home, dark, you can't enter that room.
words fall slowly, fear and desire.
opening, closing, everything frozen.
answers remain un-uttered, un-told.
one bait: take one step forth.
one bite: you'll never get in.
diverging, buzzing imaginations
the lock alone is still hanging mute.
venerdì 16 maggio 2008
sand
everything crumbles slowly
like a sandcastle on the shore
helplessly opposing the waves
while the footprints dissolve
like a sandcastle on the shore
helplessly opposing the waves
while the footprints dissolve
giovedì 8 maggio 2008
boys and girls
Sotto l'equatore il mondo è alla rovescia. Praticamente in tutti i sensi, anche in quelli più inaspettati. Uno degli aspetti destabilizzati della mia vita trinidina è infatti il capovolgimento inatteso di una delle cose che mi è sempre sembrata così stabile e immutalbile da non poter essere in alcun modo scalfita. Una cosa talmente strutturale del mio modo di essere da non aver mai nemmeno meritato una tematizzazione razionale. Ci ho messo tre mesi di isola per mettere a fuoco la portata del cambiamento di qualcosa di tanto prossimo. Il mio rapporto con i sessi.
Sarà la scuola femminile, sarà l'indole, sarà quello che volete, ma da sempre per me è estremamente naturale avere amiche ragazze. Ne ho un sacco, raccolte con cautela nel corso degli anni e adeguatamente custodite. Rapporti belli, profondi, fatti di dialoghi interminabili, riflessioni, rispechiamenti, complicità, legami, racconti e confessioni. Al contrario, è sempre stato più difficile per me avere amici maschi, che rappresentano più l'eccezione che la regola nella mia vita affettiva.
Qui mi sento destabailizzata dalla facilità e naturalezza con cui si innescano rapporti con i "maschi", e ancora di più da quanto siano difficili e inavvicinabili le ragazze. Ne ho fatti di sforzi. Ragazze dell'ufficio, ragazze incontrate a serate. Tutte gentili, tutte carine, ma poi non ti richiamano, non ti rispondono, non colgono le proposte. Con i ragazzi il contrario. Ti chiedono, ti chiamano, ti richiamano, ti passano a prendere, sono simpatici. Certo, la cultura della caccia alla femmina è piuttosto diffusa, ma non è sempre quello il punto. Tante volte sono semplicemente gentili e non si fanno tante paranoie sull'essere fraintesi. Se sei simpatica ti chiamano, punto.
Per me è un po' strano, non sono abituata. I rapporti con i ragazzi sono diversi. Non ci sono tante parole, per esempio. C'è sempre un po' di tensione, anche a livello giocoso. Una patina sottile di sensualità, che per me a volte è d'intralcio. Sarebbe così semplice avere amiche femmine, che posso chiamare in qualunque momento. Non mi sento altrettanto a mio agio a chiamare mister tal dei tali, anche se simpatico, e invitarlo a bere qualcosa per fare due chiacchiere. Immagino che le modalità di interazione siano anche un po' diverse, e che debba imparare a gestirle con naturalezza. Più vado avanti più mi accorgo di quanto quest'isola mi stia spogliando della mia architettura mentale di razionalità. Quella con cui per esempio vivo i miei soliti cristallini rapporti femminili. Basta parole, confessioni e compagnia bella, si cambia gioco. Solo umorismo, empatia, e saltuariamente un po' di elettricità da gestire con calutela.
Sarà la scuola femminile, sarà l'indole, sarà quello che volete, ma da sempre per me è estremamente naturale avere amiche ragazze. Ne ho un sacco, raccolte con cautela nel corso degli anni e adeguatamente custodite. Rapporti belli, profondi, fatti di dialoghi interminabili, riflessioni, rispechiamenti, complicità, legami, racconti e confessioni. Al contrario, è sempre stato più difficile per me avere amici maschi, che rappresentano più l'eccezione che la regola nella mia vita affettiva.
Qui mi sento destabailizzata dalla facilità e naturalezza con cui si innescano rapporti con i "maschi", e ancora di più da quanto siano difficili e inavvicinabili le ragazze. Ne ho fatti di sforzi. Ragazze dell'ufficio, ragazze incontrate a serate. Tutte gentili, tutte carine, ma poi non ti richiamano, non ti rispondono, non colgono le proposte. Con i ragazzi il contrario. Ti chiedono, ti chiamano, ti richiamano, ti passano a prendere, sono simpatici. Certo, la cultura della caccia alla femmina è piuttosto diffusa, ma non è sempre quello il punto. Tante volte sono semplicemente gentili e non si fanno tante paranoie sull'essere fraintesi. Se sei simpatica ti chiamano, punto.
Per me è un po' strano, non sono abituata. I rapporti con i ragazzi sono diversi. Non ci sono tante parole, per esempio. C'è sempre un po' di tensione, anche a livello giocoso. Una patina sottile di sensualità, che per me a volte è d'intralcio. Sarebbe così semplice avere amiche femmine, che posso chiamare in qualunque momento. Non mi sento altrettanto a mio agio a chiamare mister tal dei tali, anche se simpatico, e invitarlo a bere qualcosa per fare due chiacchiere. Immagino che le modalità di interazione siano anche un po' diverse, e che debba imparare a gestirle con naturalezza. Più vado avanti più mi accorgo di quanto quest'isola mi stia spogliando della mia architettura mentale di razionalità. Quella con cui per esempio vivo i miei soliti cristallini rapporti femminili. Basta parole, confessioni e compagnia bella, si cambia gioco. Solo umorismo, empatia, e saltuariamente un po' di elettricità da gestire con calutela.
domenica 4 maggio 2008
Borrough Day
Ieri ho avuto un assaggio di quello che sarà il Canevale 2009. Solo un assaggio: tutti mi hanno detto che quello che succede al Borrough Day di Point Fortin è solo un pallido simulacro del baccanal di Port of Spain, ma mi sarebbe potuto serive come aperitivo.
Point Fortin è all'estremo Sud dell'isola, dalla parte del Venezuela. Gwen mi è passata a prendere alle 11 di sera, siamo andate al punto di ritrovo, e dopo qualche birra di riscaldamento siamo tutti saliti sul solito pulmino-discoteca che ci ha riversato a Point Fortin alle 3 di notte. La città era gremita, carri di carnevale ovunque, il solito clash di fonti sonore in movimento, migliaia di persone ubriache, danzanti, provocanti, vibranti, urlanti. E un casino di polizia, mai vista tanta nella mia vita, centinaia di poliziotti armati di manganelli, pistole e mitra ad ogni angolo. Clarissa era stata chiara: "Tieni gli occhi aperti, è un'esperienza estrema. E qualcunque cosa succeda, non perdere mai di vista il tuo gruppo, che se ti trovi sola sono casini".
Tutto ruota intorno alle bands, cioè camion aperti che emanano soca a volumi da stordimento, seguiti da furgoni più piccoli con l'alcohol. La differenza principale col Canervale brasiliano è che tutti sono associati ad una certa band e la seguono danzando per le vie della città, vestiti come la band comanda. C'era la band rossa, tutti dietro in rosso. Quella dei frutti tropicali, tutti dietro con cappelli con frutti tropicali. Le band organizzano il trasporto e distribuiscono magliette tutte uguali agli affiliati, magliette che come vuole la tradizione abbiamo fatto a brandelli con le forbici e abbiamo tenuto indosso piene di strappi e buchi. Wining, wining, wining, ballare in continuazione appiccicati con questo movimento di bacino circolare, davanti, di dietro, acrobaticamente, camminando, in mucchio, a testa in giù. C'era gente vestita nei modi più disparati, la frontiera del cattivo gusto non esisteva più, tutto aveva un senso diverso. Giovani e vecchi, senza distinzione. Gente coperta di fango, di olio per le macchine, di piume. Musica ovunque, per ore ed ore ed ore fino al giorno dopo, ripetendo sempre le stesse canzoni soca che avevano un effetto ipnotico, come se stessimo vivendo sempre lo stesso momento, in continuazione, come se fossimo imprigionati in quella mattinata limpida, straniante e rovente. C'era anche la vernice, enormi secchi di vernice sparsi in giro in cui immergere mani e bottiglie per poi inseguirsi, spruzzarsi e sporcarsi a vicenda. Quella della nostra band era azzurra, ne ero talmente coperta che alla fine I looked like fucking strumpfette.
Eccola, la mia prima esperienza di jouvert, dal francese "joeux ouverts", festa inaugurale del Carnevale che inizia alle 4 di mattina e finisce l'indomani a giorno inoltrato. Abbiamo ballato, sfilato e camminato per tutta la notte, e per tutta la mattina, fino a mezzogiorno, quando il pulmino è ripartito verso Port of Spain. E questo mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Sarei dovuta rimanere, come voleva fare Gwen, l'amica di Clarissa che mi aveva portato. Questa donna di cinquant'anni ma con uno spirito da quindicenne che ballava come una pazza, che è arrivata a Trinidad da ragazza e si è messa a vivere con un rasta nella foresta senza acqua e senza luce, vivendo a fumo e "scodellando i ragazzini" nella sua capanna, che è capace ancora oggi di reggere quarantotto ore di festa intensa e initerrotta bevendo ballando facendo casino indifferente al trascorrere delle ore. Lei me l'ha suggerito, "Non prendiamo il pulmino, restiamo qui per un secondo giorno, qualcosa si organizza per la notte, non ti preoccupare". E io benchè esausta ero tentata, non avevo altri piani per il weekend e restare mi sembrava eccitante. E poi me l'ero ripromessa ultimamente. Mai lasciare una festa prima della fine, il bello spesso arriva dopo.
Ma poi i ragazzi con noi mi hanno dissuasa. Sei pazza, come puoi pensare di restare sola con lei, questa è folle, se ne va in qualucnuqe momento, e se ti trovi sola che fai? Bianca e sola in mezzo a questi centinaia di ubriachi, violenti, nel post-jouvert... Non restare, dacci retta, non è safe. E così sono tornata, ho preferito la prudenza. E poi mi sono pentita, perchè era probailemnte solo una questione di lasciare trascorrere qualche ora, reggere al sonno, e poi in serata la festa bella sarebbe ricominciata, c'era altra gente da Port of Spain che conoscevo che sarebbe arrivata. Sì, avrei dovuto tenere d'occhio Gwen e non perdermi, starle attaccata tutto il tempo, lei oramai è più selvaggia dei locali, si sa difendere. Sarebbe stato disttruttivo ma probabilemnte ne sarebbe valsa la pena, sarebbe stata un'esperienza, e invece sono vigliaccamente rientrata. Le ho detto Se troviamo un ragazzo che resta con noi resto, se no ho paura. Tutti volevano tornare, tutti erano stanchi tranne noi due. Occasione persa.
You live and you learn, come mi dice sempre Emma. Me lo prometto ancora. Mai lasciare una festa prima della fine. Magari la richiamo e ci esco qui a port of Spain, mi piace la sua energia. Ho voglia e bisogno di esaurirmi finiscamente. Di scaricare tutto il nero dentro di me nel nero della notte.
Point Fortin è all'estremo Sud dell'isola, dalla parte del Venezuela. Gwen mi è passata a prendere alle 11 di sera, siamo andate al punto di ritrovo, e dopo qualche birra di riscaldamento siamo tutti saliti sul solito pulmino-discoteca che ci ha riversato a Point Fortin alle 3 di notte. La città era gremita, carri di carnevale ovunque, il solito clash di fonti sonore in movimento, migliaia di persone ubriache, danzanti, provocanti, vibranti, urlanti. E un casino di polizia, mai vista tanta nella mia vita, centinaia di poliziotti armati di manganelli, pistole e mitra ad ogni angolo. Clarissa era stata chiara: "Tieni gli occhi aperti, è un'esperienza estrema. E qualcunque cosa succeda, non perdere mai di vista il tuo gruppo, che se ti trovi sola sono casini".
Tutto ruota intorno alle bands, cioè camion aperti che emanano soca a volumi da stordimento, seguiti da furgoni più piccoli con l'alcohol. La differenza principale col Canervale brasiliano è che tutti sono associati ad una certa band e la seguono danzando per le vie della città, vestiti come la band comanda. C'era la band rossa, tutti dietro in rosso. Quella dei frutti tropicali, tutti dietro con cappelli con frutti tropicali. Le band organizzano il trasporto e distribuiscono magliette tutte uguali agli affiliati, magliette che come vuole la tradizione abbiamo fatto a brandelli con le forbici e abbiamo tenuto indosso piene di strappi e buchi. Wining, wining, wining, ballare in continuazione appiccicati con questo movimento di bacino circolare, davanti, di dietro, acrobaticamente, camminando, in mucchio, a testa in giù. C'era gente vestita nei modi più disparati, la frontiera del cattivo gusto non esisteva più, tutto aveva un senso diverso. Giovani e vecchi, senza distinzione. Gente coperta di fango, di olio per le macchine, di piume. Musica ovunque, per ore ed ore ed ore fino al giorno dopo, ripetendo sempre le stesse canzoni soca che avevano un effetto ipnotico, come se stessimo vivendo sempre lo stesso momento, in continuazione, come se fossimo imprigionati in quella mattinata limpida, straniante e rovente. C'era anche la vernice, enormi secchi di vernice sparsi in giro in cui immergere mani e bottiglie per poi inseguirsi, spruzzarsi e sporcarsi a vicenda. Quella della nostra band era azzurra, ne ero talmente coperta che alla fine I looked like fucking strumpfette.
Eccola, la mia prima esperienza di jouvert, dal francese "joeux ouverts", festa inaugurale del Carnevale che inizia alle 4 di mattina e finisce l'indomani a giorno inoltrato. Abbiamo ballato, sfilato e camminato per tutta la notte, e per tutta la mattina, fino a mezzogiorno, quando il pulmino è ripartito verso Port of Spain. E questo mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Sarei dovuta rimanere, come voleva fare Gwen, l'amica di Clarissa che mi aveva portato. Questa donna di cinquant'anni ma con uno spirito da quindicenne che ballava come una pazza, che è arrivata a Trinidad da ragazza e si è messa a vivere con un rasta nella foresta senza acqua e senza luce, vivendo a fumo e "scodellando i ragazzini" nella sua capanna, che è capace ancora oggi di reggere quarantotto ore di festa intensa e initerrotta bevendo ballando facendo casino indifferente al trascorrere delle ore. Lei me l'ha suggerito, "Non prendiamo il pulmino, restiamo qui per un secondo giorno, qualcosa si organizza per la notte, non ti preoccupare". E io benchè esausta ero tentata, non avevo altri piani per il weekend e restare mi sembrava eccitante. E poi me l'ero ripromessa ultimamente. Mai lasciare una festa prima della fine, il bello spesso arriva dopo.
Ma poi i ragazzi con noi mi hanno dissuasa. Sei pazza, come puoi pensare di restare sola con lei, questa è folle, se ne va in qualucnuqe momento, e se ti trovi sola che fai? Bianca e sola in mezzo a questi centinaia di ubriachi, violenti, nel post-jouvert... Non restare, dacci retta, non è safe. E così sono tornata, ho preferito la prudenza. E poi mi sono pentita, perchè era probailemnte solo una questione di lasciare trascorrere qualche ora, reggere al sonno, e poi in serata la festa bella sarebbe ricominciata, c'era altra gente da Port of Spain che conoscevo che sarebbe arrivata. Sì, avrei dovuto tenere d'occhio Gwen e non perdermi, starle attaccata tutto il tempo, lei oramai è più selvaggia dei locali, si sa difendere. Sarebbe stato disttruttivo ma probabilemnte ne sarebbe valsa la pena, sarebbe stata un'esperienza, e invece sono vigliaccamente rientrata. Le ho detto Se troviamo un ragazzo che resta con noi resto, se no ho paura. Tutti volevano tornare, tutti erano stanchi tranne noi due. Occasione persa.
You live and you learn, come mi dice sempre Emma. Me lo prometto ancora. Mai lasciare una festa prima della fine. Magari la richiamo e ci esco qui a port of Spain, mi piace la sua energia. Ho voglia e bisogno di esaurirmi finiscamente. Di scaricare tutto il nero dentro di me nel nero della notte.
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