venerdì 18 aprile 2008

Clarissa's birthday

E' stata una bellissima festa. Il complenno di Clarissa un mese dopo.

In realtà il lime è cominciato molto prima, quando siamo fuggite dal nostro stand verso le due del pomeriggio e in un moto di ribellione abbiamo deciso che non saremmo tornate in ufficio. Ci siamo rintanate in casa sua, fresca e legnosa nell'afa del pomeriggio. Mi piaceva stare seduta sul pavimento in quella stanzetta piena di libri, di polvere, di piccoli dettagli femminili, tazze da thé fiorate, cartoline colorate, poesie appese alle pareti e candele, in un ordine-disordine che mi metteva a mio agio. Sembrava di essere in una casa nel bosco, col sole cocente che entrava obliquo dalle finestre, dopo essere passato attraverso mille filtri di foglie, il verde carnoso delle piante oltre ai vetri, gli uccelli che gridavano assordanti nel giardino. Invece eravamo semplicemente a Woodbrook. Abbiamo parlato, continuando una conversazione cominciata lunedì sera con cinque bicchieri di vino e otto ore di parole ininterrotte, una conversazione esplosa come un vulcano dopo due mesi di reciproci sguardi circospetti. Lei ha letto ad alta voce il mio oroscopo, io ho letto ad alta voce il suo, sviscerandone ogni aspetto con precisione scientifica. Poi è arrivata Orisha, e abbiamo letto solo poesia.

Nel tardo pomeriggio abbiamo cominciato i preparativi per la festa, e siamo andate a comprare la pasta della pizza da Vittorio, uno dei 5 italiani sull'isola, ex leoncavallino fallito che ha aperto un ristorante fallimentare pieno di stereotipi sull'Italia a Port of Spain, per l'unica ragione che a suo parere Trinidad è l'isola piu' vera dei Caraibi. Tornate trionfanti con quel prezioso tesoro, abbiamo invaso la cucina e con essa lo spazio vitale dei coinquilini di Clarissa. Una ragazza madre trinidina che ha quasi sempre vissuto a Londra, con un misterioso accento misto che calza a pennello col suo sorriso dolce e meticcio. Un giovane scrittore inglese dal fascino un po' facile. Un dirompente trini alto alto e grosso grosso che balla benissimo e che per tutta la sera ci ha lanciato addosso brani di festosissima musica carnevalesca. E per finire il piccolo di sei anni, un bambino che sprizza simpatia da tutti i pori, abituato a vivere in quella casa di giovani giramondo con le porte sempre aperte, il vento nel soggiorno, e gente che va e viene senza ragione apparente.

E' stato lui a stendere la pizza, usando una bottiglia di vino vuota come mattarello, mentre Clarissa mi diceva che sicuramente era più bravo di me visto che io sono Padana ergo la pizza vera non so nemmeno che cosa sia. Lui era felicissimo mentre impastava con le manine infarinate, e noi gli ballavamo intorno con i bicchieri di vino in mano. Ha cominciato a venire gente, non molti ma molto ben scelti, e io mi sono trovata come sempre a tenere intere, articolate conversazioni con perfetti sconosciuti, nella veranda in legno bianco. La musica era alta, il vino si versava, noi sfornavamo una pizza dopo l'altra tra i gridolini entusiasti del nostro piccolo amico. L'atmosfera generale era un'improbabile combinazione di cool party e di family reunion, di eccitazione e rilassamento, c'era chi ballava sfrenatamente nel mezzo del soggiorno e chi stava spaparanzato sul divano a piedi nudi. Arrivavano e se ne andavano persone che non si è mai capito se fossero amici di Clarissa o meno, e ad un certo punto è arrivata anche la madre del conquilino trini, una signora sessantenne con unghie di cinque centimetri tutte di colori diversi e capelli negri ossigenati che ballava sorridendo, perfettamente a suo agio con la vita. C'è stata anche una bella torta per Clarissa, con le candeline colorate su cui lei ha soffiato e ha espresso un desiderio, come si fa quando si è piccoli.

Forse il momento più bello della serata è stato quando Clarissa, il piccolino ed io ci siamo trovati seduti in cerchio a gambe incrociate sul tappeto, a giocare a scopa con un mazzo di carte napoletane. Incredibile vedere quel bimbetto caraibico che giocava a quel gioco di carte che mi avevano insegnato secoli fa i miei nonni, e che per quanto ne so nel Bel Paese sta finendo nel dimenticatoio insieme ai dialetti. Clarissa lo chiamava sweep. Lui era un bravo allievo, ci ha battute entrambe, forse leggermente aiutato dal tasso alcolico nel nostro sangue. E a un certo punto non riuscendo a contenere tutta quella contentezza nel suo piccolo petto si è messo a ridere, ha buttato la testa all'indietro, e ha gridato a squarciagola: This is the best day of my life!

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