L'avevo chiamato mesi fa, quando ancora cercavo casa. Il fratello di un amico di Moe. Una di quelle persone di cui avevo avuto il nominativo e che avevo contattato con disinvoltura per avere qualche informazione sul mercato immobiliare, senza immaginare che poi le avrei incontrate veramente. Sembrava simpatico, ci siamo tenuti in contatto in modo molto loose per mesi, e dopo una serie di appuntamenti mancati ci siamo visti per un drink martedì scorso. Mi si è presentato un tipo molto più vecchio del previsto, sui quarantacinque anni. Mi ha portato in un albergo a cinque stelle, ma non per le stelle. Perchè è l'unico posto a Port of Spain dove si può prendere un aperitivo guardando il mare. Abbiamo cominciato a chiacchierare del più e del meno e ho scoperto che stavo parlando con un uomo dalla vita straordinaria.
Un avvocato che aveva vissuto a Port of Spain, New York, Londra, Bogotà e Johannesbourg. Che aveva lavorato per uno studio legale americano che annoverva tra i suoi clienti i maggiori partiti d'opposizione nei paesi governati da tiranni, e i maggiori gruppi di difensori di diritti civili oppressi dai loro governi. Ian era nella squadra del Sud Africa, ed è stato uno degli avvocati nientemeno che del partito di Nelson Mandela. Vedendomi brillare gli occhi dall'eccitazione ogni volta che toccava l'argomento, Ian ha cominciato a raccontarmi dei suoi quattordici anni di vita in Sud Africa, in cui ha vissuto da diretto testimone (anzi, da diretto protagonista) la rivolta contro l'apartheid, il primo voto democratico e i primi anni di governo del partito di Mandela. Mi ha raccontato dello spirito della gente negli anni novanta e di come si sono evolute le cose adesso. Mi ha spiegato come il partito aveva mandato giovani talenti all'estero a studiare nelle scuole europee, per poi richiamarli in patria dopo la vittoria, a governare. Mi ha detto dei rapporti fra inglesi e africaaners, fra neri sudafricani e immigrati dallo Zimbabwe. Un affresco affascinantissimo di un paese che lui ha vissuto profondamente, con le mani ben affondate nella politica, e in cui anche ora torna di frequente. Senza dimenticare di dare un colpo di telefono al suo amico presidente della repubblica.
Ma forse la cosa che mi e' piaciuta di piu' dei suoi racconti non e' stata la parte strettamente politica. Mi ha rqaccontato che anche se lavorava tantissimo come avvocato internazionalista, una delle sue grandi passioni e' sempre stata la buona cucina. Piu' di una volta ha tenuto cene di lavoro a casa propria, deliziando gli invitati con la sua esotica cucina caraibica. A quanto pare i complimenti erano tanti che ha deciso di aprire una specie di club-ristorante nella sua veranda, aperto solo uno o due giorni la settimana, che gestiva come un hobby. Erano una cosa intima, potevano venire solo una dozzina di persone alla volta, e lo stesso cliente non poteva tornare piu' di una volta ogni tre mesi. A differenza di un normale ristorante, i commensali cenavanno tutti insieme. Si presentavano durante l'aperitivo in piedi, per poi continuare a parlare e conoscersi durante il corso della serata. E dato che si trattava di politici, intellettuali, artisti e giornalisti, la veranda di Ian si trasformava in un ricettacolo di idee e dibattiti, una sorta di caffe' illuminista del settecento. Ma in Sudafrica, con cucina creola.
domenica 6 luglio 2008
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