giovedì 20 novembre 2008

Ospedale

Il caldo in Guyana e' diverso da quello di Trindad. E' un'afa tropicale senza vento, umida e stagnante, che attanaglia la gola. Non mi ero accorta di quanto fosse difficile da sopportare, il primo giorno. Ero troppo eccitata per pensare a inezie tipo il clima. Ed e' cosi' che mi sono disidratata. Ho cominciato a sentire le vertigini verso ora di cena, e sono riuscita a stento a mangiare al bel ristornate bordo-piscina che quel sabato sera era gremito del jet-set di Georgetown, per una festa revival anni ottanta. Ho bevuto tanto, ma era troppo tardi: quando siamo rincasati la nausea era fortissima. Verso l'una mi hanno portato in ospedale. E cosi' ho visto che aspetto ha un ospedale in Guyana.

Era una clinica privata, cioe' era come una clinica pubblica italiana. Non un gran che come infrastruttura, topi che entravano e uscivano (io per fortuna in quello stato non li ho notati), ma con personale motivato. Riuscivo a stanto a stare in piedi, il medico mi ha fatto qualche domanda di routine, poi mi hanno fatto un prelievo del sangue. E questa non e' stata una grande idea. Debole com'ero, l'operazione mi stava mandando direttamente allo svenimento, se non fosse che mi hanno prontamente messo i sali sotto il naso e sventolato fogli di carta per farmi aria. Avevo caldissimo, il panno bagnato sulla fronte era l'unica cosa che mi faceva pacere.

Nel mezzo di tutta questa eccitazione, sono entrati due ragazzi e una ragazza (e Mister K il giorno dopo mi ha detto: "Se tu ieri fossi stata un po' piu' consapevole, mi avresti detto: Guardali! Sono bellissimi! Tutti e tre..."). Bellezza a parte, erano tutti grondanti di sangue, avevano fatto un incidente. Magliette, capelli, gambe piene di sangue colante e raggrumato. Se fosse un po' piu' sensibile a queste cose di certo sarei svenuta in quel momento. In realta' non erano troppo gravi, solo brutti tagli e un butto aspetto. Erano ragazzi giovani, sui vent'anni, indiani dalla pelle chiara, alti, magri, dai fisici atletici. Hanno parlato concitatatmente dell'incidente tutta la notte, cercando di analizzare di chi fosse la colpa. Io sentivo una certa solidarieta' verso di loro, come se stessimo condividendo qualcosa.

Non e' stato molto facile ma ho raggiunto il lettino e mi hanno messo in vena la soluzione salina. Avevo la pressione bassissima, la minima a 44. Il mio corpo ha assorbito tutto il sacchettino di acqua, zucchero e sale, mentre il povero K e sua mamma aspettavano preoccupati, chiedevano spiegazioni sulle analisi del sangue, cercavano di farmi sorridere. La pressione e' risalita solo a 55, continuavo a sentirmi debolissima, dopo un po' ho avuto un colpo di freddo. Mi sembrava di essere al polo nord, battevo i denti e tutti i muscoli mi si contraevano spasmodicamente, non avevo il controllo su nulla. In quel momento ho avuto paura. Poi pero' ancora una volta Mister K ha trovato il modo di rimerdiare, ha trovato in giro di che coprirmi mentre le infermiere assistevano i ragazzi sanguinanti, e io mi sono ristabilizzata.

La mia "little hospital extravaganza", come poi e' stata definita, e' durata fino alle quattro del mattino, e poi tutto il giorno successivo sono stata seclusa nell'unica stanza con aria condizionata, al buio e a letto, bevendo litri e litri di acqua. Non ho ben capito da cosa sia stato causato tutto questo, ma propendo per incolpare l'antimalarica. In ogni, caso, dopo due giorni ero di nuovo in persetta forma. Pronta ad esplorare il paese dai grandi fiumi.

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