!
mercoledì 25 febbraio 2009
Carnival Tuesday
E finalmente e' arrivato Carnival Tuesday! E' ora di sfoggiare i nostri costumi! Belli, colorati, bling bling bling bikinis. Scarpe da tennis per poter resistere alla camminata infinita, collant leggeri di protezione, il costumino verde con i pendagli che tintinnano, la cintura di perline pendenti e laccetti preziosi per collo, gambe e braccia. Brillantini, brillantini ovunque - che scintillano azzurri nel cuore di town. E le piume, ovviamente! Un fiore di piume verdi in testa da sfoggiare con eleganza, fingendo per un giorno di essere una vera soubrette.
Hands in the air! Hands in the air!
E' stata una festa infinita. Migliaia e migliaia di persone in costume, uomini e donne, grassi e magri, vecchi e giovani. Un sacco di ragazze bellissime ma soprattutto un sacco di ragazze e ragazzi normali che una volta all'anno decidono di essere delle vere star, dimenticandosi di chi sono, di cosa e' giusto e di cosa e' sbagliato. Fiumi di cose da bere e da mangiare, tutto senza mai fermarsi, ballando ballando ballando lungo le strade di downtown, del porto, frederik street, la Savannah. Intervallati dai judging points in cui i giudici decidevano quale fosse la band piu' bella, la lunga carovana ininterrotta proseguiva mascherata, sobbalzando frizzante nel baccanale di febbraio.
When they drink their rum, they only want roti...
Canzoni soca sconce e ossessive alimentavano l'effetto dell'alcohol. Wine wine wine, tutti ballavano su tutti, tutti erano bellissimi, tutti erano esausti e elettrizzati, inarrestabili e sfiancati da questa danza durata dodici ore sotto il sole e sotto la pioggia. Che bella la pioggia! Cosi' rinfrescante sull'asfalto bollente... Siamo stati sotto l'acqua a prenderla come se si trattasse un enorme scherzo celeste, in attesa che rispuntasse il sole accecante. Abbiamo camminato, danzato e ballato all'infinito. Alla fine ci siamo trascinati verso lo stadio, mentre il sole calava e la banda si disfava lentamente. La citta' era ancora calda e pulsante mentre i piu' si dirigevano finalmente verso casa. Lasciandoci alle spalle le ultime esplosioni crnevalesche, sentivamo il coro tribale sollevarsi in lontananza:
We-won't-stop-till-the sun-goes-up --- Winiiiiiiin'
Hands in the air! Hands in the air!
E' stata una festa infinita. Migliaia e migliaia di persone in costume, uomini e donne, grassi e magri, vecchi e giovani. Un sacco di ragazze bellissime ma soprattutto un sacco di ragazze e ragazzi normali che una volta all'anno decidono di essere delle vere star, dimenticandosi di chi sono, di cosa e' giusto e di cosa e' sbagliato. Fiumi di cose da bere e da mangiare, tutto senza mai fermarsi, ballando ballando ballando lungo le strade di downtown, del porto, frederik street, la Savannah. Intervallati dai judging points in cui i giudici decidevano quale fosse la band piu' bella, la lunga carovana ininterrotta proseguiva mascherata, sobbalzando frizzante nel baccanale di febbraio.
When they drink their rum, they only want roti...
Canzoni soca sconce e ossessive alimentavano l'effetto dell'alcohol. Wine wine wine, tutti ballavano su tutti, tutti erano bellissimi, tutti erano esausti e elettrizzati, inarrestabili e sfiancati da questa danza durata dodici ore sotto il sole e sotto la pioggia. Che bella la pioggia! Cosi' rinfrescante sull'asfalto bollente... Siamo stati sotto l'acqua a prenderla come se si trattasse un enorme scherzo celeste, in attesa che rispuntasse il sole accecante. Abbiamo camminato, danzato e ballato all'infinito. Alla fine ci siamo trascinati verso lo stadio, mentre il sole calava e la banda si disfava lentamente. La citta' era ancora calda e pulsante mentre i piu' si dirigevano finalmente verso casa. Lasciandoci alle spalle le ultime esplosioni crnevalesche, sentivamo il coro tribale sollevarsi in lontananza:
We-won't-stop-till-the sun-goes-up --- Winiiiiiiin'
Carnival Monday
J'ouvert e' finito alle 8 di mattina, e noi siamo dovuti andare fino a casa praticamente a piedi. Abbiamo mangiato doubles e bevuto caffe' in lattina. Il sole era gia' alto e noi eravamo sporchi. A casa giusto il tempo per una doccia con la canna nel parcheggio e un'oretta di sonno. Alle 11 si riparte - it's Carnival Monday e dobbiamo precipitarci in strada.
Il lunedi' il dress code e' informale. Pantaloncini striminziti e dorati regalati da Island People e una magliettina bianca. Ci vestiamo e usciamo al volo: per raggiungere la band dobbiamo camminare per chilometri attraverso la citta' vuota, intercettando di tanto in tanto le bands concorrenti. Alla fine la intravediamo, giu' a downtown vicino al porto. La band e' composta di 17 camion che marciano in fila, circondati dalla folla saltante ed esultante del Carnevale. La meta' di questi camion servono solo ad emettere musica, frastornante, elettrica e travolgente. Gli altri distibuiscono da bere. Tutto gratis tutto il tempo. Basta avvicinarsi e dire "rum and coke", e in men che non si dica ti ritrovi un bicchiare in mano. Tutto ben ghiacciato, dato che fa un caldo da non vederci piu'. Poi ci sono tre camion che distribuscono cibo - carne, pesce o veggie - e l'ultimo chiamato wee wee truck. Fondamentale per le ragazze.
La nostra sezione era la piu' bella, i nostri costumi i piu' chic. Per questo il nostro gruppo era il primo, proprio in testa a tutta la banda. Abbimao camminato per ore, ballando e bevendo e sorridendo nel sole caldo di town. Dai lati delle strade la gente ci guardava, alcuni ci facevano le foto. Noi ballavamo e The Borther mi chiedeva se e' proprio dero che si puo' fare wining con tutte senza che ti tirino uno schiaffo.
Dopo ore di cammino e dopo esserci ben rimpinzati di cose da bere e da mangiare abbiamo deciso di abbandonare la band e esplorare il resto della citta'. Abbimao visto bands di adolescenti dove avvenivano le manifestazioni piu' estreme del wining. O band piu' tranquille di gente piu' matura, che oscillava allegra in Ariapita avenue. Ho incontrato tutti. Colleghi, coinquilini, amici, amici di amici, gente che ho conosciuto un giorno otto mesi fa a una festa o sulla spiaggia. Siamo finalmente approdati a Tribe, la band piu' in vista di tutte a cui molti dei nostri amici partecipavano. Abbiamo ritrovato Ry e My e Ma del quartiere. Abbiamo passeggiato con loro cantando a squarciagola e tutti insime: Oh Gooooooosh, Carnival come again!
Il lunedi' il dress code e' informale. Pantaloncini striminziti e dorati regalati da Island People e una magliettina bianca. Ci vestiamo e usciamo al volo: per raggiungere la band dobbiamo camminare per chilometri attraverso la citta' vuota, intercettando di tanto in tanto le bands concorrenti. Alla fine la intravediamo, giu' a downtown vicino al porto. La band e' composta di 17 camion che marciano in fila, circondati dalla folla saltante ed esultante del Carnevale. La meta' di questi camion servono solo ad emettere musica, frastornante, elettrica e travolgente. Gli altri distibuiscono da bere. Tutto gratis tutto il tempo. Basta avvicinarsi e dire "rum and coke", e in men che non si dica ti ritrovi un bicchiare in mano. Tutto ben ghiacciato, dato che fa un caldo da non vederci piu'. Poi ci sono tre camion che distribuscono cibo - carne, pesce o veggie - e l'ultimo chiamato wee wee truck. Fondamentale per le ragazze.
La nostra sezione era la piu' bella, i nostri costumi i piu' chic. Per questo il nostro gruppo era il primo, proprio in testa a tutta la banda. Abbimao camminato per ore, ballando e bevendo e sorridendo nel sole caldo di town. Dai lati delle strade la gente ci guardava, alcuni ci facevano le foto. Noi ballavamo e The Borther mi chiedeva se e' proprio dero che si puo' fare wining con tutte senza che ti tirino uno schiaffo.
Dopo ore di cammino e dopo esserci ben rimpinzati di cose da bere e da mangiare abbiamo deciso di abbandonare la band e esplorare il resto della citta'. Abbimao visto bands di adolescenti dove avvenivano le manifestazioni piu' estreme del wining. O band piu' tranquille di gente piu' matura, che oscillava allegra in Ariapita avenue. Ho incontrato tutti. Colleghi, coinquilini, amici, amici di amici, gente che ho conosciuto un giorno otto mesi fa a una festa o sulla spiaggia. Siamo finalmente approdati a Tribe, la band piu' in vista di tutte a cui molti dei nostri amici partecipavano. Abbiamo ritrovato Ry e My e Ma del quartiere. Abbiamo passeggiato con loro cantando a squarciagola e tutti insime: Oh Gooooooosh, Carnival come again!
J'ouveeeeeeeeeeeert!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Svegliati alle 2:30 di notte, alle 3 eravamo li', con le magliettine tutte strappate e il fischietto iridescente al collo. Eccitazione, sorrisi complici, atmosfera frizzante. La musica suona, l'aria e' fresca. Continuano ad arrivare maxi-taxi carichi di persone. Il nome della nostra band e' Cesar's Army, fondata da un ragazzo di nome Jules. Abbiamo magliette di Cesare e coroncine di alloro di cartone dorato. Beviamo energy drinks per tenerci in piedi e attendiamo che inizi la grande battaglia, mentre la notte striscia piano verso il suo inevitablie destino...
E poi finalmente parte l'ordine e viene distributia la pittura, lanciata in b0ottigliette a tutti i presenti. Paint the road, paint the road. Si scatena la festa. Tutti si spruzzano pittura rossa e nera e blu e gialla addosso - in meno di dieci minuti siamo pitturati dalla testa ai piedi. Arriva una banda di percussioni, suonano quello che sembra un samba. Uomini tutti dipinti di rosso giocano con il fuoco, partono fiamme lunghe un metro dalle loro bocche. Io mi imbratto di capelli, la pelle, le scarpe. La maglietta e i pantaloncini che non verranno mai piu' puliti. Bibite alcoliche vengono distributie liberamente, a piene mani. Alle quattro di mattina si parte, e' J'ouvert e il popolo dipinto si impossessa delle strade.
Balliamo e camminiamo, camminiamo e balliamo, in strade familiari eppure irriconoscibili. Non ci sono piu' le macchine, solo le persone. La musica Soca e il ballo e i ragazzi che si avvicinano e spruzzano e si attaccano al tuo didietro e al tuo davanti per ballare e oscillare e saltare al ritmo collettivo del bacchanal carnival festival per poi andarsene con un sorriso. C'e' The Brother venuto apposta da Milano, e Mister K e la Principessa Sissy. E gli amici del quartiere Ry e My e Ly e un'altra Ly. Che mi prendevano e strappavano e facevano saltare con loro, gocciolanti di vernice, mostruosamente belli. E le vie si riempivano brulicanti e crepitanti del fiume danzante del j'ouvert. Fin quando l'alba si spacca sulla citta' in festa.
E poi finalmente parte l'ordine e viene distributia la pittura, lanciata in b0ottigliette a tutti i presenti. Paint the road, paint the road. Si scatena la festa. Tutti si spruzzano pittura rossa e nera e blu e gialla addosso - in meno di dieci minuti siamo pitturati dalla testa ai piedi. Arriva una banda di percussioni, suonano quello che sembra un samba. Uomini tutti dipinti di rosso giocano con il fuoco, partono fiamme lunghe un metro dalle loro bocche. Io mi imbratto di capelli, la pelle, le scarpe. La maglietta e i pantaloncini che non verranno mai piu' puliti. Bibite alcoliche vengono distributie liberamente, a piene mani. Alle quattro di mattina si parte, e' J'ouvert e il popolo dipinto si impossessa delle strade.
Balliamo e camminiamo, camminiamo e balliamo, in strade familiari eppure irriconoscibili. Non ci sono piu' le macchine, solo le persone. La musica Soca e il ballo e i ragazzi che si avvicinano e spruzzano e si attaccano al tuo didietro e al tuo davanti per ballare e oscillare e saltare al ritmo collettivo del bacchanal carnival festival per poi andarsene con un sorriso. C'e' The Brother venuto apposta da Milano, e Mister K e la Principessa Sissy. E gli amici del quartiere Ry e My e Ly e un'altra Ly. Che mi prendevano e strappavano e facevano saltare con loro, gocciolanti di vernice, mostruosamente belli. E le vie si riempivano brulicanti e crepitanti del fiume danzante del j'ouvert. Fin quando l'alba si spacca sulla citta' in festa.
domenica 15 febbraio 2009
Refresh
Ieri sono andata in spiaggia. Nient'altro che Maracas, ma e' stato bellissimo. Come sempre di sabato, non c'era quasi nessuno. Ho fatto un lungo bagno nell'acqua verde e balsmanca, le onde erano grandi e spumose, il cielo era coperto. Tutto era impregnato di una sensazione grigioverde di inesplicabile freschezza.
Brasile
Tra meno di un mese realizero' uno dei sogni che mi porto dietro dal tempo del liceo: un lungo e avventuroso viaggio in Brasile. Ho gia' comprato i biglietti, andata il 9 Marzo, ritorno il 3 Maggio. Otto settimane di viaggio, alla scoperta di un paese che sara' impossibile esaurire in una sola tornata. L'origine di questo sogno e' bizzarra, e mostra come la vita prenda sempre il sopravvento sulle cose, su di noi, sui nostri piani.
Non sono nata con un'inclinazione naturale verso il Sudamerica. Sono stata immune alle mode per i balli latino-americani e per la lingua spegnola che imperversavano quando ero ragazzina. Senza accorgermene, pero' tra le tante persone che frequentavano il mio liceo ho pescato proprio due ragazze Sudamericane, e ne ho fatto le mie amiche "del cuore". Una non mi parlava altro che dell'Argentina, degli spazi sterminati della pampa e dell'atmosfera libera e europea di Buenos Aires. L'altra mi cantava le lodi del Brasile, della sua societa' ardente e meticcia e della comopolita Sao Paolo. Il tutto si e' ingigantito quando entrambe hanno cominciato a viaggiare e conoscere le loro terre, tornando a casa cariche di racconti esotici, fotografie mozzafiato e ricette culinarie di cui ero tra le principali beneficiarie.
Il tempo passa, e a vent'anni trovo un fidanzato portoghese di cui non posso fare a meno di apprendere la lingua e la cultura. Ho anche vissuto nel suo paese, assorbendo i suoni, gli accenti e la sensibilita' lusofona. In Portogallo e' facile sentir parlare delle ex colonie, la tv e' satura di telenovele brasiliane e la bossanova suona nelle radio molto piu' che altrove. Dovendo scegliere un case study per la mai tesi, mi sono detta perche' no? Il Brasile.
L'interesse saliva, ma la vita mi portava altrove. Ho continuato a studiare e lavorare nella vecchia Europa, fin quando durante il mio Master ho stretto amicizia con una ragazza portoghese. Appassionatissima per il Brasile. Contro ogni aspettativa e piano, siamo finite entrambe a Bruxelles per la seconda parte del programma, e ci siamo avvicinate tantissimo. Le scriveva la sua tesi sul Brasile, me ne parlava tutti i giorni. Quando e' andata a fare laricerca sul campo io l'ho aiutata a fare le valigie e la sono andata a prendere in aeroporto al ritorno. Nel frattempo, il mio ex fidanzato portoghese trovava un'eccellente opprtunita' di stage in Brasile.
Pochi mesi dopo, la mia amica brasiliana del liceo si e' lasciata Milano alle spalle per tornare finalmente nella sua San Paolo. Allo stesso modo, la mia amica portoghese del Master si e' trasferita stabilmente a Rio de Janeiro. L'ex ragazzo e buon amico sta pensando di restarci, dice che ci sono piu' opportunita' che a Lisbona. Anche le persone piu' insospettabili nella mia vita hanno cominciato a interessarsi al Brasile. La mia amica filosofa Cil ha deciso che scrivera' la sua tesi di dottorato su una scrittrice brasiliana, ne abbiamo parlato a lungo sorseggiando le sue impareggiabili tisane tra Milano e Parigi.
Dal canto mio, non ho mosso un dito. Ho mandato l'application per diventare una UN volunteer, e dopo che mi era stata promessa l'Africa mi sono ritrovata qui, nel continente americano. Attraversando l'Oceano Atlantico, ho promesso a me stessa che non avrei lasciato questa parte di mondo senza aver messo piede nel magnetico Brasil.
Non sono nata con un'inclinazione naturale verso il Sudamerica. Sono stata immune alle mode per i balli latino-americani e per la lingua spegnola che imperversavano quando ero ragazzina. Senza accorgermene, pero' tra le tante persone che frequentavano il mio liceo ho pescato proprio due ragazze Sudamericane, e ne ho fatto le mie amiche "del cuore". Una non mi parlava altro che dell'Argentina, degli spazi sterminati della pampa e dell'atmosfera libera e europea di Buenos Aires. L'altra mi cantava le lodi del Brasile, della sua societa' ardente e meticcia e della comopolita Sao Paolo. Il tutto si e' ingigantito quando entrambe hanno cominciato a viaggiare e conoscere le loro terre, tornando a casa cariche di racconti esotici, fotografie mozzafiato e ricette culinarie di cui ero tra le principali beneficiarie.
Il tempo passa, e a vent'anni trovo un fidanzato portoghese di cui non posso fare a meno di apprendere la lingua e la cultura. Ho anche vissuto nel suo paese, assorbendo i suoni, gli accenti e la sensibilita' lusofona. In Portogallo e' facile sentir parlare delle ex colonie, la tv e' satura di telenovele brasiliane e la bossanova suona nelle radio molto piu' che altrove. Dovendo scegliere un case study per la mai tesi, mi sono detta perche' no? Il Brasile.
L'interesse saliva, ma la vita mi portava altrove. Ho continuato a studiare e lavorare nella vecchia Europa, fin quando durante il mio Master ho stretto amicizia con una ragazza portoghese. Appassionatissima per il Brasile. Contro ogni aspettativa e piano, siamo finite entrambe a Bruxelles per la seconda parte del programma, e ci siamo avvicinate tantissimo. Le scriveva la sua tesi sul Brasile, me ne parlava tutti i giorni. Quando e' andata a fare laricerca sul campo io l'ho aiutata a fare le valigie e la sono andata a prendere in aeroporto al ritorno. Nel frattempo, il mio ex fidanzato portoghese trovava un'eccellente opprtunita' di stage in Brasile.
Pochi mesi dopo, la mia amica brasiliana del liceo si e' lasciata Milano alle spalle per tornare finalmente nella sua San Paolo. Allo stesso modo, la mia amica portoghese del Master si e' trasferita stabilmente a Rio de Janeiro. L'ex ragazzo e buon amico sta pensando di restarci, dice che ci sono piu' opportunita' che a Lisbona. Anche le persone piu' insospettabili nella mia vita hanno cominciato a interessarsi al Brasile. La mia amica filosofa Cil ha deciso che scrivera' la sua tesi di dottorato su una scrittrice brasiliana, ne abbiamo parlato a lungo sorseggiando le sue impareggiabili tisane tra Milano e Parigi.
Dal canto mio, non ho mosso un dito. Ho mandato l'application per diventare una UN volunteer, e dopo che mi era stata promessa l'Africa mi sono ritrovata qui, nel continente americano. Attraversando l'Oceano Atlantico, ho promesso a me stessa che non avrei lasciato questa parte di mondo senza aver messo piede nel magnetico Brasil.
domenica 8 febbraio 2009
Flash-back
Trinidad ha risvegliato lati del mio carattere che non si manifestavano dal tempo dell'infanzia. A volte mi sembra di mordere una madelaine. Tutto torna indietro a quando ero bambina, a piedi nudi in Sardegna. Ho passato estati su estati vicino al mare, annusandone l'odore nel vento, giocando nell'acqua per ore di fila immaginando di essere una sirenetta. Tutta la natura era meravigliosamente aspra e rovente. I gigli selvatici che crescono nella sabbia, i cumuli di alghe binchi di salsedine, le pietre appuntite che tagliano i piedi, l'odore del mirto, la luce gialla del mezzogiorno. I rovi che graffiano le gambe, le rocce su cui arrampicarsi, il vento potente di maestrale. Le bacche, le olive, le querce da sughero. I cespugli di rosmarino. Io mi sentivo immensamente selvatica.
Qui a Trinidad a volte provo emozioni simili. Quando sto sulla spiaggia fino a dopo che tramonta il sole, quando non rimane piu' nessuno e la luna spunta sopra alle montagne. Quando sono le 3 di notte e si decide che e' troppo presto per tornare a casa. Quando ci si schianta sulle onde alte, quando si va a Macaripe la mattina presto. Quando si balla tantissimo, quando si va a una festa di sconosciuti. La stessa sensazione di liberta', di capelli salati e scompigliati e graffi e pelle bruciata. Terry me lo dice sempre, quando torniamo dalla spiaggia. "Tu sei bella cosi'. Non con i capelli lisci e con una piega perfetta. You belong just as you look right now".
Qui a Trinidad a volte provo emozioni simili. Quando sto sulla spiaggia fino a dopo che tramonta il sole, quando non rimane piu' nessuno e la luna spunta sopra alle montagne. Quando sono le 3 di notte e si decide che e' troppo presto per tornare a casa. Quando ci si schianta sulle onde alte, quando si va a Macaripe la mattina presto. Quando si balla tantissimo, quando si va a una festa di sconosciuti. La stessa sensazione di liberta', di capelli salati e scompigliati e graffi e pelle bruciata. Terry me lo dice sempre, quando torniamo dalla spiaggia. "Tu sei bella cosi'. Non con i capelli lisci e con una piega perfetta. You belong just as you look right now".
Fashion fete
Ieri sera sono andata ad una fete carnevalesca molto in al country club, in un bello spazio aperto con prato all'inglese e padiglioni in bianco. Bibite a non finire, diversi stand con cibi diversi a cui attingere liberamente, perfino un piccolo banchetto che distribuiva gelati. Tre concerti di fila, tutti ballati senza interruzione. Udite udite, ho capito che si', sono ormai capace di ballare "alla trinidina". Wining wining. Nulla di acrobatico, ma il sufficiente per sentirmi parte della festa e per dare il meglio di me a Carnevale. Mi chiedo se quando tornero' in Italia saro' piu' capace di ballare in modo "normale"...
La serata e' stata deliziosa. Mister K mi divertiva con pettegolezzi piccanti sui cantanti e sul pubblico, ho mangiato il bake and shark piu' buono del mondo, ho stretto la mano al Ministro delle Finanze e l'unica medaglia d'oro olimpica di Trinidad (un centometrista!). Il vero marchio della festa sono stati i copricapi di paglia a falde larghe distribuiti all'ingresso, in puro stile coloniale. Io ho tirato su i capelli e inclinato il cappello. Con il mio vestitino bianco e nero a vita alta sembravo una francesina, in mezzo a tutta quella folla oscillante al ritomo della soca.
La serata e' stata deliziosa. Mister K mi divertiva con pettegolezzi piccanti sui cantanti e sul pubblico, ho mangiato il bake and shark piu' buono del mondo, ho stretto la mano al Ministro delle Finanze e l'unica medaglia d'oro olimpica di Trinidad (un centometrista!). Il vero marchio della festa sono stati i copricapi di paglia a falde larghe distribuiti all'ingresso, in puro stile coloniale. Io ho tirato su i capelli e inclinato il cappello. Con il mio vestitino bianco e nero a vita alta sembravo una francesina, in mezzo a tutta quella folla oscillante al ritomo della soca.
Lavoro
Non si deve mai dire l'ultima parola. Il giorno dopo aver scritto tutti miei commenti sull'elefante-ONU, il mio capo mi ha chiesto di rimanere un po' di piu'. Non molto, giusto il tempo di finire il mio lavoro. Chiaramente mi fa piacere, mi fa sentire apprezzata e quant'altro. Anche se una parte di me si stava gia' preparando a un mesetto di puro turismo a Trinidad, con spiaggia e escursioni e vita notturna senza limiti di orario. Il modo in cui si e' svolta la conversazione mi ha fatto sorridere. "Viviana, quand'e' il tuo volo?". "Il 9 Marzo". "Allora ti prolunghiamo il contrato fino all'8 Marzo". E perche' no?
giovedì 5 febbraio 2009
Playing mas
Ebbene si', partecipero' al Carnevale. I will play mas. Dopo mesi di indecisione, di ponderazioni, di speculazioni, ho deciso di farmi questo regalo. E sia Mister K sia il mio fratellino in visita verranno con me. I prezzi dei costumi sono paradossali, si aggirano tra i 450 e i 700 dollari americani. Ma ciononostante sono riuscita a "vendermene" uno, portando questa serie di argomentazioni:
- e' Carnevale
- il costume e' fatto a mano
- il costume e' elaborato
- e' Carnevale
- insieme al costume bello da sfoggiare martedi' alla sfilata, te ne danno anche uno piu' sobrio per il lunedi', tanto per gradire
- la band offre sicurezza, e guardie armate per proteggerci
- e' Carnevale
- avro' drinks illimitati di qualunque tipo per due giorni di baldoria
- la band offre colazione, pranzo e cena per due giorni
- avro' accesso a toilette itineranti dietro al carro (suona buffo, ma a quanto pare uno dei problemi maggiori della festa e' dove fare pipi')
E soprattutto... e' Carnevale!
Quello che vedete e' il mio costume...
mercoledì 4 febbraio 2009
Note to self
Tra le belle personcine incrociate ultimamente figurano indubbiamente Sheela e David. Lei Americana, lui Inglese. Lei zuccherina, lui speziato di humour britannico. Girano il mondo scrivendo libri sull'opportunita' di investimento in vari paesi. Dopo aver lavorato per un'azienda del settore ed essersi incrociati in varie destinazioni nei cinque continenti, hanno deciso che era il momento di sposarsi e di aprire il loro business indipenedente. Per ora hanno coperto la Turchia, Malta e Trinidad e Tobago, dove lui ha scoperto l'aqua di cocco (I am severely addicted, I can't drink normal water any longer), e lei ha scoperto di essere incinta.
L'altro giorno abbiamo organizzato una cenetta-sushi e abbiamo parlato di vita, di viaggi e della crisi economica a Trinidad. Il piu' grande fondo di investimento locale (e tra i piu' grandi nei Caraibi, con ramificazioni alle Cayman) e' sprofondato su se stesso quando molti grandi investitori si sono precipitati a ritirare denaro. L'azienda e' stata immediatamente comprata dal Governo, e l'esecutivo e' stato licenziato in tronco. Nell'ultima settimana a Trinidad, quando non si parla del Carnevale, si parla di questo.
Nel mezzo della discussione David ha detto una cosa interessante. Che quando si intervistano i Ministri, un po' ovunque nel mondo, ci si trova sempre davanti a un muro di parole-slogan in cui la verita' e' talmente diluita da risultare irriconoscibile. E questa non e' una novita'. Pero' poi ha aggiunto che c'e' una bella differenza tra ministro e ministro. Quelli importanti (Finanze, Giustizia, Sanita'...) sono tradizionalmente yes-men del Primo Ministro, con pelo sullo stomaco e gusto per il potere. Le interviste piu' succose e aperte si fanno invece nei ministeri minori (Pari opportunita', Ambiente, Sport...), che vengono generalmente affidati a chi fa le bizze per limitarne la sfera di inflenza. Osservazione semplice ma non banale. Da tenere a mente per quando le interviste le faro' io.
L'altro giorno abbiamo organizzato una cenetta-sushi e abbiamo parlato di vita, di viaggi e della crisi economica a Trinidad. Il piu' grande fondo di investimento locale (e tra i piu' grandi nei Caraibi, con ramificazioni alle Cayman) e' sprofondato su se stesso quando molti grandi investitori si sono precipitati a ritirare denaro. L'azienda e' stata immediatamente comprata dal Governo, e l'esecutivo e' stato licenziato in tronco. Nell'ultima settimana a Trinidad, quando non si parla del Carnevale, si parla di questo.
Nel mezzo della discussione David ha detto una cosa interessante. Che quando si intervistano i Ministri, un po' ovunque nel mondo, ci si trova sempre davanti a un muro di parole-slogan in cui la verita' e' talmente diluita da risultare irriconoscibile. E questa non e' una novita'. Pero' poi ha aggiunto che c'e' una bella differenza tra ministro e ministro. Quelli importanti (Finanze, Giustizia, Sanita'...) sono tradizionalmente yes-men del Primo Ministro, con pelo sullo stomaco e gusto per il potere. Le interviste piu' succose e aperte si fanno invece nei ministeri minori (Pari opportunita', Ambiente, Sport...), che vengono generalmente affidati a chi fa le bizze per limitarne la sfera di inflenza. Osservazione semplice ma non banale. Da tenere a mente per quando le interviste le faro' io.
martedì 3 febbraio 2009
Morte
Stamattna verso le 7 Marlon ha bussato alla porta, per portarci una notizia fresca freasca dal quartiere. Ieri notte e' stato ucciso un altro ragazzo sulla collina, il secondo questa settimana. Un colpo sparato dritto in testa. Aveva una figlia di quattro anni e una moglie incinta a casa. La bambina era con lui quando e' stato ucciso, ed e' stata ritrovata solo 5-6 ore dopo, che camminava da sola nella notte cercando il suo papa'. Il cadavere sta ancora li' per strada, lo vedono i ragazzini che vanno a scuola. Una poliziotta e' passata verso le 8:30 a farci un paio di domande. Ieri notte, sia io sia Mister K abbiamo fatto sogni di violenza e di morte.
venerdì 30 gennaio 2009
Favole di Trinidad
Princess. Una ragazza olandese dai genitori cinesi. Atterrata a Trinidad ad Agosto, spuntata in ufficio vestita di verde. L'ho definita amabilmente girly girl. Carinissima, finissima, femminilissima. E' arrivata come UN volunteer, ha bazzicato a UNDP per qualche giorno, poi ha cominciato a lavorare al Governo. Un paio di volte siamo andate a mangiare insieme, e abbiamo piu' o meno cominciato a frequentarci. Ho scoperto che e' una tax lawyer, che ha piu' paia di scarpe di Carrie di Sex and The City, e che ciononostante ha girato tutta l'India con uno zaino sulle spalle. Con il suo ragazzo olandese con cui sta da 14 anni. Parla infdifferentemente Fiammingo, Cinese ed Inglese, adora il buon vino e ha lavorato ad Hong Kong. Insomma, un tipino interessante.
Sono io che le ho ho fatto conoscere The Cat, l'architetto Portoricano, una sera a caso verso settembre. In meno di due settimane e' stata chiusa la storia d'amore europea ultradecennale. E si e' aperta una bellissima nuova pagina con il ragazzo caraibico che le ha rubato il cuore. Ora vivono insieme, hanno deciso di sposarsi. ogni tanto vado a trovarli, stanno in una bella casa con piscina, con il mosaico di un delfino azzurrio sul fondo. E ogni volta che mi ci tuffo penso a quanto e' bella la storia buffa del Gatto e della Principessa.
Sono io che le ho ho fatto conoscere The Cat, l'architetto Portoricano, una sera a caso verso settembre. In meno di due settimane e' stata chiusa la storia d'amore europea ultradecennale. E si e' aperta una bellissima nuova pagina con il ragazzo caraibico che le ha rubato il cuore. Ora vivono insieme, hanno deciso di sposarsi. ogni tanto vado a trovarli, stanno in una bella casa con piscina, con il mosaico di un delfino azzurrio sul fondo. E ogni volta che mi ci tuffo penso a quanto e' bella la storia buffa del Gatto e della Principessa.
ONU III
...Continua.
9. Un altro metodo per spendere soldi che va di gran moda e che a mio parere e' totalmente inefficiente e' l'organizzazione di trainings, workshops, seminari. Se la polizia e' violenta, facciamo un bel training sui diritti umani a 25 poliziotti. Se le ONG sono incapaci, facciamo un workshop di due giorni in project management ai loro capi. E allora si chiama un consultente, si organizza l'evento, albergo catering e quant'altro, materiale hotel e trasporti. Un progettino da qualche migliaio di dollari facile facile. Peccato che per cambiare le cose in modo sostanziale un paio di giorni di training a 25 persone non facciano praticamente nulla. Bisognerebbe cambiare tutta l'accademia della polizia. Bisognerebbe inserire un corso di project management permanenete nelle universita', che duri un semestre e vanga impartito a generazioni di studenti. Questi sarebbero progetti davvero utili. E lenti. E difficili. E con meno spese, dato che si tratterebbe di convincere il Governo a cambiare le cose, piuttosto che orgaizzare corsi in prima persona. Allora e' meglio il training, e finiamola li'.
10. Come puo' mancare un punto sulla burocrazia? L'ONU e'un'organizzazione di portata mondiale, quindi per forza deve avere regole ferree. Altrimenti e' il delirio. Ad esempio il fatto che ci siano regolamenti rigidissimi e cavillosi per gli appalti e' doloroso ma doveroso, altrimenti la corruzione ramperebbe. Pero' alcune cose potrebbero essere diverse, piu' spontanee e flessibili. Come l'uso della tecnologia. In tantissimi uffici in Europa tutti i dipendenti devono utilizzare una chat in ufficio per comunicare fra di loro. Meno invadente e piu' immediata della telefonata, utile per scambiarsi documetni virtuali al volo, per creare legami interpersonali tra colleghi. Qui non se ne parla. Stessa cosa per i gruppi facebook. Sarebbe utilissimo aprirne qualcuno per facilitare gli scambi di informazioni tra agenzie diverse. Quanto sarebbe comodo avere un gruppo facebook sull'HIV/AIDS a cui potrebbero accede UNDP, UNAIDS, PAHO, UNFPA e UNICEF? Quando ho sollevato la proposta mi hanno guardata come se fossi scesa da marte. "E' giovane!", avranno pensato."Le piace scherzare..."
9. Un altro metodo per spendere soldi che va di gran moda e che a mio parere e' totalmente inefficiente e' l'organizzazione di trainings, workshops, seminari. Se la polizia e' violenta, facciamo un bel training sui diritti umani a 25 poliziotti. Se le ONG sono incapaci, facciamo un workshop di due giorni in project management ai loro capi. E allora si chiama un consultente, si organizza l'evento, albergo catering e quant'altro, materiale hotel e trasporti. Un progettino da qualche migliaio di dollari facile facile. Peccato che per cambiare le cose in modo sostanziale un paio di giorni di training a 25 persone non facciano praticamente nulla. Bisognerebbe cambiare tutta l'accademia della polizia. Bisognerebbe inserire un corso di project management permanenete nelle universita', che duri un semestre e vanga impartito a generazioni di studenti. Questi sarebbero progetti davvero utili. E lenti. E difficili. E con meno spese, dato che si tratterebbe di convincere il Governo a cambiare le cose, piuttosto che orgaizzare corsi in prima persona. Allora e' meglio il training, e finiamola li'.
10. Come puo' mancare un punto sulla burocrazia? L'ONU e'un'organizzazione di portata mondiale, quindi per forza deve avere regole ferree. Altrimenti e' il delirio. Ad esempio il fatto che ci siano regolamenti rigidissimi e cavillosi per gli appalti e' doloroso ma doveroso, altrimenti la corruzione ramperebbe. Pero' alcune cose potrebbero essere diverse, piu' spontanee e flessibili. Come l'uso della tecnologia. In tantissimi uffici in Europa tutti i dipendenti devono utilizzare una chat in ufficio per comunicare fra di loro. Meno invadente e piu' immediata della telefonata, utile per scambiarsi documetni virtuali al volo, per creare legami interpersonali tra colleghi. Qui non se ne parla. Stessa cosa per i gruppi facebook. Sarebbe utilissimo aprirne qualcuno per facilitare gli scambi di informazioni tra agenzie diverse. Quanto sarebbe comodo avere un gruppo facebook sull'HIV/AIDS a cui potrebbero accede UNDP, UNAIDS, PAHO, UNFPA e UNICEF? Quando ho sollevato la proposta mi hanno guardata come se fossi scesa da marte. "E' giovane!", avranno pensato."Le piace scherzare..."
ONU II
....continua
6. Alle agenzie ONU piace avere programmi "ambiziosi". Che tradotto in linguaggio non-ONU significa: irrealizzabili. Piace inserire tra i propri obiettivi "rafforzare la societa' civile". Ma tutti sanno che e' un compito impossibile da realizzare, cosi' come e' formulato. Troppo ampio, troppo vago, troppo generale. Sarebbe piu' onesto scrivere tra i propri obiettivi qualcosa come "aumentare del 5% la partcipazione della societa' civile alle consultazioni pubbliche rispetto all'anno precedente". Ma obiettivi come questo fanno paura. Perche'? Perche' esigono risultati concreti.
7. Benche' contro-intuitivo, il guadagno di UNDP dipende da quanto spende. Piu' spende, piu' guadagna. Cio' si spiega perche' il compito di UNDP e' realizzare dei progetti, e i progetti si realizzano spendendo soldi. I soldi spesi possono arrivare da varie fonti: dai quartieri generali, dal settore privato, o dal Govverno. Nel caso di Trinidad visto che e' un paese ricco i soldi arrivano quasi tutti dal Governo. Sui soldi spesi, una percentuale o commissione resta a UNDP. Per quanto ragionevole, si tratta di un guadagno, il che di per se' manda a pallino la nozione di no-profit. Anyway. Il fatto che piu' si spende piu' si guadagna incita a realizzare progetti che costano tanto, a prescindere dai risultati. Non proprio un criterio di efficienza.
8. Visto che nei paesi non sviluppati tutto funzina lentissimamente, UNDP e agenzie simili devono trovare il modo di spendere i soldi a loro disposizione in fretta. Se ne spendono meno del previsto, l'anno seguente il loro budget si abbassera', a prescinedere dalla fonte di finanziamento. Quindi, vengono privilegiati i progetti di facile esecuzione. Come contrattare UNV volunteers per qualche anno. Per spendere dei soldi non c'e' nulla di piu' facile che pagare degli stipendi, mensilmente. Qualcuno gleilo dice agli UNV volunteers sul terreno che vengono definiti "una facile fonte di guadagno"?
6. Alle agenzie ONU piace avere programmi "ambiziosi". Che tradotto in linguaggio non-ONU significa: irrealizzabili. Piace inserire tra i propri obiettivi "rafforzare la societa' civile". Ma tutti sanno che e' un compito impossibile da realizzare, cosi' come e' formulato. Troppo ampio, troppo vago, troppo generale. Sarebbe piu' onesto scrivere tra i propri obiettivi qualcosa come "aumentare del 5% la partcipazione della societa' civile alle consultazioni pubbliche rispetto all'anno precedente". Ma obiettivi come questo fanno paura. Perche'? Perche' esigono risultati concreti.
7. Benche' contro-intuitivo, il guadagno di UNDP dipende da quanto spende. Piu' spende, piu' guadagna. Cio' si spiega perche' il compito di UNDP e' realizzare dei progetti, e i progetti si realizzano spendendo soldi. I soldi spesi possono arrivare da varie fonti: dai quartieri generali, dal settore privato, o dal Govverno. Nel caso di Trinidad visto che e' un paese ricco i soldi arrivano quasi tutti dal Governo. Sui soldi spesi, una percentuale o commissione resta a UNDP. Per quanto ragionevole, si tratta di un guadagno, il che di per se' manda a pallino la nozione di no-profit. Anyway. Il fatto che piu' si spende piu' si guadagna incita a realizzare progetti che costano tanto, a prescindere dai risultati. Non proprio un criterio di efficienza.
8. Visto che nei paesi non sviluppati tutto funzina lentissimamente, UNDP e agenzie simili devono trovare il modo di spendere i soldi a loro disposizione in fretta. Se ne spendono meno del previsto, l'anno seguente il loro budget si abbassera', a prescinedere dalla fonte di finanziamento. Quindi, vengono privilegiati i progetti di facile esecuzione. Come contrattare UNV volunteers per qualche anno. Per spendere dei soldi non c'e' nulla di piu' facile che pagare degli stipendi, mensilmente. Qualcuno gleilo dice agli UNV volunteers sul terreno che vengono definiti "una facile fonte di guadagno"?
ONU I
In questo blog mi sono sempre trattenuta dal fare due cose. Parlare della mia intimita', e parlare del mio lavoro. Ora che il mio lavoro sta per finire, ho deciso di sbottonarmi un pochettino e di concedere qualche spazione di riflessione sul sistema delle Nazioni Unite.
In un anno seduta alla scrivania di UNDP si vedono molte cose, e invariabilemente si va altalenando da momenti di fiducia a momenti di disillusione, perdendo il conto degli uni e degli altri. Ecco qualche punto delle mie conclusioni.
1. La stragrande maggioranza di persone che lavorano all'ONU sono bravi professionisti. E' il sistema che e' un casino. La burocrazia, l'inefficienza paralizzante.
2. Il fatto che il sistema funzioni male non deve sollevare critiche banali. Lo sviluppo e' una cosa complicata. Non e' come lavorare in azienda, in cui alla fin fine l'obiettivo e' fare si' che i ricavi siano piu' alti dei costi. Nello sviluppo di parla di cambiare la mentalita' di milioni di persone. Di influenzare governi corrotti che sbandierano la loro sovranita' contro ogni argomentazione. Di aiutare le schiere di gente senza educazione e con la pancia vuota a trovare la forza di voler cambiare le cose. Non e' esattamente una cosa semplice.
3. Un paese ricco e' infinitamente meno influenzabile dal mondo internazionale di un paese povero. Se poi si tratta di un'isola dalla mentalita' chiusa, ancora peggio.
4. In un paese piccolo, non ha senso che ci siamnno 9 agenzie ONU (e 2 non-residenti), ognuna composta da una manciatina di persone. Per quanto siano bravi, tutti i loro sforzi vanno in amministrazione. Ci dovrebbe essere un ufficio solo, con un solo programma coerente. Ora come ora l'unico tentativo di una programmazione congiunta e' il fallimentare UNDAF, un documento fatto di giochi di parole. In realta', ogni agenzia segue la sua agenda, perche' i capi sono valutati dai loro singoli quartieri generali.
5. Il concetto che un paese ricco debba pagare l'ONU sul proprio territorio non puo' funzionare. Perche' a quel punto l'ONU diventa una societa' di consulenza, e non piu' un donatore. E se il governo ha bisogno di consulenti, se li puo' trovare da solo, senza dover pagare ne' ringraziare nessuno, tanto i soldi ce li ha. E poi, dove finisce la neutralita' dell'ONU, se viene mantenuto dal governo?
In un anno seduta alla scrivania di UNDP si vedono molte cose, e invariabilemente si va altalenando da momenti di fiducia a momenti di disillusione, perdendo il conto degli uni e degli altri. Ecco qualche punto delle mie conclusioni.
1. La stragrande maggioranza di persone che lavorano all'ONU sono bravi professionisti. E' il sistema che e' un casino. La burocrazia, l'inefficienza paralizzante.
2. Il fatto che il sistema funzioni male non deve sollevare critiche banali. Lo sviluppo e' una cosa complicata. Non e' come lavorare in azienda, in cui alla fin fine l'obiettivo e' fare si' che i ricavi siano piu' alti dei costi. Nello sviluppo di parla di cambiare la mentalita' di milioni di persone. Di influenzare governi corrotti che sbandierano la loro sovranita' contro ogni argomentazione. Di aiutare le schiere di gente senza educazione e con la pancia vuota a trovare la forza di voler cambiare le cose. Non e' esattamente una cosa semplice.
3. Un paese ricco e' infinitamente meno influenzabile dal mondo internazionale di un paese povero. Se poi si tratta di un'isola dalla mentalita' chiusa, ancora peggio.
4. In un paese piccolo, non ha senso che ci siamnno 9 agenzie ONU (e 2 non-residenti), ognuna composta da una manciatina di persone. Per quanto siano bravi, tutti i loro sforzi vanno in amministrazione. Ci dovrebbe essere un ufficio solo, con un solo programma coerente. Ora come ora l'unico tentativo di una programmazione congiunta e' il fallimentare UNDAF, un documento fatto di giochi di parole. In realta', ogni agenzia segue la sua agenda, perche' i capi sono valutati dai loro singoli quartieri generali.
5. Il concetto che un paese ricco debba pagare l'ONU sul proprio territorio non puo' funzionare. Perche' a quel punto l'ONU diventa una societa' di consulenza, e non piu' un donatore. E se il governo ha bisogno di consulenti, se li puo' trovare da solo, senza dover pagare ne' ringraziare nessuno, tanto i soldi ce li ha. E poi, dove finisce la neutralita' dell'ONU, se viene mantenuto dal governo?
Ripassare dal via
Sta per finire. Tra due settimane mi scade il contratto, e questa strana avventura ONU arrivera' a una conclusione. Si chiude una porta e si apre un portone, si dice. Diciamo che si chiude una porta e se ne aprono tante. Mi sembra di essere atterrata qui a Trinidad un secolo fa. Mi e' venuto a prendere Joe all'aeroporto e mi ha portato alla guest house di Claire. Il giorno dopo mi e' passato a prendere e mi ha fattio fare un giro gratis a port of Spain e io ho mangiato il mio primo roti. L'ultimo l'ho mangiato oggi a pranzo, portato da un ragazzo che l'anno scorso non sapevo nemmeno che esistesse, andando insieme a consegnare buste a ministeri e ambasciate per un progetto che l'anno scorso non avrei mai pensato di poter fare, reduci da una riunione di un'organizzazione a cui l'anno scorso mai avrei pensato di aderire. Sono arrivata qui il 14 febbraio 2008, e il 14 febbraio 2009 andro' a un concerto del re della soca per festeggiare il giro intorno al sole trinidino. Tra due settimane avro' la mia festina d'addio in ufficio e in teoria dovrei tornare a casa. In pratica no, nonostante tutto no. Non ho un lavoro, non ho mandato applications, non ho voluto muovermi. Per la prima volta dalla fine del liceo, mi sono liberata dal giogo della paura di perdere tempo. Resto per Carnevale, magari ci partecipo pure. Poi me ne vado in Brasile, mi regalo un sogno maturato in 9 anni di attesa. Poi ripasso di qui. E a quel punto vedremo dove mi portera' il vento.
giovedì 29 gennaio 2009
Gatta
Dopo qualche giorno che avevamo un gatto abbiamo scoperto che in realta' e' una gatta. E cosi' l'abbiamo chiamata. Gatta. Oramai ha quasi tre mesi ed e' grandicella, ma si comporta ancora da cucciola. Corre come una matta, mordicchia per giocare, attacca stringhe e spaghi, salta come una scimmietta. Ci viene incontro quando arriviamo a casa, dorme con noi, guarda la tele con noi, ci aspetta in bagno quando facciamo la doccia. E' praticamente un cane. Un gatto-cane-scimmia. E' il giocattolo migliore del mondo. La guardiamo per ore mentre gioca con le scatole e le palline colorate, mentre rincorre il bastoncino e si morde le coda. Vengono tutti gli amici del quartiere a giocarci, dicono che non hanno mai visto un gattino tanto socievole. E infatti ci vuole molto bene. Ci manda sempre bacini socchiudendo gli occhi, e ogni tanto ci da' una leccatina, che nel linguaggio dei gatti e' the ultimate sign of affection.
Fetes
Siamo in piena Carnival season. Da Santo Stefano a Carnevale, non si parla d'altro che di feste, non si ascolta altro che soca, il paese intereo freme nell'attesa dell'esplosione collettiva che avverra' il 23 e 24 febbraio. La cosa piu' bella che caratterizza il periodo del carnevale e' la lunga serie di fetes che precedono. Le fetes (la parola francese e' rimasta intrappolata nella lingua) sono enormi feste in cui ci si raccoglie a bere, mangiare e soprattutto ballare, ogni venerdi', ogni sabato e ogni domenica per tutta la stagione. Ogni week-end ci sono 6-7 fetes tra cui scegliere. Negli ultimi 12 giorni prima del Carnevale ci sono almeno due fetes a sera. Putroppoo costano un sacco, dai 40 ai 100 dollari americani a botta. Il che significa che non e' possibile andare a tutte, bisogna mettersi a tavolino, studiare il calendario e decidere. Ma vale la pena di spendere, sono ritrovi grandiosi, con tutto incluso, siucrezza e gadgets e drinks ad infinitum e concerti dal vivo e un davvero casino di gente. Una volta che si ha il biglietto, ci si tutta dentro e si festeggia fino allo sfinimento.
Ghetto
Mister K stava esplorando il suo quartiere. Non suo nel senso che ci abita, ma suo nel senso che se ne deve prendere cura. E' uno degli inviati dal Ministero della Sicurezza Nazionale nelle aree piu' pericolose del paese per cercare di capire come risollevarle. Parlando con la gente, guardandosi intorno, creando occasioni di incontro con gli abitanti per sentire le loro richieste. Che variano dalla costruzione di un campo da pallacanestro all'apertura di un centro di accoglienza per ragazze madri. Ci e' andato per la prima volta qualche settimana fa, e si e' avvicinato ai ragazzi del muretto per capire che aria tirava. Ha sfoderato la sua voce da ghetto e li ha fatti cantare per un'oretta. Alla fine la butta li'. "Magari facciamo un meeting settimana prossima con un po' di gente del quartiere..." D'un tratto il loro capo si blocca. Sorride sardonico e solleva lo sguardo lentamete al di sopra dei suoi occhiali da sole. "E dove lo vorresti fare questo meeting?", chiede. "Mah, troviamo un posto qui vicino...", risponde K sospettoso. Il ragazzo scuote la testa e abbassa lo sguardo. "Amico, lascia che ti spieghi una cosa. La vedi questa zona? E' in guerra aperta con la banda dell'altro caseggiato. Non ti consiglio di fare il tuo meeting nel nostro territorio. Penserebbero che sei un nostro nuovo alleato. Arrivano in gruppo. E ti sparano in testa".
venerdì 16 gennaio 2009
Down the islands II
Dopo tanto tempo lo scorso fine settimana sono andata "down the islands". Le "islands" sono una catena di isolette disabitate che si snocciolano fino al Venezuela, tutte punteggiate di bellissime ville acquatiche accessibili solo in motoscafo. Si trattava di un invito da parte di "amici di amici di amici" per una festina improvvisata in riva al mare, che ho accettato piena di curiosita'. Siamo arrivati a destinazione verso le tre di notte, dopo un lungo rendez-vous al bar e una mezz'ora di traversata marina notturna. Il posto era magico, stellato e silente. Il palazzo-palafitta dai toni caraibici si trovava al centro di una piccola ansa boscosa. Non ci potevo credere. Era cosi' vicino all'acqua che ci si poteva tuffare dal tetto. E io non ho potuto resistere. Mentre gli altri aspettavano l'alba ballando sull'enorme terrazza, io sono scomparsa nell'acqua nera come la pece.
venerdì 2 gennaio 2009
Buon anno!
Buon anno e un affettuoso grazie a tutti coloro che in questi mesi hanno avuto la pazienza di leggere le mia avventure (e che avolte si sono precipitati a scrivermi o telefonarmi per commentare a caldo quello che mi stava succedendo). Presto seguiranno aggiornamenti sulla mia bellissima vacanza in un nuovo angolo dei Caraibi...
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