Buses. Nicaraguan buses look funny. Most of them are part of a stock of old American school-buses that was bought for a cheap price by the government. Even now they hustle around Nicaragua painted in yellow and with the sign "School Bus" still written in the front. They are smelly, incredibly slow and crammed with people, and at every stop all sort of sellers come in shouting the virtues of their greasy, suspicious and non-identified snacks. And when you think it could not get any worse, the music starts... :)
Night. The guy from the hotel reassured us promptly. "Tonight there is the moon, so it won't be difficult to find your way". But then he decided to be magnanimous and lent us his torch, with very little battery. "Use it only in the difficult bits". So there we were, walking down that muddy path in the middle of the forest and in total darkness. All sounds were amplified. Insects, frogs, birds, the wind blowing, lizards crawling, fruits falling down the trees. It was all black, the moon was not doing such a good job. But we could see the stars above us, very big and bright. Plus - and that was the most incredible thing - we were surrounded by fireflies. There were hundreds of them, blinking their white lights all over the night. So we advanced in the black while real and flying stars were shining all around us, and that was truly magic.
Jump. There was a small dock stretching into the lake, very close to the road. We were so tired and hot after the long hike to the waterfall. We hesitated a bit, people would look at us and the dock looked a bit too high... But then we found the courage, we put our bikinis on, we walked to the end of the dock on and we jumped in the lake. And then we did it again, and again, and again, diving, head diving (do you say it like this?), diving backwards, taking funny pictures, playing like two kids in the swimming pool. Then when we couldn't take it any longer we sat on the dock and looked at the lake, and every single muscle was hurting.
Church. Granada is the oldest city in the American continent. The Spanish tried to demonstrate that they could build something beautiful in that wilderness, and they managed. Elegant, sober, proportionate. An enormous renaissance-style cathedral, wooden porches around the main squares, hidden patios, verandas hanging over the central streets. But if the lines are European, the colour are Central American. Yellow, blue, pink, green, blueberry, purple. Bright, crazy, tropical tones filling the facades, the columns, the doors of every building. The most impressive thing is a baroque church from the XVIII century that miraculously hasn't been restored. No colours on the front, it's simply grey. The decorations have been ruined by the rain and the wind over the last three centuries. It looks bare, old and fragile. That kind of decaying beauty that provokes feelings of attraction and pain at the same time. The same bittersweet feeling that you get when a flower starts loosing its petals, or immediately after the sun sets.
domenica 15 giugno 2008
martedì 3 giugno 2008
mare e fiume
Eravamo su questa spiaggia bellissima. L'oceano, ovviamente. E le palme sotto cui stavamo seduti, all'ombra. Ma anche il fiume, lucido e verde, che arrivava da dietro e formava una pozza prima di infilarsi nel mare. Noi eravamo in questa striscia di sabbia fra le due acque, quella dolce e quella salata, a oziare nel pomeriggio. Una compagnia strampalata, ragazzi selvatici che bevevano rum e si arrampicavano come scimmie sulle palme alte 7-8 metri per buttare giu' le noci di cocco di cui bevevamo il succo. Io, Orisha e Clarissa in silenzio, a scrivere o a pensare o a lasciare che il tempo scorresse senza opporre resistenza. Il bagno nel fiume e' stato bello, nuotare contro corrente nella frescura, sentire il flusso dell'acqua accarezzare la pelle mentre mi immergevo per toccare il fondo. I ragazzi dicevano cose quasi incomprensibili nel loro slang indigeno. Uno di loro, un vecchio strabico con l'aria da pazzo, nel mezzo del suo balbettio mi ha guardata intensamente. Ha visto che ero assente, che ero altrove col pensiero, e qualcosa mi stava evidentemente crucciando. "Leave that woman behind", mi ha detto ieratico. Lasciati alle spalle quella donna perplessa, e viviti queste sensazioni. Il caldo, la brezza, il sapore dell'acqua di cocco. Il legno del tronco d'albero su cui sei seduta e le capriole aeree di quelli che giocano a calcetto sulla sabbia.
domenica 1 giugno 2008
update
Infinite sono le cose non dette e non scritte in questo ultino mese e mezzo. Il motivo di questo silenzio è il fatto che sono passata da uno stato di generale meraviglia e stordimento di fronte a ciò che vedevo, a un altro stato di interazione, di vita attiva, di integrazione con questo mondo per cui la continua osservazione distaccata sarebbe stata di intralcio più che di aiuto. Almeno questo è il motivo ufficiale. Il motivo vero è che molte delle emozioni che hanno contrassegnato questi ultimi quaranta giorni erano troppo profonde, troppo intime e troppo private per poterle trasporre su questa pagina bianca senza un minimo di protezione.
La pecarietà è la nota dominante di quest'isola, la sua più puntuale descrizione. Una precarietà che caratterizza tanto i negozietti fragili di chincaglieria di downtown, quanto la vita dei giovani di periferia, quanto i rapporti umani che si creano e si disfano in una sera. Esco con i due musicisti, così carini, cosi gentili, mi portano ai concerti, mi presentao ai cantanti, mi spiegano chi è chi e che tipo di musica fa con una cordialità che - merce rara a Trinidad - never crosses the line. Ho litigato a sangue con Samira, un sabato sera indescrivibile e violento che si è concluso con una telefonata notturna intima e calda, presagio di molto di quanto sarebbe successo in seguito. Ho ripescato Trudy, bellezza mulatta con voce da cartone animato, una delizia. Tra le presenze femminili annovero anche Gunda e Terry, ogni tanto si combina qualcosa. Non vedo i miei coinquilini che di striscio, a parte naturalmente Orisha, con cui c'è un rapporto forse meno viscerale, forse più distaccato, forse più equilibrato. Ho smesso di frequentare i miei colleghi che mi considerano troppo selvatica e che non mi stupiscono mai. Mi lascio invitare da chi mi invita, cioè i ragazzi in cerca di fidanzata, di casual sex o di qualcosa di intermedio, tanto per me sono tutti drink gratis e chissenefrega del resto. Sono un po' più cinica e spensierata, anche se cerco sempre di non mentire. E come potrei con miei occhi trasparenti? (Anita, Anita, quanto volte mi hai detto che devo cambiare?) Ma il mio telefono squilla spesso, tutto fila liscio. Comincio ad arrivare alle serate o alle feste e accorgermi che conosco gente, Port of Spain è piccola e la comunità intellettuale è microscopica. Salto da una conversazione all'altra come un trapezista del circo, sentendomi leggerissima mentre volteggio nel vuoto.
Forse tanta leggerezza mi deriva dal fatto che sto consapevolmente e deliberatamente prendendo un rischio. Sto decidendo di fidarmi - almeno parzialmente, ma di fatto integralmente. Non bisognerebbe mai rischiare, soprattutto quando si è senza rete. Ma come dice Giò la vita un soffio, non c'è tempo per esitare. E poi mi cita Silvia: corri, che sei nel cuore selvaggio della vita. Ergo, tanto vale provare il tutto e per tutto. Al limite mi schianterò al suolo. E che mai sarà? ;)
La pecarietà è la nota dominante di quest'isola, la sua più puntuale descrizione. Una precarietà che caratterizza tanto i negozietti fragili di chincaglieria di downtown, quanto la vita dei giovani di periferia, quanto i rapporti umani che si creano e si disfano in una sera. Esco con i due musicisti, così carini, cosi gentili, mi portano ai concerti, mi presentao ai cantanti, mi spiegano chi è chi e che tipo di musica fa con una cordialità che - merce rara a Trinidad - never crosses the line. Ho litigato a sangue con Samira, un sabato sera indescrivibile e violento che si è concluso con una telefonata notturna intima e calda, presagio di molto di quanto sarebbe successo in seguito. Ho ripescato Trudy, bellezza mulatta con voce da cartone animato, una delizia. Tra le presenze femminili annovero anche Gunda e Terry, ogni tanto si combina qualcosa. Non vedo i miei coinquilini che di striscio, a parte naturalmente Orisha, con cui c'è un rapporto forse meno viscerale, forse più distaccato, forse più equilibrato. Ho smesso di frequentare i miei colleghi che mi considerano troppo selvatica e che non mi stupiscono mai. Mi lascio invitare da chi mi invita, cioè i ragazzi in cerca di fidanzata, di casual sex o di qualcosa di intermedio, tanto per me sono tutti drink gratis e chissenefrega del resto. Sono un po' più cinica e spensierata, anche se cerco sempre di non mentire. E come potrei con miei occhi trasparenti? (Anita, Anita, quanto volte mi hai detto che devo cambiare?) Ma il mio telefono squilla spesso, tutto fila liscio. Comincio ad arrivare alle serate o alle feste e accorgermi che conosco gente, Port of Spain è piccola e la comunità intellettuale è microscopica. Salto da una conversazione all'altra come un trapezista del circo, sentendomi leggerissima mentre volteggio nel vuoto.
Forse tanta leggerezza mi deriva dal fatto che sto consapevolmente e deliberatamente prendendo un rischio. Sto decidendo di fidarmi - almeno parzialmente, ma di fatto integralmente. Non bisognerebbe mai rischiare, soprattutto quando si è senza rete. Ma come dice Giò la vita un soffio, non c'è tempo per esitare. E poi mi cita Silvia: corri, che sei nel cuore selvaggio della vita. Ergo, tanto vale provare il tutto e per tutto. Al limite mi schianterò al suolo. E che mai sarà? ;)
venerdì 16 maggio 2008
impermissible
home, dark, you can't enter that room.
words fall slowly, fear and desire.
opening, closing, everything frozen.
answers remain un-uttered, un-told.
one bait: take one step forth.
one bite: you'll never get in.
diverging, buzzing imaginations
the lock alone is still hanging mute.
words fall slowly, fear and desire.
opening, closing, everything frozen.
answers remain un-uttered, un-told.
one bait: take one step forth.
one bite: you'll never get in.
diverging, buzzing imaginations
the lock alone is still hanging mute.
sand
everything crumbles slowly
like a sandcastle on the shore
helplessly opposing the waves
while the footprints dissolve
like a sandcastle on the shore
helplessly opposing the waves
while the footprints dissolve
giovedì 8 maggio 2008
boys and girls
Sotto l'equatore il mondo è alla rovescia. Praticamente in tutti i sensi, anche in quelli più inaspettati. Uno degli aspetti destabilizzati della mia vita trinidina è infatti il capovolgimento inatteso di una delle cose che mi è sempre sembrata così stabile e immutalbile da non poter essere in alcun modo scalfita. Una cosa talmente strutturale del mio modo di essere da non aver mai nemmeno meritato una tematizzazione razionale. Ci ho messo tre mesi di isola per mettere a fuoco la portata del cambiamento di qualcosa di tanto prossimo. Il mio rapporto con i sessi.
Sarà la scuola femminile, sarà l'indole, sarà quello che volete, ma da sempre per me è estremamente naturale avere amiche ragazze. Ne ho un sacco, raccolte con cautela nel corso degli anni e adeguatamente custodite. Rapporti belli, profondi, fatti di dialoghi interminabili, riflessioni, rispechiamenti, complicità, legami, racconti e confessioni. Al contrario, è sempre stato più difficile per me avere amici maschi, che rappresentano più l'eccezione che la regola nella mia vita affettiva.
Qui mi sento destabailizzata dalla facilità e naturalezza con cui si innescano rapporti con i "maschi", e ancora di più da quanto siano difficili e inavvicinabili le ragazze. Ne ho fatti di sforzi. Ragazze dell'ufficio, ragazze incontrate a serate. Tutte gentili, tutte carine, ma poi non ti richiamano, non ti rispondono, non colgono le proposte. Con i ragazzi il contrario. Ti chiedono, ti chiamano, ti richiamano, ti passano a prendere, sono simpatici. Certo, la cultura della caccia alla femmina è piuttosto diffusa, ma non è sempre quello il punto. Tante volte sono semplicemente gentili e non si fanno tante paranoie sull'essere fraintesi. Se sei simpatica ti chiamano, punto.
Per me è un po' strano, non sono abituata. I rapporti con i ragazzi sono diversi. Non ci sono tante parole, per esempio. C'è sempre un po' di tensione, anche a livello giocoso. Una patina sottile di sensualità, che per me a volte è d'intralcio. Sarebbe così semplice avere amiche femmine, che posso chiamare in qualunque momento. Non mi sento altrettanto a mio agio a chiamare mister tal dei tali, anche se simpatico, e invitarlo a bere qualcosa per fare due chiacchiere. Immagino che le modalità di interazione siano anche un po' diverse, e che debba imparare a gestirle con naturalezza. Più vado avanti più mi accorgo di quanto quest'isola mi stia spogliando della mia architettura mentale di razionalità. Quella con cui per esempio vivo i miei soliti cristallini rapporti femminili. Basta parole, confessioni e compagnia bella, si cambia gioco. Solo umorismo, empatia, e saltuariamente un po' di elettricità da gestire con calutela.
Sarà la scuola femminile, sarà l'indole, sarà quello che volete, ma da sempre per me è estremamente naturale avere amiche ragazze. Ne ho un sacco, raccolte con cautela nel corso degli anni e adeguatamente custodite. Rapporti belli, profondi, fatti di dialoghi interminabili, riflessioni, rispechiamenti, complicità, legami, racconti e confessioni. Al contrario, è sempre stato più difficile per me avere amici maschi, che rappresentano più l'eccezione che la regola nella mia vita affettiva.
Qui mi sento destabailizzata dalla facilità e naturalezza con cui si innescano rapporti con i "maschi", e ancora di più da quanto siano difficili e inavvicinabili le ragazze. Ne ho fatti di sforzi. Ragazze dell'ufficio, ragazze incontrate a serate. Tutte gentili, tutte carine, ma poi non ti richiamano, non ti rispondono, non colgono le proposte. Con i ragazzi il contrario. Ti chiedono, ti chiamano, ti richiamano, ti passano a prendere, sono simpatici. Certo, la cultura della caccia alla femmina è piuttosto diffusa, ma non è sempre quello il punto. Tante volte sono semplicemente gentili e non si fanno tante paranoie sull'essere fraintesi. Se sei simpatica ti chiamano, punto.
Per me è un po' strano, non sono abituata. I rapporti con i ragazzi sono diversi. Non ci sono tante parole, per esempio. C'è sempre un po' di tensione, anche a livello giocoso. Una patina sottile di sensualità, che per me a volte è d'intralcio. Sarebbe così semplice avere amiche femmine, che posso chiamare in qualunque momento. Non mi sento altrettanto a mio agio a chiamare mister tal dei tali, anche se simpatico, e invitarlo a bere qualcosa per fare due chiacchiere. Immagino che le modalità di interazione siano anche un po' diverse, e che debba imparare a gestirle con naturalezza. Più vado avanti più mi accorgo di quanto quest'isola mi stia spogliando della mia architettura mentale di razionalità. Quella con cui per esempio vivo i miei soliti cristallini rapporti femminili. Basta parole, confessioni e compagnia bella, si cambia gioco. Solo umorismo, empatia, e saltuariamente un po' di elettricità da gestire con calutela.
domenica 4 maggio 2008
Borrough Day
Ieri ho avuto un assaggio di quello che sarà il Canevale 2009. Solo un assaggio: tutti mi hanno detto che quello che succede al Borrough Day di Point Fortin è solo un pallido simulacro del baccanal di Port of Spain, ma mi sarebbe potuto serive come aperitivo.
Point Fortin è all'estremo Sud dell'isola, dalla parte del Venezuela. Gwen mi è passata a prendere alle 11 di sera, siamo andate al punto di ritrovo, e dopo qualche birra di riscaldamento siamo tutti saliti sul solito pulmino-discoteca che ci ha riversato a Point Fortin alle 3 di notte. La città era gremita, carri di carnevale ovunque, il solito clash di fonti sonore in movimento, migliaia di persone ubriache, danzanti, provocanti, vibranti, urlanti. E un casino di polizia, mai vista tanta nella mia vita, centinaia di poliziotti armati di manganelli, pistole e mitra ad ogni angolo. Clarissa era stata chiara: "Tieni gli occhi aperti, è un'esperienza estrema. E qualcunque cosa succeda, non perdere mai di vista il tuo gruppo, che se ti trovi sola sono casini".
Tutto ruota intorno alle bands, cioè camion aperti che emanano soca a volumi da stordimento, seguiti da furgoni più piccoli con l'alcohol. La differenza principale col Canervale brasiliano è che tutti sono associati ad una certa band e la seguono danzando per le vie della città, vestiti come la band comanda. C'era la band rossa, tutti dietro in rosso. Quella dei frutti tropicali, tutti dietro con cappelli con frutti tropicali. Le band organizzano il trasporto e distribuiscono magliette tutte uguali agli affiliati, magliette che come vuole la tradizione abbiamo fatto a brandelli con le forbici e abbiamo tenuto indosso piene di strappi e buchi. Wining, wining, wining, ballare in continuazione appiccicati con questo movimento di bacino circolare, davanti, di dietro, acrobaticamente, camminando, in mucchio, a testa in giù. C'era gente vestita nei modi più disparati, la frontiera del cattivo gusto non esisteva più, tutto aveva un senso diverso. Giovani e vecchi, senza distinzione. Gente coperta di fango, di olio per le macchine, di piume. Musica ovunque, per ore ed ore ed ore fino al giorno dopo, ripetendo sempre le stesse canzoni soca che avevano un effetto ipnotico, come se stessimo vivendo sempre lo stesso momento, in continuazione, come se fossimo imprigionati in quella mattinata limpida, straniante e rovente. C'era anche la vernice, enormi secchi di vernice sparsi in giro in cui immergere mani e bottiglie per poi inseguirsi, spruzzarsi e sporcarsi a vicenda. Quella della nostra band era azzurra, ne ero talmente coperta che alla fine I looked like fucking strumpfette.
Eccola, la mia prima esperienza di jouvert, dal francese "joeux ouverts", festa inaugurale del Carnevale che inizia alle 4 di mattina e finisce l'indomani a giorno inoltrato. Abbiamo ballato, sfilato e camminato per tutta la notte, e per tutta la mattina, fino a mezzogiorno, quando il pulmino è ripartito verso Port of Spain. E questo mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Sarei dovuta rimanere, come voleva fare Gwen, l'amica di Clarissa che mi aveva portato. Questa donna di cinquant'anni ma con uno spirito da quindicenne che ballava come una pazza, che è arrivata a Trinidad da ragazza e si è messa a vivere con un rasta nella foresta senza acqua e senza luce, vivendo a fumo e "scodellando i ragazzini" nella sua capanna, che è capace ancora oggi di reggere quarantotto ore di festa intensa e initerrotta bevendo ballando facendo casino indifferente al trascorrere delle ore. Lei me l'ha suggerito, "Non prendiamo il pulmino, restiamo qui per un secondo giorno, qualcosa si organizza per la notte, non ti preoccupare". E io benchè esausta ero tentata, non avevo altri piani per il weekend e restare mi sembrava eccitante. E poi me l'ero ripromessa ultimamente. Mai lasciare una festa prima della fine, il bello spesso arriva dopo.
Ma poi i ragazzi con noi mi hanno dissuasa. Sei pazza, come puoi pensare di restare sola con lei, questa è folle, se ne va in qualucnuqe momento, e se ti trovi sola che fai? Bianca e sola in mezzo a questi centinaia di ubriachi, violenti, nel post-jouvert... Non restare, dacci retta, non è safe. E così sono tornata, ho preferito la prudenza. E poi mi sono pentita, perchè era probailemnte solo una questione di lasciare trascorrere qualche ora, reggere al sonno, e poi in serata la festa bella sarebbe ricominciata, c'era altra gente da Port of Spain che conoscevo che sarebbe arrivata. Sì, avrei dovuto tenere d'occhio Gwen e non perdermi, starle attaccata tutto il tempo, lei oramai è più selvaggia dei locali, si sa difendere. Sarebbe stato disttruttivo ma probabilemnte ne sarebbe valsa la pena, sarebbe stata un'esperienza, e invece sono vigliaccamente rientrata. Le ho detto Se troviamo un ragazzo che resta con noi resto, se no ho paura. Tutti volevano tornare, tutti erano stanchi tranne noi due. Occasione persa.
You live and you learn, come mi dice sempre Emma. Me lo prometto ancora. Mai lasciare una festa prima della fine. Magari la richiamo e ci esco qui a port of Spain, mi piace la sua energia. Ho voglia e bisogno di esaurirmi finiscamente. Di scaricare tutto il nero dentro di me nel nero della notte.
Point Fortin è all'estremo Sud dell'isola, dalla parte del Venezuela. Gwen mi è passata a prendere alle 11 di sera, siamo andate al punto di ritrovo, e dopo qualche birra di riscaldamento siamo tutti saliti sul solito pulmino-discoteca che ci ha riversato a Point Fortin alle 3 di notte. La città era gremita, carri di carnevale ovunque, il solito clash di fonti sonore in movimento, migliaia di persone ubriache, danzanti, provocanti, vibranti, urlanti. E un casino di polizia, mai vista tanta nella mia vita, centinaia di poliziotti armati di manganelli, pistole e mitra ad ogni angolo. Clarissa era stata chiara: "Tieni gli occhi aperti, è un'esperienza estrema. E qualcunque cosa succeda, non perdere mai di vista il tuo gruppo, che se ti trovi sola sono casini".
Tutto ruota intorno alle bands, cioè camion aperti che emanano soca a volumi da stordimento, seguiti da furgoni più piccoli con l'alcohol. La differenza principale col Canervale brasiliano è che tutti sono associati ad una certa band e la seguono danzando per le vie della città, vestiti come la band comanda. C'era la band rossa, tutti dietro in rosso. Quella dei frutti tropicali, tutti dietro con cappelli con frutti tropicali. Le band organizzano il trasporto e distribuiscono magliette tutte uguali agli affiliati, magliette che come vuole la tradizione abbiamo fatto a brandelli con le forbici e abbiamo tenuto indosso piene di strappi e buchi. Wining, wining, wining, ballare in continuazione appiccicati con questo movimento di bacino circolare, davanti, di dietro, acrobaticamente, camminando, in mucchio, a testa in giù. C'era gente vestita nei modi più disparati, la frontiera del cattivo gusto non esisteva più, tutto aveva un senso diverso. Giovani e vecchi, senza distinzione. Gente coperta di fango, di olio per le macchine, di piume. Musica ovunque, per ore ed ore ed ore fino al giorno dopo, ripetendo sempre le stesse canzoni soca che avevano un effetto ipnotico, come se stessimo vivendo sempre lo stesso momento, in continuazione, come se fossimo imprigionati in quella mattinata limpida, straniante e rovente. C'era anche la vernice, enormi secchi di vernice sparsi in giro in cui immergere mani e bottiglie per poi inseguirsi, spruzzarsi e sporcarsi a vicenda. Quella della nostra band era azzurra, ne ero talmente coperta che alla fine I looked like fucking strumpfette.
Eccola, la mia prima esperienza di jouvert, dal francese "joeux ouverts", festa inaugurale del Carnevale che inizia alle 4 di mattina e finisce l'indomani a giorno inoltrato. Abbiamo ballato, sfilato e camminato per tutta la notte, e per tutta la mattina, fino a mezzogiorno, quando il pulmino è ripartito verso Port of Spain. E questo mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Sarei dovuta rimanere, come voleva fare Gwen, l'amica di Clarissa che mi aveva portato. Questa donna di cinquant'anni ma con uno spirito da quindicenne che ballava come una pazza, che è arrivata a Trinidad da ragazza e si è messa a vivere con un rasta nella foresta senza acqua e senza luce, vivendo a fumo e "scodellando i ragazzini" nella sua capanna, che è capace ancora oggi di reggere quarantotto ore di festa intensa e initerrotta bevendo ballando facendo casino indifferente al trascorrere delle ore. Lei me l'ha suggerito, "Non prendiamo il pulmino, restiamo qui per un secondo giorno, qualcosa si organizza per la notte, non ti preoccupare". E io benchè esausta ero tentata, non avevo altri piani per il weekend e restare mi sembrava eccitante. E poi me l'ero ripromessa ultimamente. Mai lasciare una festa prima della fine, il bello spesso arriva dopo.
Ma poi i ragazzi con noi mi hanno dissuasa. Sei pazza, come puoi pensare di restare sola con lei, questa è folle, se ne va in qualucnuqe momento, e se ti trovi sola che fai? Bianca e sola in mezzo a questi centinaia di ubriachi, violenti, nel post-jouvert... Non restare, dacci retta, non è safe. E così sono tornata, ho preferito la prudenza. E poi mi sono pentita, perchè era probailemnte solo una questione di lasciare trascorrere qualche ora, reggere al sonno, e poi in serata la festa bella sarebbe ricominciata, c'era altra gente da Port of Spain che conoscevo che sarebbe arrivata. Sì, avrei dovuto tenere d'occhio Gwen e non perdermi, starle attaccata tutto il tempo, lei oramai è più selvaggia dei locali, si sa difendere. Sarebbe stato disttruttivo ma probabilemnte ne sarebbe valsa la pena, sarebbe stata un'esperienza, e invece sono vigliaccamente rientrata. Le ho detto Se troviamo un ragazzo che resta con noi resto, se no ho paura. Tutti volevano tornare, tutti erano stanchi tranne noi due. Occasione persa.
You live and you learn, come mi dice sempre Emma. Me lo prometto ancora. Mai lasciare una festa prima della fine. Magari la richiamo e ci esco qui a port of Spain, mi piace la sua energia. Ho voglia e bisogno di esaurirmi finiscamente. Di scaricare tutto il nero dentro di me nel nero della notte.
Iscriviti a:
Post (Atom)