martedì 26 agosto 2008

Paprika people

Mercoledi' scorso Terry mi passa a prendere e mi porta a Paprika. Un ristorante caro e sofisticato, cucina internazionale, arredamento pomposo. Ci ero gia' stata, ma solo questa volta capisco che non mi piace. Lo stile kitsch che ricopre il locale potrebbe avere senso a Milano o New York, perche' sarebbe colto con ironia. I clienti sarebbero sufficientemente educati per flirtare con quel raffinato esempio di cattivo gusto. Ma qui a Trinidad no, il kitsch non viene percepito come tale, e quindi risulta solo brutto e fuori luogo e nient'affatto intellettuale.

E' una festa di compleanno di un giornalista mezzo italiano e mezzo cileno. Dalla presentazione di Terry mi aspetto un uomo sui quaranta, invece mi trovo davanti un neo-venticinquenne. Che lavora per il Time magazine di Londra e viene spedito in giro per il mondo, di tre mesi in tre mesi, a scrivere report sui vari paesi per potenziali investitori. Un lavoro interessantissimo, il meglio del giornalismo economico. E' simpatico, parliamo un po', mi presenta la sua ragazza. Una trinidina siriana che si muove come una principessa e che sorprendentemente non riesce nemmeno ad ancheggiare quando inizia la musica. Mi dico che e' proprio vero che i siriani vivono distaccati dal resto del paese. Il giornalista mi racconta che Trinidad lo entusiasma, e' un paese ricco, in cui sono tutti ricchi, la scuola e' gratuita e tutti hanno una possibilita' di riuscire. Un paese dei balocchi, insomma. Io rispondo che i problemi non mancano e provo a raccontargliene qualcuno ma lui non mi da' retta e mi offre un bicchiere di vino.

Conosco anche i suoi colleghi, un ragazzo tedesco della stessa eta' accompagnato da una supersventola venezuelana e una trentenne di un qualche paese dell'Europa dell'Est, bellissima ed elegante, che ha studiato economia e arte-non-europea, con cui mi riprometto di vedermi per un drink in settimana. E' tanto che non esco con gente della famosa upper-class. Non e' il tipo di serata che mi aspetto e inizialmente mi sono sento underdressed, ma bastapoco per sentirmi a mio agio. C'e' anche la figlia dell'Ambasciatore messicano a Trindad, inizialmente snobbina, ma poi si rilassa e chiacchieriamo. Ci raggiunge anche il suo fratellino minore, un bel ragazzo che studia filosofia a Boston e che parla lo spagnolo come uno straniero. Mangiano e bevono e si sentono tutti bene a Paprika, e lei dice che dopo tanto girare vuole tornare a vivere a Citta del Messico.

La serata finisce in discoteca. Troviamo un gruppetto di venezuelani che studiano inglese a Trinidad durante le vancanze estive e ci stipiamo tutti in due macchine per andare allo Zen. Siamo in otto nella macchina di Terry, io sto praticamente fuori dal finestrino e ridiamo tutti come pazzi. Sembra di essere in vancanza al mare, una di quelle serate. Allo Zen entriamo tutti gratis perche' uno dei commensali e' l'architetto americano che ha disegnato gli interni del locale. E' stato ingaggiato a Trinidad quattro anni fa e ora e' appena tornato per qualche altro lavoro. E' gentilissimo con me tutta la sera e penso che lo rivedro' volentieri. Balliamo e balliamo tutti fino alle 3:30 e io mi chiedo come mai faro' ad andare al lavoro il giorno dopo. Ma poi me ne dimentico e continuo a ballare con questi ragazzi di mondi diversi e mi dico che e' tutto bellissimo, tutto luccicante.

Il giorno dopo guardandomi le occhiaie nello specchietto della sua macchina dico a Mister K che dovrebbe conoscerli, i miei nuovi amici. Sono tanto carini. Lui mi risponde seccamente che con tutto probabilita' sono tanto carini perche' io sono io, una ragazza bianca, europea che lavora all'ONU. Mi dice che gli e' gia' successo di uscire con me e quel tipo di miei amici e di percepire che l'unico motivo per cui lo accettano nel gruppo e' che arriva con me. Lo riconosce nell'accento e nei modi decifrabili solo fra Tinidini, che si tratta del tipo di gente con un preciso concetto della divisione delle razze.

Io sbuffo. Penso che si tratta del solito discorso agghiacciante che mi sono sempre rifiutata di ascoltare. Sono tentata di controbattere che quelli sono quasi tutti stranieri, e che quindi non c'e' pericolo di incappare in provincialissimi atteggiamenti razzisti. Ma poi faccio un attimo mente locale e riconosco che si', in effetti probabilmente ha ragione lui. Sarebbe strano metterli allo stesso tavolo. Forse e' meglio non presentarglieli, i miei nuovi amici.

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