La cosa piu' brutta che mi e' sucessa a Trinidad e' stata la perdita di Orisha. Finalmente settimana scorsa abbiamo litigato, e cosi' la cosa si e' definitivamente chiusa.
Non posso dire che fossimo "amiche", ma stavamo bene assieme in misura sufficiente da condividere molto del nostro tempo libero. Parlavamo di tutto, di Trinidad, di lavoro, di poesia, di sentimenti. Frequentavamo la stessa gente, o piuttosto io frequentavo la gente che lei mi presentava, e mi ci trovavo bene. Siamo andate insieme a mille concerti. Lei mi offriva sempre le sue arance. Le ho regalato una piantina che ancora oggi lei innaffia. L'ho truccata per il suo colloquio di lavoro, l'ho aiutata a scegliere i vestiti. Lei cantava per me e mi invitava ad andare al Globe i pomeriggi delle domeniche in cui non c'era nulla da fare.
Poi c'e' stato Tobago, a fine maggio, un weekend regalato da Wilma. Nel baricentro temporale dell'evoluzione affettiva col Mister, che per motivi contingenti e completamente estranei Orisha ha invitato a unirsi a noi per questo breve trip. E lui e' venuto, e io e lui abbiamo parlato, e Orisha si e' trovata davanti agli occhi la lampante verita' che a sua insaputa noi ci eravamo sentiti per tutti quei mesi e c'era una tensione strana tra noi. Non so quale sia stato il problema. Si e' sentita tradita perche' non l'avevo resa partecipe della cosa? Si e' sentita isolata perche' una sera ci siamo presi un'oretta per parlare da soli? Si e' sentita smarrita perche' non aveva previsto nulla? Era gelosa di me? Era gelosa di lui? So solo che d'un tratto ha smesso di parlarmi, ha smesso di rivolgermi la parola, ha cominciato a trattarmi male. Io non ho reagito con rabbia, anzi al contrario. Ho lasciato che mi ferisse, in modo forse un po' masochistico. Quella e' stata la prima volta che ho visto K arrabbiato. Eravamo in macchina noi tre, lui era furioso per il modo in cui lei si stava comportando nei miei confronti, l'ha accusata, l'ha sgridata, l'ha zittita. Io non ho detto nulla. E Orisha al posto che odiare lui per il modo in cui la stava umiliando, ha deciso di odiare me ancora di piu'. O almeno credo.
Al ritorno da Tobago lei mi ha messo in guardia, mi ha detto di non fidarmi di lui, perche' "Il solo motivo per cui lui manifesta interesse per te e' il colore della tua pelle, le bianche non sono altro che un trofeo da esibire". Credo fosse in buona fede, credo lo credesse davvero mentre lo diceva. Forse ci e' rimasta male perche' non le ho creduto, perche' non ho seguito il suo consiglio. Forse. Nei giorni successivi io ho cercato di parlare dell'accaduto, lei si e' sempre rifiutata. "Non c'e' nulla da dire su Tobago". Io le dicevo che tra amici le cose si chiariscono. Lei rispondeva che non siamo mai state amiche.
Il suo silenzio non e' venuto di botto, si e' sviluppato col tempo. C'era della freddezza prima della mia partenza per l'America Centrale, che si e' traformata in totale indifferenza dopo il mio ritorno. Forse perche' stavo meno tempo con lei, perche' ho cominciato a uscire con altre persone. Forse perche' sentiva il rumore della macchina di lui davanti casa quasi tutti i giorni, e mi sentiva scendeve veloce giu' dalle scale. Eppure io ho provato piu' volte a bussare alla sua porta, a chiedere come le fosse andata la giornata. A invitarla qua e la'. Lei rispondeva a monosillabi, respingendomi. Dopo un po' ha anche smesso di dirmi "ciao" quando ci incrociavamo nel sottobosco. Ultimamente non reagiva nemmeno piu' quando la salutavo, si voltava dall'altra parte. Non era piu' indifferenza, era proprio odio.
Qualche giorno fa le ho chiesto what the fuck is wrong with you. Questo e' l'unico tono con cui si piu' essere presi sul serio da lei, la gentilezza non ha mai avuto nessun effetto. Lei ovviamente ha risposto con insofferenza che non c'era nulla, era tutto a posto. "Perche' hai smesso di rivolgermi la parola da un giorno all'altro, out of the blue?" Lei mi ha guardata con aria di sfida, scegliendo con cura le parole che pensava avessere piu' effetto distruttivo su di me. "Vivian, io non ti devo proprio nulla. Sei semplicemente una che sta in casa di Wilma. Ho fatto il mio dovere all''inizio, ti ho fato vedere una minima la citta', ti ho presentato due persone, ora mollami. Tu non sei nessuno per me". Io le chiedevo da dove venisse tutto questo astio. "Cosa ti ho fatto, Orisha? Ci sara' pure una cosa che ho fatto perche' tu abbia smesso di salutarmi. Dimmi che cosa, forza, dimmi cosa ti ho fatto". Lei svincolava, io la incalzavo. Un dialogo fra sordi. Alle mie domande rispondeva cose che non c'entravano nulla. Io ero dura, come lei non e' mai stata abituata a vedermi. Sono passati, i mesi della mia fragilita' iniziale.
"Orisha, all I want is to have a normal human interaction with you since we live in the same house. I don't want to go out with you, I don't want to lime with you, I don't give a shit", le ho detto sperando di chiarire una volta per tutte la situazione. E a quel punto e' successa una cosa che mi ha sopresa terribilmente, tanto che ancora adesso non me ne capacito. L'ho vista ferita, nella voce, negli occhi. "So, you don't give a shit! Finally you expressed your true feelings! Ok Vivian, goodbye. You can be happy at least I said goodbye to you today". Ed e' uscita di scatto, sbattendo la porta.
martedì 16 settembre 2008
Mas - final
Mas se n'e' andato di nuovo, stavolta per davvero. Andra' a vivere da sua nonna, nella stessa catapecchia dove era stato recuperato anni fa. Fine del cerchio. In questi mesi sono successe tante cose. L'ultima e' stata che e' stato sospevo per due settimane dal lavoro perche' in un impeto di rabbia ha sfondato una porta. Poi per la tristezza si e' ubriacato e si addormentato sul marciapiede, all'angolo di Frederick street, dove Jesus (che intanto ha ricominciato a parlargli) l'ha trovato di mattina. Gregoire lo e' andato a recuperate, lui e' arrivato da Wilma ancora sbronzo, io l'ho visto di sfuggita alle 8 di mattina mentre andavo a lavorare. Si e' messo a fare il pazzo, Wilma ha chiamato la polizia, poi per l'ultima volta gli ha detto di andarsene. Ormai e' fatta, non c'e' piu'. E devo ammettere che in tutta sincerita' mi interessa poco. Nella vita c'e' chi viene e c'e' chi va, lui ha avuto le sue opportunita' e le ha sprecate, ma in qualche modo trovera' sempre la maniera di cavaersela. Questi mesi mi hanno resa molto, molto piu' insensibilie.
Cliche
Ho avuto un momento cliche. E concedetemelo.
Di ritorno da Maracas Bay, con due ragazze e tre ragazzi, tutti internazionali, gente che conosco appena. Una giornata cominciata con un acquazzone tropicale e noi sei coraggiosi dentro una macchina a dirigerci verso la spiaggia. Poi e' spuntato il sole e siamo rimasti a oziare per qualche ora sulla sabbia umida e vuota. Abbiamo mangiato "Bark and Shake" e abbiamo parlato dei nostri lavori e dei nostri viaggi.
Siamo tornati all'ora del tramonto, e ci siamo fermati sulla grande curva che guarda verso Occidente. Si vedeva tutto il mare, la costa nord di Trinidad, qualche isolotto sparso. Il cielo era striato, il sole rosso stava scendendo. Ci siamo fermati, abbiamo scavalcato di guard rail, ci siamo seduti tutti in fila su una roccia a guardare il sundown. Felipe ha comprato birrette fredde per tutti, Chris ha lasciato la macchina accesa e aperta con musica di Bob Marley. C'era un'aria di vacanza, c'era una brezza fresca, il cielo diventava piano piano rosso, giallo, verde. Nuvole stracciate riflettevano i colori riflessi del sole. Lo scintillio dorato dell'acqua era interrorro solo dalle isole, masse muschiose di ombra verde. Noi avevamo i vestiti bagnati, la pelle salata e dodicimila punture di sunflies. Bobby ci diceva che aveva ammazzato lo sceriffo, e noi pensavamo tutti con somma sorpresa: "Mamma mia, io vivo ai Caraibi!"
Di ritorno da Maracas Bay, con due ragazze e tre ragazzi, tutti internazionali, gente che conosco appena. Una giornata cominciata con un acquazzone tropicale e noi sei coraggiosi dentro una macchina a dirigerci verso la spiaggia. Poi e' spuntato il sole e siamo rimasti a oziare per qualche ora sulla sabbia umida e vuota. Abbiamo mangiato "Bark and Shake" e abbiamo parlato dei nostri lavori e dei nostri viaggi.
Siamo tornati all'ora del tramonto, e ci siamo fermati sulla grande curva che guarda verso Occidente. Si vedeva tutto il mare, la costa nord di Trinidad, qualche isolotto sparso. Il cielo era striato, il sole rosso stava scendendo. Ci siamo fermati, abbiamo scavalcato di guard rail, ci siamo seduti tutti in fila su una roccia a guardare il sundown. Felipe ha comprato birrette fredde per tutti, Chris ha lasciato la macchina accesa e aperta con musica di Bob Marley. C'era un'aria di vacanza, c'era una brezza fresca, il cielo diventava piano piano rosso, giallo, verde. Nuvole stracciate riflettevano i colori riflessi del sole. Lo scintillio dorato dell'acqua era interrorro solo dalle isole, masse muschiose di ombra verde. Noi avevamo i vestiti bagnati, la pelle salata e dodicimila punture di sunflies. Bobby ci diceva che aveva ammazzato lo sceriffo, e noi pensavamo tutti con somma sorpresa: "Mamma mia, io vivo ai Caraibi!"
venerdì 5 settembre 2008
Tiramisu
Piu' si conosce una persona, meno si riesce a descriverla. E forse non mi e' nemmeno mai interessato descriverlo qui. Pero' l'episodio del tiramisu' e' un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, perche' nella sua semplicita' dice tantissimo.
Allora. Io gli ho fatto un tiramisu. "Vuol dire lift-me-up", gli dicevo mentre mescolavo gli ingredienti nella sua caotica cucina. Lui mi guardava sospettoso e rimaneva in silenzio. Mister K e' uno che i favori ama farli ma non riceverli, a meno che non li richieda espressamente. Il tiramisu non lo voleva. "Ma guarda che poi ti piace". "No". "Ma l'hai mai provato?". "E' quel dolce fatto di custard?" "Se l'hai mangiato con la custard era un tiramisu' tarocco, vedrai che quello originale ti piace", gli dicevo fiduciosa.
Non e' molto facile trovare i savoiardi a Trinidad, e figuriamoci il mascarpone. Ero dovuta andare in un sorta di boutique dell'alimentazione, dove secondo la colorita definizione di Mauro "me l'hanno fatto pagare caro come se fosse cocaina". Ho usato il caffe' del Costa Rica perche' qui e' cattivo, e la caffettiera moka che mi ha regalato un'amico vedendomi disperata. Insomma ero riucita a trovare tutto. L'ho preparato, gliel'ho messo in frigo. Voila'. Ero soddisfatta.
Lui quella sera non lo assaggia, e' pieno. Il giorno dopo neanche. Torno dopo 3 giorni, il tiramisu e' ancora tutto li'. "Ma non lo hai neanche assaggiato?" "Aspettavo te per mangiarlo insieme". "Beh ora sono qui". "Ma adesso non ho voglia di dolci". E va bene. Torno dopo altri giorni , apro il frigo, e lo trovo ancora li', tutto intero. Mi sembra il teatro dell'assurdo. Ci rimango male, mi arrabbio. "Va bene, se non lo vuoi mangiare tu lo mangero' io prima che sia da buttare via...", gli dico prendendone una porzione dopo cena. Lui sbircia, decide di assaggiarne mezzo cucchiaino, mi dice "buono", poi me lo ripassa. Ero furiosa.
Passano altri giorni, non succede nulla. Ogni tanto lancio qualche frecciatina, tra il serio e il faceto, a cui lui non risponde. Dopo 2 settimane, lui decide finalmente di affrontare la questione. "Guarda Vivi, devo essere onesto. Il tiramisu' non mi piace. E' proprio quella cosa fatta di custard, l'ho gia' assaggiato in passato e non mi piace proprio". Io ci metto qualche secondo a metabolizzare l'informazione. Poi respiro. In un certo senso mi sento sollevata. Ok, non gli piace. In fondo me lo aveva detto. Non e' che non lo vuole assaggiare. Non e' che mi vuole fare un dispetto. Non e' che non si fida di me. E' che non gli piace. Va bene. Lo accetto. Chiusa la questione.
Una settimana dopo, mentre ci si incontra un pomeriggio qualunque, succede l'inaudito. Me lo ricordo benissimo, eravamo in macchina di fianco alla Savannah. Lui a un certo punto mi dice con voce neutra, come se fosse la cosa piu' normale del mondo. "La sai una cosa? Ho mangiato tutto il tiramisu'". Io mi volto e lo guardo con gli occhi sgranati. "No way". "Si' si', era buonissimo. Non l'ho diviso con nessuno, l'ho mangiato tutto io". Io penso che mi stia prendendo in giro. "Non e' vero, l'hai buttato". "Nonono, l'ho assaggiato l'altro giorno, e ho scoperto che e' diverso da quel dolce di custard. Mi piace tantissimo. Anzi, mi e' dispiaciuto che tu ne avessi gia' mangiato un bel po' in queste settimane. Mi sono quasi sentito tradito!", mi dice scoppiando a ridere. Mi metto a ridere anche io e penso. Lo strozzo a mani nude o lo sciolgo nell'acido muriatico?
Allora. Io gli ho fatto un tiramisu. "Vuol dire lift-me-up", gli dicevo mentre mescolavo gli ingredienti nella sua caotica cucina. Lui mi guardava sospettoso e rimaneva in silenzio. Mister K e' uno che i favori ama farli ma non riceverli, a meno che non li richieda espressamente. Il tiramisu non lo voleva. "Ma guarda che poi ti piace". "No". "Ma l'hai mai provato?". "E' quel dolce fatto di custard?" "Se l'hai mangiato con la custard era un tiramisu' tarocco, vedrai che quello originale ti piace", gli dicevo fiduciosa.
Non e' molto facile trovare i savoiardi a Trinidad, e figuriamoci il mascarpone. Ero dovuta andare in un sorta di boutique dell'alimentazione, dove secondo la colorita definizione di Mauro "me l'hanno fatto pagare caro come se fosse cocaina". Ho usato il caffe' del Costa Rica perche' qui e' cattivo, e la caffettiera moka che mi ha regalato un'amico vedendomi disperata. Insomma ero riucita a trovare tutto. L'ho preparato, gliel'ho messo in frigo. Voila'. Ero soddisfatta.
Lui quella sera non lo assaggia, e' pieno. Il giorno dopo neanche. Torno dopo 3 giorni, il tiramisu e' ancora tutto li'. "Ma non lo hai neanche assaggiato?" "Aspettavo te per mangiarlo insieme". "Beh ora sono qui". "Ma adesso non ho voglia di dolci". E va bene. Torno dopo altri giorni , apro il frigo, e lo trovo ancora li', tutto intero. Mi sembra il teatro dell'assurdo. Ci rimango male, mi arrabbio. "Va bene, se non lo vuoi mangiare tu lo mangero' io prima che sia da buttare via...", gli dico prendendone una porzione dopo cena. Lui sbircia, decide di assaggiarne mezzo cucchiaino, mi dice "buono", poi me lo ripassa. Ero furiosa.
Passano altri giorni, non succede nulla. Ogni tanto lancio qualche frecciatina, tra il serio e il faceto, a cui lui non risponde. Dopo 2 settimane, lui decide finalmente di affrontare la questione. "Guarda Vivi, devo essere onesto. Il tiramisu' non mi piace. E' proprio quella cosa fatta di custard, l'ho gia' assaggiato in passato e non mi piace proprio". Io ci metto qualche secondo a metabolizzare l'informazione. Poi respiro. In un certo senso mi sento sollevata. Ok, non gli piace. In fondo me lo aveva detto. Non e' che non lo vuole assaggiare. Non e' che mi vuole fare un dispetto. Non e' che non si fida di me. E' che non gli piace. Va bene. Lo accetto. Chiusa la questione.
Una settimana dopo, mentre ci si incontra un pomeriggio qualunque, succede l'inaudito. Me lo ricordo benissimo, eravamo in macchina di fianco alla Savannah. Lui a un certo punto mi dice con voce neutra, come se fosse la cosa piu' normale del mondo. "La sai una cosa? Ho mangiato tutto il tiramisu'". Io mi volto e lo guardo con gli occhi sgranati. "No way". "Si' si', era buonissimo. Non l'ho diviso con nessuno, l'ho mangiato tutto io". Io penso che mi stia prendendo in giro. "Non e' vero, l'hai buttato". "Nonono, l'ho assaggiato l'altro giorno, e ho scoperto che e' diverso da quel dolce di custard. Mi piace tantissimo. Anzi, mi e' dispiaciuto che tu ne avessi gia' mangiato un bel po' in queste settimane. Mi sono quasi sentito tradito!", mi dice scoppiando a ridere. Mi metto a ridere anche io e penso. Lo strozzo a mani nude o lo sciolgo nell'acido muriatico?
martedì 26 agosto 2008
Paprika people
Mercoledi' scorso Terry mi passa a prendere e mi porta a Paprika. Un ristorante caro e sofisticato, cucina internazionale, arredamento pomposo. Ci ero gia' stata, ma solo questa volta capisco che non mi piace. Lo stile kitsch che ricopre il locale potrebbe avere senso a Milano o New York, perche' sarebbe colto con ironia. I clienti sarebbero sufficientemente educati per flirtare con quel raffinato esempio di cattivo gusto. Ma qui a Trinidad no, il kitsch non viene percepito come tale, e quindi risulta solo brutto e fuori luogo e nient'affatto intellettuale.
E' una festa di compleanno di un giornalista mezzo italiano e mezzo cileno. Dalla presentazione di Terry mi aspetto un uomo sui quaranta, invece mi trovo davanti un neo-venticinquenne. Che lavora per il Time magazine di Londra e viene spedito in giro per il mondo, di tre mesi in tre mesi, a scrivere report sui vari paesi per potenziali investitori. Un lavoro interessantissimo, il meglio del giornalismo economico. E' simpatico, parliamo un po', mi presenta la sua ragazza. Una trinidina siriana che si muove come una principessa e che sorprendentemente non riesce nemmeno ad ancheggiare quando inizia la musica. Mi dico che e' proprio vero che i siriani vivono distaccati dal resto del paese. Il giornalista mi racconta che Trinidad lo entusiasma, e' un paese ricco, in cui sono tutti ricchi, la scuola e' gratuita e tutti hanno una possibilita' di riuscire. Un paese dei balocchi, insomma. Io rispondo che i problemi non mancano e provo a raccontargliene qualcuno ma lui non mi da' retta e mi offre un bicchiere di vino.
Conosco anche i suoi colleghi, un ragazzo tedesco della stessa eta' accompagnato da una supersventola venezuelana e una trentenne di un qualche paese dell'Europa dell'Est, bellissima ed elegante, che ha studiato economia e arte-non-europea, con cui mi riprometto di vedermi per un drink in settimana. E' tanto che non esco con gente della famosa upper-class. Non e' il tipo di serata che mi aspetto e inizialmente mi sono sento underdressed, ma bastapoco per sentirmi a mio agio. C'e' anche la figlia dell'Ambasciatore messicano a Trindad, inizialmente snobbina, ma poi si rilassa e chiacchieriamo. Ci raggiunge anche il suo fratellino minore, un bel ragazzo che studia filosofia a Boston e che parla lo spagnolo come uno straniero. Mangiano e bevono e si sentono tutti bene a Paprika, e lei dice che dopo tanto girare vuole tornare a vivere a Citta del Messico.
La serata finisce in discoteca. Troviamo un gruppetto di venezuelani che studiano inglese a Trinidad durante le vancanze estive e ci stipiamo tutti in due macchine per andare allo Zen. Siamo in otto nella macchina di Terry, io sto praticamente fuori dal finestrino e ridiamo tutti come pazzi. Sembra di essere in vancanza al mare, una di quelle serate. Allo Zen entriamo tutti gratis perche' uno dei commensali e' l'architetto americano che ha disegnato gli interni del locale. E' stato ingaggiato a Trinidad quattro anni fa e ora e' appena tornato per qualche altro lavoro. E' gentilissimo con me tutta la sera e penso che lo rivedro' volentieri. Balliamo e balliamo tutti fino alle 3:30 e io mi chiedo come mai faro' ad andare al lavoro il giorno dopo. Ma poi me ne dimentico e continuo a ballare con questi ragazzi di mondi diversi e mi dico che e' tutto bellissimo, tutto luccicante.
Il giorno dopo guardandomi le occhiaie nello specchietto della sua macchina dico a Mister K che dovrebbe conoscerli, i miei nuovi amici. Sono tanto carini. Lui mi risponde seccamente che con tutto probabilita' sono tanto carini perche' io sono io, una ragazza bianca, europea che lavora all'ONU. Mi dice che gli e' gia' successo di uscire con me e quel tipo di miei amici e di percepire che l'unico motivo per cui lo accettano nel gruppo e' che arriva con me. Lo riconosce nell'accento e nei modi decifrabili solo fra Tinidini, che si tratta del tipo di gente con un preciso concetto della divisione delle razze.
Io sbuffo. Penso che si tratta del solito discorso agghiacciante che mi sono sempre rifiutata di ascoltare. Sono tentata di controbattere che quelli sono quasi tutti stranieri, e che quindi non c'e' pericolo di incappare in provincialissimi atteggiamenti razzisti. Ma poi faccio un attimo mente locale e riconosco che si', in effetti probabilmente ha ragione lui. Sarebbe strano metterli allo stesso tavolo. Forse e' meglio non presentarglieli, i miei nuovi amici.
E' una festa di compleanno di un giornalista mezzo italiano e mezzo cileno. Dalla presentazione di Terry mi aspetto un uomo sui quaranta, invece mi trovo davanti un neo-venticinquenne. Che lavora per il Time magazine di Londra e viene spedito in giro per il mondo, di tre mesi in tre mesi, a scrivere report sui vari paesi per potenziali investitori. Un lavoro interessantissimo, il meglio del giornalismo economico. E' simpatico, parliamo un po', mi presenta la sua ragazza. Una trinidina siriana che si muove come una principessa e che sorprendentemente non riesce nemmeno ad ancheggiare quando inizia la musica. Mi dico che e' proprio vero che i siriani vivono distaccati dal resto del paese. Il giornalista mi racconta che Trinidad lo entusiasma, e' un paese ricco, in cui sono tutti ricchi, la scuola e' gratuita e tutti hanno una possibilita' di riuscire. Un paese dei balocchi, insomma. Io rispondo che i problemi non mancano e provo a raccontargliene qualcuno ma lui non mi da' retta e mi offre un bicchiere di vino.
Conosco anche i suoi colleghi, un ragazzo tedesco della stessa eta' accompagnato da una supersventola venezuelana e una trentenne di un qualche paese dell'Europa dell'Est, bellissima ed elegante, che ha studiato economia e arte-non-europea, con cui mi riprometto di vedermi per un drink in settimana. E' tanto che non esco con gente della famosa upper-class. Non e' il tipo di serata che mi aspetto e inizialmente mi sono sento underdressed, ma bastapoco per sentirmi a mio agio. C'e' anche la figlia dell'Ambasciatore messicano a Trindad, inizialmente snobbina, ma poi si rilassa e chiacchieriamo. Ci raggiunge anche il suo fratellino minore, un bel ragazzo che studia filosofia a Boston e che parla lo spagnolo come uno straniero. Mangiano e bevono e si sentono tutti bene a Paprika, e lei dice che dopo tanto girare vuole tornare a vivere a Citta del Messico.
La serata finisce in discoteca. Troviamo un gruppetto di venezuelani che studiano inglese a Trinidad durante le vancanze estive e ci stipiamo tutti in due macchine per andare allo Zen. Siamo in otto nella macchina di Terry, io sto praticamente fuori dal finestrino e ridiamo tutti come pazzi. Sembra di essere in vancanza al mare, una di quelle serate. Allo Zen entriamo tutti gratis perche' uno dei commensali e' l'architetto americano che ha disegnato gli interni del locale. E' stato ingaggiato a Trinidad quattro anni fa e ora e' appena tornato per qualche altro lavoro. E' gentilissimo con me tutta la sera e penso che lo rivedro' volentieri. Balliamo e balliamo tutti fino alle 3:30 e io mi chiedo come mai faro' ad andare al lavoro il giorno dopo. Ma poi me ne dimentico e continuo a ballare con questi ragazzi di mondi diversi e mi dico che e' tutto bellissimo, tutto luccicante.
Il giorno dopo guardandomi le occhiaie nello specchietto della sua macchina dico a Mister K che dovrebbe conoscerli, i miei nuovi amici. Sono tanto carini. Lui mi risponde seccamente che con tutto probabilita' sono tanto carini perche' io sono io, una ragazza bianca, europea che lavora all'ONU. Mi dice che gli e' gia' successo di uscire con me e quel tipo di miei amici e di percepire che l'unico motivo per cui lo accettano nel gruppo e' che arriva con me. Lo riconosce nell'accento e nei modi decifrabili solo fra Tinidini, che si tratta del tipo di gente con un preciso concetto della divisione delle razze.
Io sbuffo. Penso che si tratta del solito discorso agghiacciante che mi sono sempre rifiutata di ascoltare. Sono tentata di controbattere che quelli sono quasi tutti stranieri, e che quindi non c'e' pericolo di incappare in provincialissimi atteggiamenti razzisti. Ma poi faccio un attimo mente locale e riconosco che si', in effetti probabilmente ha ragione lui. Sarebbe strano metterli allo stesso tavolo. Forse e' meglio non presentarglieli, i miei nuovi amici.
Isola
Lo scorso weekend sono andata alle isole. Ci siamo trovati ad essere un gruppetto di otto persone, in modo un po' causale. E' stato bello andarci in barca, mi sono seduta a pura sul legno rovente, e mi sono presa tutto il vento in faccia e gli spruzzi e il profumo di saldedine. Abbiamo scelto di andare sull'isola piu' lontana, quella piu' vicina al Venezuela. Vedevamo il continente davanti a noi, grande e verde che si poteva quasi toccare. Pensavamo al traffico di clandestini tra le due sponde, e ci chiedevamo quanto fosse grosso il Sud America. L'acqua era caldissima e torbida, perche' eravamo colpiti in pieno dalla corrente del fiume Orinoco che trasporta foglie, detriti e sabbia dal cuore dell'Amazzonia. Siamo stati in acqua tutto il tempo per non essere colpiti da migliaia di zanzare assassine. Abbiamo lasciato che le ore passassero, una dopo l'altra, su quello scoglio dimenticato. Avevamo musica e birre e nulla da mangiare. I musicisti cantavano giocosi. Io mi bruciacchiavo al sole e di tanto in tanto muovevo un passo di danza.
Sparo
Ieri hanno sparato a uno dei fratelli di Mas. Girava spesso nel sottobosco, aveva 21 anni ma ne dimostrava di meno. A quanto dice Wilma, aveva una catena d'oro addosso. Non credo sia morto, ma piu' di cosi' non so.
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