La mia amica Susanne e' partita ieri mattina presto, dopo aver trascorso un paio di settimane qui con me. E' stato bello averla vicina, poterle spiegare questo paese, vedere nei suoi occhi e sentire nelle sue espressioni lo stesso sbigottimento e gli stessi entusiasmi che ho vissuto io quando ho speriementato le stranezze dell'isola per la prima volta. E' stato rassicurante, mi e' parsa una conferma della mia normalita'. E in un certo modo sapere che lei ha adorato stare qui per quindici giorni ma non starebbe mai a Trinidad per un periodo piu' lungo mi ha ricordato che tutto sommato la mia e' un'esperienza complessa. Nei momenti di scoraggiamento dovrei essere piu' tenera con me stessa.
Con la partenza di Susanne si chiude un ciclo che era iniziato con la mia partenza per il Nicaragua. Una lunga parentesi di internazionalita' in cui mi sono ricordata che Trinidad e' solo un'isola, che il mio soggiorno qui dura solo un anno, che non devo pretendere da me stessa di diventare una trinidina. Nessuno me lo ha chiesto e non me lo dovrei chiedere nemmeno io.
Il momento in cui questa semplice verita' mi e' saltata agli occhi in modo piu' lampante ed inequivocabile e' stato su un sofficissimo divano a San Jose' in Costa Rica, sulla terrazza di un ostello molto cool, pieno di backpackers europei, americani e canadesi. Ero con Miguel, ex-ragazzo e amico indissolubile che incontro in giro per il mondo. Ci eravamo ritrovati quel pomeriggio dopo mesi che non ci si vedeva - l'ultima volta era stata a Berlino, era gennaio ed era buio. Lui era arrivato all'ostellino di San Jose' dopo un viaggio di trenta ore, aveva ordinato due birre ghiacciate e si era seduto sul divano di fianco a me. E io per la prima volta da quando ero partita per il continente americano mi sentivo a casa.
In meno di un minuto, in modo repentino e assolutamente immotivato sono scoppiata in lacrime, non per la tristezza, ma per l'intensita' del tutto. Ho cominciato a raccontargli di getto e confusamente tutti i miei ricordi e le mie paure, i contrasti, i problemi, i successi, le assurdita' e soprattutto la totale precarieta' della mia vita a Trinidad. Precarieta' nel senso della sicurezza, delle amicizie fluttuanti, degli amori instabili, dell'alternanza di rabbia ed esaltazione, della mia strana passione carnale per quest'isola. Ho pianto tantissimo, con singhiozzi profondi, in una tempesta emozionale che mi ha lasciata spossata dopo un'ora di catarsi. Spossata e rasserenata, un arcobaleno dopo la tempesta, mentre Miguel mi accarezzava i capelli e mi diceva: "Don't worry Vivi. This is normal. This is all sooo normal".
giovedì 24 luglio 2008
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