martedì 15 aprile 2008

Jam session

Sabato sera Orisha mi ha riportata nella sala prove dei tre musicisti. Non ero entusiasta di andare, mi sembrava che fra tutti gli amici che mi aveva presentato i musicisti fossero quelli con cui avevo meno in comune, con cui mi sentivo meno a mio agio. Ma mi sono fatta coraggio e sono andata, "in fondo non sono qui per essere in situazioni familiari". Ed effettivamente è bastato tornare una seconda volta in quella stanza per sentirmi più tranquilla, per connettere meglio con loro tre. Un'ulteriore prova di quanto stia divetando fulminea nella capacità di adattamento.

Il rasta che conosce Orisha da anni le ha detto solo una frase. "C'è un microfono: usalo". Lei non se lo è fatto ripetere due volte, ed è così che ho fatto conoscenza con l'anima da star della mia rude coinquilina. A quanto pare lei era abituata ai microfoni. Mi aveva detto che tempo addietro era stata selezionata da un pool di poeti trinidini di fama mondiale, tra cui anche uno dei premi Nobel per la letteratura, e se ne andava in giro in una carovana con loro e altri giovani poeti e musicisti a declamare ai quattro angoli di Trinidad la loro arte. Mi aveva detto che secondo un ranking informale lei era stata giudicata la seconda giovane poetessa più promettente dell'isola. Poi aveva smesso, ed era per questo che tutti, ogni volta che la vedevano, le chiedevano quando sarebbe tornata alla ribalta.

Credo che proprio in questi giorni abbia cominciato a pensare alla possibilità di un comeback, e il tentativo numero uno è stato fatto sabato scorso nella saletta fumosa, con me come sola spettatrice. E' stato bello. I ragazzi suonavano una base. Chitarra, batteria, basso. Soft, d'accompagnamento. Lei parlava, recitava, a braccio, improvvisando in jam session. Certe frasi avevano senso, certe no. Inizialmente titubante, poi più sicura. Un'improvvisazione su un tema. Una declamazione in musica. Non avevo mai assistito ad un esperimento musicale di quel tipo.

La cosa più bella però è successa alla fine, quando lei ha dedicato una poesia a me. Vivi is in transition, il titolo. Già domenica scorsa, mentre guardavamo le nuvole, aveva cominciato a canticchiare Vivi is in transition, left the familiar faces behind, is all alone in Trinidad. Era una specie di scherzo. Sabato l'ha ripresa, e l'ha elaborata. Io ascoltavo quello parole in musica dirette a me, mentre gli altri suonavano concentrati. Descriveva la mia situazione. Mi diceva di non preoccuparmi. Mi diceva di vivere le cose giorno per giorno. Di prendere il mio tempo. Il rasta ha cominciato a farci gorgheggi, l'altro ragazzo effeti sonori. Orisha ripeteva il ritornello, e il terzo ci intercalava qualche assolo. Io sorridevo muta in un angolo, piena di gratitudine.

Era il modo di Orisha di starmi vicino. Non mi avrebbe sorriso, non mi avrebbe abbracciata, non mi avrebbe chiesto come è andata oggi. Ma mi stava dedicando una canzone in una buia sala prove in St. James, piena di cenere sul pavimento e di raccoglitori per uova ammonticchiati negli angoli.

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