giovedì 14 maggio 2009

Epilogo

Come mi sono ripromessa da molto tempo, voglio dedicare l'ultimo post a spiegare l'origine del titolo di questo blog. You still have the waves in your eyes.

Era il 2 Marzo dell'anno scorso. Erano passate due settimane da quando ero arrivata a Trinidad. Avevo appena cominciato in ufficio, avevo conosciuto i miei coinquilini, Camilla mi guidava un po' nelle piccole cose quotidiane, come scegliere l'operatore telefonico e evitare le strade nella parte est della citta'. Avevo arredato la mia stanza. Non avevo ancora visto il mare.

Domenica 2 Marzo sono andata al mare per la prima volta, a Maracas beach. Con Abinta, Camilla, un'amica di Camilla (che poi avrebbe fatto il corso di diritti umani con me in Costa Rica qualche mese dopo). E Mister K, che vedevo per la prima volta. Io e lui eravamo in macchina da soli, abbiamo chiacchierato e simpatizzato. Ero a bocca aperta per la bellezza della strada che attraversava tutta la Northern Range. Ho fatto il bagno nell'oceano, spingendomi troppo lontano. Ho mangiato il bake and shark. Io e K abbiamo fatto una lunga passeggiata, fino alla fine della spiaggia, oltre i pescatori. Al ritorno sono andata con Camilla nella sua rastamobile. E' stato un giorno fondamentale, uno di quelli che restano impressi nella memoria. Molte cose nuove. Molti inizi di cose importanti, vissuti senza rendersene conto. Il mio battesimo a Trinidad.

Quando sono tornata a casa ero felice, avevo le guance scottate dal sole. Finalmente avevo visto il mio tanto amato mare. Mas mi ha vista salire le scale saltellando, ha sorriso e mi ha chiesto. Dove sei stata, Vivi? Io ho risposto raggiante. At the beach! E lui, schermandosi gli occhi dal sole del tramonto, con un impeto poetico senza precedenti, mi ha detto tutto di un fiato.

You still have the waves in your eyes.

Hai ancora le onde negli occhi.

The end

La vita scorre dolcemente nella dolce T&T. E come sempre mi succede, sono molto piu' occupata quando non lavoro in ufficio. Ho cominciato a lavorare alla libreria una volta alla settimana, mi occupo delle mille faccende domestiche, la spesa, i gatti. E naturalmente mando tante applications.

C'e' anche molta carne al fuoco anche per il mio soggiorno qui. Con tutta probabilita' settimana prossima comincero' con un lavoro di consulenza per la piccola ONG sui diritti dei bambini. Si tratterebbe esattamente del mio lavoro dei sogni: ricerca sui diritti umani. Scrivero' un rapporto sulla situazione dei diritti dei bambini che verra' poi inviato a Ginevra, al Committee for the Rights of the Child. Lo farei pro bono, o per un piccolo trimborso spese, ma dato che si tratta esattamente di cio' che voglio fare piu' avanti, sara' un'importante esperienza lavorativa. Un precedente per poi avere di nuovo questo incarico, in una ONG piu' grande e piu' influente. E da cosa nasce cosa, ho gia' mille idee di micro-progetti sui diritti umani che potrei svolgere in questo breve periodo di tempo rimasto a Trinidad.

Poi c'e' la scrittura. Oltre ai piccoli articoletti su A sto prendendo contatti con un quotidiano locale, a cui vorrei mandare articoli di costume in stile "diario di una straniera a Trinidad". Ho gia' mezzo fissato l'incontro con l'editore.

Insomma non ho di che annoiarmi, e non vedo l'ora di entrare nel fulcro della mia attivita'. Per questo motivo, non mi sento piu' un'osservatrice appena arrivata. Non sto piu' lottando contro le differenze culturali, sgomitando per trovare degli amici, sussultando di fronte alle stranezze della quotidianita' caraibica. Sono qui, sto vivendo, e sto lavorando.

Lo sento come un successo, dopo le tante difficolta' iniziali. Lo sento come un processo lungo e complesso che mi ha arricchita, fatta crescere, fatta diventare piu' donna.

E forse e' per questo che sento che e' giunto il momento di chiudere questo blog. Questo blog che ho aperto quando ero ancora nella guest house di Claire a Woodbrok. Pagine che mi hanno tanto aiutata, che mi hanno tenuto compagnia, che mi hanno permesso di esprimermi al mondo dei miei contatti e a me stessa. Atrraverso cui ho ricevuto vicinanza e affetto da parte di persone che commentavano cio' che scrivevo, a volte pubblicamente, piu' volte in privato. Ora che non ho piu' l'esigenza di cristallizzare emozioni fuide e roventi in una forma solida di parole, viene a mancare il proposito per cui questo blog e' stato cosi' fondamentale. E' giunta l'ora di mettere la parola fine.

Questo non significa che quanto ho scritto finora sara' lasviato alle spalle. Anzi, e' il momento di riprenderlo, ripulirlo dalle spigolature date dalle fretta, dalle grossolanita' della scrittura casalinga indirizzata ad amici bonari. E' ora di riordinare, scremare, rifinire. Ora di rileggere.

martedì 5 maggio 2009

Capitalismo caraibico

Appena arrivata. Avevo voglia di un roti. E' tanto che non lo mangio, un mese e mezzo o piu'. Era il primo desiderio alimentare arrivando a Trinidad. K ha riso. "Un roti? Di domenica? Ma sei pazza!" Come sono pazza? Che male c'e'? Da quando il cibo e' legato ai giorni della settimana? Lui ha sorriso e ha detto va bene. Proviamoci. E infatti ci abbiamo provato, ma effettivamente tutti i roti shops sono chiusi di domenica. Chissa' come mai, a nessuno verrebbe mai in mente di mangiare un roti di domenica. Sarebbe una follia.

Io ero delusa, e incredula. Uno dei cibi piu' consumati delpaese, inaccessibile. Ma poi ripensandoci ho realizzato che qui e' cosi'. Nessuno mangia curry la domenica. Come a nessuno verrebbe in mente di mangiare un bake and shark se non in spiaggia. O le doubles se non di notte. O la corn soup se non la sera, dalle 6 in poi. Impossibile.

La regola magica del capitalismo secondo cui parte integrante della vendibilita' e del successo di un prodotto sta nella sua capillare distribuzione, qui non funziona. E' un po' la regola della cocacola. Parte del suo successo e' dovuto al fatto che la si puo' trovare ovunque. Hai voglia di una coca, dopo meno di cinque minuti ne hai una in mano. Ovunque tu sia.

Qui gli unici che hanno capito questo trucco sono gli agenti del marketing di KFC. Sempre aperto, sempre pronto. E infatti, miracolosamente, ha un enorme successo. Ma chissa' come,mai , ho la netta sensazione che se aprissi un negozietto di roti, bake and shark, corn soup e doubles "sempre aperto e sempre pronto" a Porto of Spain, i Trinidini storcerebbero il naso. "E perche' mai dovrei aver voglia di mangiarmi un roti di domenica?"

Ritorno

Sono tornata a Trinidad dopo il lungo viaggio Brasiliano. Sono seduta in casa, davanti al computer,mentre ondate di calore entrano dalla finestra spalancata. E' maggio, il picco della stagione secca. La luce scintilla e non c'e' vento.

Ho molti ricordi da riordinare, musica da organizzare, fotografie da spedire. Mi serviranno un po' di giorni per riprendere il contatto con la realta', con la mia vita, anche se ancora non so di quale vita si tratti, precisamente. E' qui' la mia vita? E' altrove? E' nelprossimo posto che ancotra non ho scelto? Dopo anni passati a cambiare citta', a volte mi sento decentrata. Mi sembra di aver perso il filo, in qualche punto...

Comunque una cosa e' certa. Ora ho voglia di stare qui, ancora qualche mese. Ho delle idee, dei progetti, ma soprattutto voglia di prendermi il mio tempo prima di saltare sulla prossima barca. Prendermi il mio tempo con K, per vedere dove si andra'. Qui sto bene, ho una casa, qualche amico, il mare, l'amore, due gatti.

Tornere qui e' stato un po' strabno, domenica. Mentre guidavamo verso casa dall'aeroporto,pensavo che tutto mi pare cosi' piccolo, cosi' precario. Cosi' povero. Non me n'ero resa conto mentre stavo qui, o forse me ne sono dimenticata. Come ho potuto vivere qui per un anno intero e considerarlo normale?

Non lo so, ma io per il momento sto bene qui.

mercoledì 15 aprile 2009

Da parte di Mauro

Pezzo di letteratura paradossalmente attuale sulla società di Port of Spain negli anni Cinquanta, annotato durante un viaggio in Brasile dallo scienziato Richard Feynman. Grazie Mauro per avermelo inviato!


"Negli anni Cinquanta, una volta rientravo dal Brasile in nave e ci fermammo per un giorno a Trinidad; decisi di visitare la capitale, Port Of Spain. A quell'epoca, se visitavo una città ero interessato soprattutto ai quartieri più poveri, a come si vive...sul fondo del barile. Passai un po' di tempo sulle colline del quartiere nero, girovagando a piedi. Mentre tornavo, si fermò un taxi e il conducente, che era un nero, disse "Ehi, uomo! Vuol vedere la città? Le costerà soltanto cinque biwi". "D'accordo", e salii sul taxi. Si avviò verso un qualche palazzo "Le farò vedere le cose più affascinanti". "No", lo ringraziai. "Quelle sono uguali dappertutto. Voglio vedere la parte peggiore, dove vive la povera gente. Sono già stato sulle colline, lassù". "Oh!" Il tassista era impressionato. "Mi farà piacere condurla in giro. E quando avremo finito, avrò una domanda da farle. Quindi osservi tutto con attenzione". Mi portò in un quartiere abitato da
indiani - case popolari costruite appositamente, forse - e si fermò davanti ad un edificio di blocchi di cemento. Dentro, era praticamente vuoto. Un uomo sedeva sui gradini dell'ingresso. "Lo vede?" mi domandò il tassista "Suo figlio studia medicina nel Maryland". Poi fece salire in auto qualcuno della sua zona, perchè esaminassi meglio la gente.
Era una donna dai denti guasti. Ci siamo fermati e mi ha presentato due donne che ammirava: "Hanno messo insieme abbastanza soldi da comprare una macchina per cucire, e ora fanno le sarte per tutto il quartiere" mi spiegò con orgoglio, e "questo signore è un professore; la cosa interessante è che vuol visitare i nostri quartieri". Vedemmo
molte cose, e alla fine disse "Adesso, professore, ecco la domanda: lei vede che gli indiani sono altrettanto o a volte più poveri dei neri, ma si fanno avanti in qualche modo, quell'uomo ha mandato il figlio all'università, quelle donne avviano una sartoria. La mia gente
invece non fa strada. Perchè?"

Gli ho risposto che non lo sapevo, ovviamente - è la mia risposta a quasi ogni domanda; ma lui non la accettò, non da parte di un professore. Provai a dirgli "Dietro la vita, in India, c'è una lunga tradizione che proviene da una religione e da una filosofia millenarie. E anche se questa gente non abita più in India, continua a tramandarsi tradizioni che riguardano la sostanza dell'esistenza:
cercar di costruire per il futuro, aiutare i figli nei loro sforzi. Sono tradizioni che risalgono a molti secoli addietro. Penso" continuai" che purtroppo la sua gente non ha potuto sviluppare una
tradizione così lunga, o se l'ha avuta l'ha poi persa a causa delle conquiste e della schiavitù." Forse non era vero, ma era quello che pensavo. Al tassista sembrò un'osservazione giusta; disse che anche lui aveva in mente di costruire per il futuro. Aveva puntato del denaro su un cavallo; nel caso avesse vinto, si sarebbe comprato un taxi tutto suo e allora avrebbe fatto davvero i soldi. Mi sentii improvvisamente triste. Gli dissi che scommettere sui cavalli era una pessima idea, lui però insisteva che non c'era altro mezzo. Aveva ottime intenzioni, ma come metodo aveva scelto la fortuna.
Non mi andava di continuare a filosofeggiare, così mi portò in un locale dove una orchestrina suonava dei fantastici calypso. E passai un pomeriggio piacevole."

sabato 28 marzo 2009

Esperienze sparse di vita paulista

Sono andata a prendere un caffé con una studentessa di architettura dell'università di San Paolo nel bar della Pinacoteca Nazionale. Ho mangiato un pastel al cuore di palma e succo di canna da zucchero alla fiera hippie di Benedito Calisto. Sono andata a una festina di conpleanno di un ragazzo nippo-brasilero e ho ballato nel suo giardino. Sono andata a nuotare in una piscina all'aperto con un'allenatrice bralisiliana che mi correggeva lo stile. Ho passegiato nel bairro Liberdade, sede della più grande colonia giapponese del mondo, e ho comprato delle caramelline allo zenzero in un negozio pieno di ideogrammi. Sono andata a pranzo dai nonni brasiliani di Amanda e ho gustato la loro buonissima cucina. Sono stata invitata in uno dei club più esclusivi di San Paolo in zona Pinheiro, e ho guardato un film nel loro cinema. Ho mangiato empanada e succo di cajù (anacardo) con una nuova amica. Ho mangiato sushi a rodisio (as much as you want) con Amanda, parlando all'infinito. Sono entrata nel centro culturale Britannico e ho pasato tre ore a sfogliere le loro riviste. Ho cuinato una pastasciutta ad una famiglia di Brasiliani sconosciuti. Mi sono comprata delle Havaianas a meno di 10 euro. Ho mangiato un panino Bautù con limonata. Ho visto centinaia di bellissimi murales. Ho bevuto una birra e mangiato patatine di manioca (che non è altro che la cassava!) in un bel bar in Vila Madalena. Ho comprato un abbonamento della metro paulista. Ho sperimentato un milk-shake al Fifties. Ho sperimentato un succo di limone e lette conensato sfogliando una rivisa di viaggi in un bar-edicola. Ho comprato vesitini in una traversa di avenida Faria Lima. Ho passeggiato nella Libreria cultura e guardato le vetrine nel centro commerciale superchic Ipiranga. Ho ammirato i grattacieli di San Paolo dalla cima dell'Edificio italia. Ho sentito il forro' suonato alla ferata dell'autobus sull'Avenida Paulista. Mi ono sduta su una sedia scavata in un tronco d'albero nel mezzo del giardino di Trianon, un fazzoletto di mata atlantica nel cuore della metropoli.

Architettura

Il brasile è un paese del nuovo mondo. Non è pieno di monumenti antichi, di palazzi storici, di catterali gotiche. Ma come in tutto il resto, questa carenza rispetto all'europa lascia spazio per la crescita di qualcosa di nuovo e originale. Da quanto ho potuto capire, la caratteristica dell'architettura Brasiliana è quella di adattare l'umanissima tradizione Europea con le sensazioni vitali date da un ambiente naturale brulicante del più grande patrimonio floreale e faunistico del mondo. Proprio per questo l'architettura brasiliana supera i propri confini tradizionali per arrivare ad abbraciare temi di paesaggismo e di urbanistica. L'Università di San Paolo USP - che è in generale ritenuta la migliore università in Sudamerica - ha un'importante facoltà di architettura e urbanismo che ospita fra i più grandi esperti a livello internazionale. La comunità Giapponese di San Paolo ci va a nozze, e la corrente di architetti nippo-brasilera è fiorente.

In questi giorni è il centesimo anniversario dell'architetto e urbanista Brule Marx, ispirato da Le Corbusier e a sua volta ispiratore di Niemeyer, l'architetto-genio che ha progettato Brasilia (e il palazzo Mondadori vicin a San Felice). Ho visto una mostra di bozze e disegni di Burle Marx a San Paolo, e oggi a Rio ne ho vista un'altra che ripercorreva tutta la sua produzione artistica, che spazia da bozzetti a matita, dipinti, stoffe, arazzi, gioielli, scenografie, costumi e ceramiche. Un'arte astratta ma morbida, calda, curvilinea e naturale, ispirata dalle forme e ai colori del paesaggio brasiliano. Il suo capolavoro sono i giardini e i viali. Ne ha progettati tantissimi, uno più bello dell'altro. A Miami, in Venezuela, ma soprattutto a Rio de Janeiro. Dove mi trovo adesso.

Stamattina sono sono uscita di casa e sono andata sulla spiaggia di Copacabana, a bermi un cappuccino con Ana e Stijn. Parlavamo del Brasile e guardavamo il mare. Dietro di noi si stendeva tutto l'arco della meravigliosa Avenida Atlantica progettata da Burle Marx, e pavimentata con lunghi marciapiedi in bianco e nero con bellissime greche dal sapore astratto.