Era tanto che volevo scrivere un post sui baretti dell'Ariapita Avenue, il viale dei locali a Woodbrook. Ma ho preso la decisione soltanto durante la serata di addio di Lea, quando la avenue ce la siamo attraversata tutta, dall'inizio alla fine, sbirciando e esplorando uno per uno i bar della capiatale. Ognuno con la sua sfaccettatura, stile e pubblico, costituiscono un mix di ambienti e atmosfere che rappresentano molto accuratamente la diversità sociale dell'isola.
Abbiamo cominciato a More Vino. Forse uno dei posti più carini, dall'aria chic e internazionale. Si vende come posto raffinato dove bere un bicchiere di buon vino. A dir la verità non sono mai riuscita a trovare un vino accettabile a More Vino, anche se lo fanno pagare 50 TT a bicchiere. Ma per me vale comunque la pena di passarci qualche ora per l'atmosfera gradevolissima. Il posto è bello, ha una grande terrazza con pavimento di legno chiaro, piante curate e graziose decorazioni. Servizio perfetto, stuzzichini buoni, prezzi un po' rialzati, clientela solo bianca o facoltosa o finto-facoltosa, ma tutto sommato nemmeno troppo pretenzioso. Esauriti i nostri bicchieri (generosamente offerti da un anonimo del tavolino di fianco: deve essere un'abitudine nazionale...), siamo passate davanti a Satchmo, jazz-bar-ristorante ridicoulously expesive, più o meno sullo stesso stile. Il jazz è buono, il cibo meno.
Ci siamo fermate a Squeeze, uno dei miei posti preferiti. Quando lo dico non ci crede mai nessuno, perchè tutti si aspettano che una ragazza bianca e colta frequenti posti piu' pettinati, come i due appena descritti. Invece a tutti gli Europei piace Squeeze, perchè non è menoso e soprattutto perchè è molto alternativo, concetto che qui non esiste proprio. E' un localino piccolissimo (da qui il nome), in cui la clientela trasborda sempre sul marciapiede. Tutti stanno seduti su casse di bibite vuote, bevono birrette e se la contano su. Ah, dimenticavo. E' un bar gay.
Subito dopo ci sono i due locali più emblematici della Avenue, il Coco Lounge e il Cro Bar. Fa sorridere perchè sono uno davanti all'altro e basta girare lo sguardo di centottanta gradi per vedere la differenza di colore della gente. Red al Coco Lounge, black al Cro Bar. Il primo è un bel locale ricavato da una casa dall'architettura coloniale, con terrazza. L'ingresso si paga, la musica è un po' alta, è sempre pieno. E' un posto molto piacevole, esteticamente uno dei migliori. Se non fosse che ci va gente che vorrebbe tanto, ma tanto, essere bianca. Vi si percepisce lo sforzo collettivo dell'arrampicata sociale. Il Cro Bar è meno prezioso, più semplice. A me piace, ci sono andata qualche volta a bere qualcosa di pomeriggio. Ci sono grandi divani e tavolini all'aperto, atmosfera rilassata, spazioso e senza pretese. La sera però è un po' infrequentabile. Va bene che mi piacciono gli ambienti misti, ma di notte assume un'aria un po' losca. Centinaia di ragazzi - chissà perchè quasi tutti maschi - che bevono, parlano, ridono, e magari cominciano una rissa.
Dopo aver superato le colonne d'Ercole dei due bar rivali, ci siamo fermate ai chioschetti che vendono street food. Ci siamo fatte un bel bicchiere di corn soup, zuppa di mais assolutamente deliziosa che si vende ad ogni angolo. E poi ci siamo divise un po' di stuzzichini, resistendo alla tentazione di mangiare un kebab fatto al momento. Mentre ce ne stavamo sulle panchine ci chiedevamo come mai nel mezzo della notte ci fossero in giro tanti bambini, e commentavamo tristemente il ruolo minimale delle famiglie dei bimbi delle classi più basse. Poi siamo passate davanti al bordello cinese (ufficilmente un centro di massaggi), e abbiamo proseguito.
La avenue era quasi finita. Ci siamo spiente fino in fondo, giusto per vedere il Corner Bar. Un locale abbastanza nuovo dall'aria metropolitana, insolita attenzione al design, un bello spazio interno con divani neri in ambiente verde acido. Il proprietario è un barbone-capellone che fa personaggio solo per l'aspetto, il bar ampio luccica di bottiglie illuminate da sotto, le finestre enormi danno sulla strada come fossero vetrine. Il posto è bello, purtroppo la musica è sempre davvero troppo alta, tanto che l'unico modo per godersi la serata è comprare i drinks dentro e poi berli di fuori.
Per questo abbiamo deciso di ritornare un po' sui nostri passi, in uno dei locali che alla fine preferisco sempre: lo Shakers. Lo preferisco nonostate la musica anni ottanta, nonostante il servizio mediocre, nonostante (sic!) la clientela che vorrebbe essere bianca (e se si va il martedì sera è pessimo, si chiama socializers night e ci sono solo, ma solo bianchi). Ma alla fine mi piace sempre per un motivo molto semplice. Il posto è bello. Ricavato da una graziosissima casa coloniale tutta in legno dipinto di bianco. Circondato da un cortile fresco, riparato da una siepe folta, con qualche albero vivo, vero e palpitante di linfa verde. Punteggiato di tavolini e sedie sistemati in ordine casuale. Se si va un po' presto, quando ancora non è troppo pieno, vi si può respirare piano la notte fresca del Caribe.
lunedì 6 ottobre 2008
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